OscuraMente dinamiche di famiglia
ognuno ha sempre una possibilità di essere diverso
In scena al Teatro Hamlet di Roma OscuraMente di Angela Turchini, con adattamento e regia di Marzia Verdecchi. Sul palco Italo Amerighi, Riccardo Rendina, Carlotta Mancini, tecnico audio e luci Emilio Caro. Lo spettacolo racconta una storia contemporanea, che rivela una realtà drammatica dove nulla è come sembra. È la storia di una famiglia e di dinamiche che si trasformano in conflitti, debolezze, spietatezze e destino. Abbiamo rivolto alcune domande ad Angela Turchini, autrice del testo.
Il tema portato in scena racconta di dinamiche familiari che spesso si trasformano in situazioni fatali. Qual è la molla che ha fatto scattare in voi la scelta di lavorare su questo argomento?
Le dinamiche familiari sono il motore per tenere in vita una famiglia. Servono per gestire i cambiamenti che la vita, nel suo continuo mutare, impone. I cambiamenti, come ognuno di noi sperimenta continuamente, modificano le relazioni affettive, emozionali ed anche sociali e purtroppo non sempre in meglio. Il punto di vista dal quale ho scelto di osservare un argomento così attuale, è privilegiato quando questo significa poter percorrere un viaggio in un mondo così complesso, dove la trasformazione dapprima pensata poi scritta si svela sulla scena, lasciando spazio alla riflessione su come i sentimenti e il forte coinvolgimento emotivo possono essere alla base dei conflitti relazionali fino alle più estreme conseguenze. Direi, riassumendo in due parole, che la molla è stata proprio l’osservazione e la riflessione.
La cronaca ci mostra una crescente insofferenza in ambiente familiare, da cosa potrebbe dipendere?
Ci sono diversi tipi di insofferenza, e non è detto che siano tutti negativi soprattutto quando questa può agire come spinta per pensare oltre, per aprirsi ad un futuro diverso e migliore. Penso però che se non gestita, l’insofferenza è un vero e proprio disagio e la famiglia certamente può essere a volte il luogo perfetto dove può emergere. Può dipendere da un problema di percezione del modello familiare, dall’incapacità personale di accettare gli altri, dal guardare ai difetti di chi ci vive accanto con ostilità in un atteggiamento di chiusura, fino a diventare un atteggiamento patologico. Non sono un’esperta in materia, parlo ovviamente a titolo personale, ma credo che seguendone la traccia l’insofferenza ci dice qualcosa di più profondo. Potrebbe essere un segnale che tutto ciò che ci procura insofferenza ci appartiene. Così, nel tentativo di allontanare questa idea ci si focalizza sugli altri, fino al punto di esserne ossessionati e di reagire nel modo peggiore.
I personaggi quando hanno o stanno caratterizzando il tuo modo di stare in famiglia?
Sulla scena ci sono tre personaggi, nessuno ha però caratteristiche affini alle mie nel vivere la famiglia. Non mi identifico in loro: li osservo e poi li racconto. Tra l’altro, ho una visione di nucleo familiare, di casa, di accoglienza, di relazione piuttosto lontana da quella sostenuta dai tre personaggi. Li ho voluti così, rappresentandoli in un momento della loro stessa vita in cui ormai il loro destino è, per così dire, segnato dalle loro esperienze passate. Non li giudico.
La famiglia è il primo approccio alla società. Alla luce di queste parole come si potrebbe analizzare la situazione attuale?
Partendo da quello che di buono c’è in ognuno di noi e mettendo le cose in ordine nelle nostre vite affinché ci sia spazio per tutto e tutti. Per le regole e i valori, nei quali ricomprendo idealmente tutti gli elementi necessari ad una sana convivenza, che coniugati al rispetto e alla libertà anticipano il successo del vivere sociale.
Quali componenti della famiglia, secondo te, riuscirebbero ad approcciarsi di più in modo positivo all’altro?
Gli approcci dei personaggi tra loro, rispetto anche alla loro dimensione familiare, sono funzionali affinché la storia arrivi alla sua conclusione. E questo, è più che ovvio. Volendo fare nuove proiezioni su di loro, direi che al modificarsi di uno di loro ne seguirebbe necessariamente una profonda modificazione degli altri due. Forse avremmo una nuova vicenda da raccontare, magari con un altro finale. Quello cioè che può riscrivere lo spettatore, “riavvolgendo il nastro”. E’ quello che capita nella vita, dove ognuno ha sempre una possibilità di essere diverso, di migliorarsi e di diventare conseguentemente un uomo migliore. I personaggi di questa storia, attraverso il loro ruolo e i loro destini, ci parlano delle loro fragilità e ossessioni mettendoci di fronte a una grande opportunità: quella di poter sempre illuminare la propria mente, affinché non sia mai “oscura”.
Il vostro impegno in scena come si coniuga con la visione del pubblico? Come viene accolto lo spettacolo?
Il pubblico in questo è sovrano. La rappresentazione, ciò che esiste sulla scena, prende davvero vita solo se incontra il pubblico che ne diventa il cardine. È anche questo un gioco di relazioni, un’esperienza che si rinnova ogni volta che si va in scena. Ciò che viene rappresentato è assolutamente vivo, ciò che viene scritto dall’autore arriva al pubblico attraverso il lavoro di tante persone, alle quali va il mio personale ringraziamento (tutti nessuno escluso). Quello che si crea poi con il pubblico è una vera alchimia capace di aumentare il valore e il senso dell’opera.
Qual è la difficoltà nel portare un thriller a teatro?
Quando si scrive non si ha la percezione di ciò che succederà al testo: si parte sempre da un’idea, poche righe e poi ci si mette al lavoro. Il genere thriller è immenso e portarlo a teatro non è semplice. Non è solo un problema di centrare una storia, che già di per sé è una sfida, ma è creare la suspance, mantenerla lungo l’asse di sviluppo della storia, rendere i personaggi credibili nei loro ruoli mantenendone i misteri ed i segreti mentre è tutto davanti agli occhi dello spettatore. È la ricerca di una scrittura che amplifichi ciò che sta accadendo tra i personaggi, nelle loro menti come nel caso di questa opera. Non potevo che affidarmi al lavoro della regista, Marzia Verdecchi, che ha dimostrato (come sempre nei suoi lavori) la capacità di entrare in un testo non semplice cogliendone la centralità e l’essenza. È grazie a lei che questo testo è in scena diventando un spettacolo teatrale raffinato, pieno di tensione, arricchito con molti effetti di luci ed ombre che lascia lo spettatore sospeso, fino a quando sul palco i riflettori non si spengono. Un grazie agli attori che sono in scena: Italo Amerighi, Carlotta Mancini e Riccardo Rendina per aver fatto crescere i personaggi in una storia il cui accento psicologico ha richiesto loro un duro lavoro.
Ci sono parole e parole… Quali sono le tre che possono rappresentare maggiormente questo testo?
Manipolazione, ritmo, oscurità. La prima esprime il rapporto tra i personaggi, il ritmo è riferito al crescendo della storia, l’oscurità è tutto ciò che, nascosto, mette davvero paura.
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