In scena a Roma “Mi sa che fuori è primavera” con Gaia Saitta
“C’è bisogno di paura, per avere coraggio”
In molti ricorderanno la triste storia di Irina Lucidi, alla quale il marito sottrasse le figlie gemelle di sei anni. L’uomo si uccise e le bambine non sono mai state ritrovate. Per giorni si sperò, insieme alla madre, di trovare delle tracce, un segno che portasse gli investigatori verso di loro. Cinque anni dopo la scomparsa delle sue figlie, la donna decise di raccontare la sua storia alla giornalista Concita De Gregorio. Da quel racconto ne è nato un libro “Mi sa che fuori è primavera” diventato ora anche uno spettacolo teatrale, un progetto di Giorgio Barberio Corsetti e Gaia Saitta, adattamento teatrale Gaia Saitta, regia Giorgio Barberio Corsetti, con Gaia Saitta che sarà in scena il 28, 29 e 30 settembre ai Giardini di Villa Carpegna a Roma, alle ore 21.00, preceduto, alle 18.30, da incontri-eventi formativi sulla tematica della “violenza” con esperti di settore, tra cui la Dott.ssa Roberta Bruzzone il 28 settembre, Concita De Gregorio il 29 e Paola Natalicchio il 30.
Abbiamo approfondito il tema rivolgendo alcune domande a Gaia Saitta, che ha lavorato intensamente a questo progetto.
Il testo racconta di una donna e del suo dolore come tale e come mamma. Come ha cambiato, se lo ha fatto, la sua vita?
Le parole di Irina cambiano il mondo. Poterle abitare è un privilegio e mi danno voglia di essere migliore. La sua forza, la sua grazia di fronte al più atroce dei dolori mi ricordano il diritto alla felicità per me stessa e per ognuno. Capisco la mia forza di donna grazie alla sua. Le porto una gratitudine infinita.
Portare in scena storie così vere e toccanti è sicuramente un inizio di viaggio interiore. Come ha preparato il personaggio?
Non ho preparato un personaggio. Mai mi sono sentita così a nudo in scena. Era l’unico modo per potermi avvicinare a una materia così delicata. Rendermi il più vulnerabile possibile di fronte ad una donna la cui storia avrebbe potuto essere la mia. Un viaggio difficile, che mi ha cambiata e cresciuta.
Il teatro ha sempre un approccio diverso con il pubblico. Si sa, un film si gira una volta, in teatro ci si cala nella storia ogni sera, cercando di riproporre le stesse emozioni. Qual è se c’è stata, la parte che ha richiesto più impegno ogni volta?
Insieme a Barberio Corsetti ci siamo chiesti come fosse possibile raccontare una storia di oggi, una materia viva in cui il pubblico non rimanesse spettatore, ma fosse attore e, data la vicinanza dei fatti, guardasse da dentro e non da fuori. Per questo abbiamo costruito un incontro diretto con le persone. Lo spettacolo ogni sera coinvolge il pubblico e lo vede protagonista. Ad ogni rappresentazione propongo a nove persone (che possono ovviamente dirmi di no! Nessun obbligo!) di aiutarmi a raccontare questa storia così difficile. Ogni sera nove persone, assolutamente ignare del ruolo che accettano di interpretare, prestano i propri volti e incarnano i protagonisti della vicenda. Ogni volta è un’emozione profonda e un rischio assoluto, perché lo spettacolo è in mano a persone che incontro al momento. Ogni volta ne esco piena di meraviglia, per il rigore e la cura con cui il pubblico scelto fa letteralmente fiorire il racconto.
Lo spettacolo è frutto di un lavoro tratto dal libro di Concita De Gregorio. Com’è stato trasportare in scena il suo testo?
Il testo della De Gregorio è di una bellezza straordinaria e si presta naturalmente alla scena, dimostrando grande forza teatrale oltre che letteraria. E’ stato quindi estremamente semplice farne una versione teatrale. Si è trattato di fare delle scelte per un fatto di tempi scenici, ma non ho cambiato neanche una parola.
Quali sono le sensazioni che vorreste che portasse a casa il pubblico?
La forza di Irina, la sua generosità e la sua grande libertà di fronte a se stessa e al mondo. Dovremmo impararne tutti.
E poi l’occasione di raccontare insieme. Di insieme difendere questa storia e voler fare in modo che non possa capitare mai più.
Questa è anche una storia che permette molti spunti, prova ne sono gli incontri che avvengono prima della messa in scena. Come vi approcciate anche a questo che possiamo definire “preludio” di Mi sa che fuori è primavera”?
Credo che sia un dovere scatenare il discorso politico di fronte alla violenza sulle donne, alla discriminazione di genere e non solo. Irina è un’italiana in Svizzera, una donna che si scontra con un ambiente ostile, che le riserva un trattamento da straniera, da persona di serie B. Non deve più succedere. Non perdiamo la memoria, non ripetiamo gli stessi errori.
Questa domanda sembrerebbe classica, ma sicuramente è importante. Cosa porta con lei non solo del personaggio, ma dello spettacolo in toto?
Le parole di Irina sempre. “C’è bisogno di essere felici, per tener testa a questo dolore inconcepibile. C’è bisogno di paura, per avere coraggio”.
E ancora, “Ho pensato di aver amato molto e che non avrei amato mai più. Mi sbagliavo”.
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