Luca Lotano racconta lo spettacolo Radio Ghetto

Un ghetto pugliese, quello dei braccianti agricoli, una radio e ha inizio l’immersione nella storia

Ad inaugurare la stagione del teatro di Fortezza Est, sarà lo spettacolo diretto da Luca Lotano, Radio Ghetto.Voci libere. La storia riprende quella vera, di una stazione radio del foggiano, nata in quello che viene considerato il ghetto dei braccianti agricoli stranieri in Italia. Baraccopoli che ospitano lavoratori e che hanno visto la condivisione dello stesso, di un gruppo di volontari occidentali.

In scena Francesca Farcomeni, regia audio Jack Spittle e le voci registrate della radio, come i racconti messi in scena di storie, discorsi, chiacchierate, musiche, rumori, raccolte in anni di presenza nei ghetti. Lo spettacolo sarà fruibile attraverso le cuffie, immergendo lo spettatore nella dimensione radiofonica e sarà in scena il 5, 6 e 7 ottobre. A dialogare con me sullo spettacolo Radio Ghetto Voci libere, il regista Luca Lotano, che ringrazio per la sua disponibilità.

Cosa rappresenta Radio Ghetto?

Radio Ghetto è un progetto di radio partecipata che dal 2012 al 2018 ha vissuto con le comunità che vivono nelle campagne dell’agro foggiano. La Radio è stata creata nell’estate del 2012 su impulso della Rete Campagne in Lotta; e attraverso il collettivo di volontari che l’ha animata, provenienti da tutta Italia – e non solo -, ha portato nella capitanata pugliese tutta la strumentazione necessaria per creare un luogo di “trasmissione”.

Radio Ghetto ha vissuto e dialogato con il territorio ogni estate, proponendosi come strumento di comunicazione e dibattito per e con le comunità di braccianti, trasmettendo principalmente all’interno del GranGhetto di Rignano Garganico, e dopo lo sgombero del Granghetto la radio si è trasferita sulla pista di Borgo Mezzanone, a Sud di Foggia. Oltre all’attività tra gli e le abitanti dei ghetti, per l’80% del tempo nelle diverse lingue dal bambarà al jola, dal wolof al pular, dal moré al francese e all’inglese, Radio Ghetto ha cercato di aprirsi all’esterno, con trasmissioni in italiano e in francese andate in onda su radio FM in Italia e in diversi paesi africani (qui: https://radioghettovocilibere.wordpress.com/radio-ghetto-africa/), e con una rubrica di schegge sonore “L’Abbeceghetto” (qui: https://radioghettovocilibere.wordpress.com/2016/06/26/abbeceghetto/).

Il progetto teatrale di Radio Ghetto, nato come un ulteriore tentativo di condividere con più persone possibili l’archivio audio, è stato anche un momento per il collettivo di riascoltare tutto il materiale audio prodotto negli anni e l’occasione per approfondire il rapporto tra noi e quel materiale.

La radio è da sempre l’espressione libera delle persone, come si coniuga con il teatro?

Durante le giornate di trasmissioni della radio, curate direttamente da chi abitava le varie comunità della capitanata, si discuteva delle condizioni di vita e delle difficoltà del lavoro agricolo, ascoltando musica e radio-giornali, organizzando contest per i rapper e i cantanti che vivevano nei ghetti, si condividevano le storie e la vita di tutti i giorni: dalle problematiche relative al proprio percorso migratorio alla quotidianità della provincia.

Ma anche si chiacchierava liberamente di tutto, si raccontavano storie, si giocava a dama, o si risolvevano problemi pratici, finendo a volte per fare da supporto legale o linguistico, sebbene non fosse questa la prima istanza. Si portavano i registratori fuori, si ascoltavano i suoni dei camion in partenza per i campi, si stava assieme davanti al fuoco ad ascoltare storie eccezionali e quotidiane.

Ecco, il teatro ci ha permesso di ricreare qualcosa di questo universo, così da essere ascoltato nuovamente da chi in un ghetto non è entrato e probabilmente non ci entrerà mai. Il teatro ci ha permesso di restituirne anche i silenzi, e le domande che ci hanno tenuti lì in quel luogo, ha permesso all’archivio di rivivere nella relazione in presenza con la performer Francesca Farcomeni e con il pubblico.

Come ha concepito lo spettacolo? Quali sono le sue particolarità?

Lo spettacolo è la traduzione dell’esperienza di decine di volontari del collettivo; è un testo che abbiamo scritto collettivamente ripercorrendo assieme l’esperienza. Dapprima con un lavoro a distanza, chiedendo a tutti i volontari in giro per l’Italia di riempire delle cartelle online con i temi che il ghetto porta ad esplorare, delle impressioni poetiche, delle mappe del ghetto, gli oggetti emblematici che ci portiamo dietro, storie particolari successe o ascoltate, persone conosciute, foto mentali… Poi, durante una residenza al Nuovo Cinema Palazzo, abbiamo individuato tre temi: l’economia informale, la notte e l’amore, il lavoro; e abbiamo chiesto all’attrice Francesca Farcomeni di dar voce a ciò che avevamo scritto per un primo studio.

Abbiamo poi sviluppato i temi in tre capitoli durante la residenza produttiva Pillole al Teatro Studio Uno, e lì abbiamo scoperto scenicamente con Francesca questa triangolazione tra Radio Ghetto, lei e il pubblico. Francesca non è mai stata in un ghetto, così prova a farlo ogni sera riascoltando l’archivio audio insieme agli spettatori che vengono a vedere Radio Ghetto. La dimensione intima dell’ascolto in cuffia permette al pubblico di entrare nel ghetto passando per il paesaggio sonoro, umano e non, che la radio ha custodito di quel luogo.

Quali sono i messaggi che ha cercato di comunicare agli spettatori?

Per la ricerca che ha dato vita poi allo spettacolo abbiamo pensato che fosse necessario far partire l’indagine da noi stessi, da cosa ci avesse spinto ad andare nei ghetti, cosa ci spingeva a tornare ogni volta, o a non tornarci più; solo poi abbiamo capito quali storie volevamo raccontare e come. Al pubblico facciamo ascoltare e vedere uno scorcio di ciò che sono stati quei ghetti che abbiamo visto e ascoltato, e che sono ancora lì.

Non abbiamo messaggi, abbiamo immagini, storie, voci, lavori in nero, sfruttamento, favole, musica, sgomberi, pecore, diritti negati, speranze e impotenza da condividere, per farli esistere di più. Proviamo a far emergere delle voci. A volte questo processo facilita una presa di consapevolezza, altre crea malintesi e diffidenze. Lo spettacolo prende dall’archivio la vocazione del “documentare”, e dalla modalità partecipativa della radio il provare a ridurre la distanza che c’è tra ghetto e città.

Quello che portate in scena è una parte della storia italiana, non molto lontana e nemmeno tanto bella. Rispecchiandosi in quei sogni, quelle esperienze, quelle persone, come ci si sente? Come si sente lo spettatore? Quali sono state le reazioni e i commenti che avete ricevuto dal pubblico?

C’è sempre molta empatia con la scena, con le storie che ci riguardano in quanto cittadine e cittadini ma soprattutto in quanto uomini e donne. C’è stupore per la realtà complessa e composita dei ghetti, luoghi fatti di realtà che si sovrappongono, si intrecciano, si confondono. C’è rammarico e rabbia per ciò che raccontiamo e che continua ad accadere; denuncia, isolamento e sfruttamento sono temi che tornano sempre nel confronto con il pubblico. Ma ritroviamo nel pubblico anche, forte, quella voglia di continuare a costruire spazi di incontro, come lo è stata Radio Ghetto.

Grazie per essere stato con noi!

Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

Leggi anche