Salvo Miraglia racconta la Sicilia
Amunì è la successione di eventi che racconta la storia della Sicilia e dei siciliani
Salvo Miraglia torna al Teatro Trastevere di Roma con lo spettacolo Amunì, scritto, diretto ed interpretato da Salvo Miraglia che salirà sul palco insieme alle attrici Fatima Romina Ali, Clelia Liguori, mentre le coreografie sono affidate a Jean Michel Danquin.
Amunì è uno spettacolo che racconta i miti dell’isola al centro del mediterraneo, luogo di mille eventi e altrettanti personaggi che hanno animato la storia dell’isola. Ne ho parlato insieme all’autore, regista e interprete di Amunì.
Lei è autore e regista di Amunì, com’è nata l’idea dello spettacolo?
Certe idee nascono da intuizioni, non è questo il caso. Qui si è trattato di puro Desiderio. Prima ancora dell’esigenza puntuale e ciclica, di portare in scena un copione, qui ha bussato la voglia, sempre rimandata, di chiarire certe questioni che riguardano l’Isola più controversa della storia. Il carattere dei siciliani tronfio della sua natura e invariabilità. Santi si esprime in vernacolo ma in effetti in quella lingua meravigliosa che ha il dono del suono e custodisce la Scuola Siciliana di Federico II.
Nella pièce si prova a raccontare la lunga storia, ricca di eventi, della Sicilia, con le sue caratteristiche, qual è stato il metodo con il quale ha scelto ogni singolo evento? Che cosa ha messo in evidenza in questi casi?
Il metodo è quello della casualità e verità. Lo spettacolo vuole dare la sensazione allo spettatore di starsene seduti a casa di Santi e di assistere al volontà di tre attori di partorire uno spettacolo che racconti la storia della Sicilia. Impresa ardua. Allora i tre discutono e si trattano i vari aspetti in modo apparentemente casuale: madre, moglie, arancini, famiglia, colonizzazioni e altro. Poi tutto viene ordinato. È una chiacchierata divertente e colta, edulcorata e arricchita da Canto e Coreografie.
Nello spettacolo sono due donne, Anna e Mela, che cercano di riportare Santi alla scrittura di un testo teatrale. Nella Sicilia di ieri e in quella di oggi, quanta importanza ha la figura femminile?
La donna è tutto. È al centro. Difatti Santi parla con la moglie e la madre. (si sentiranno le voci vere di mia madre e di mia zia). Santi dice con una delle battute più belle della pièce che non si può parlare della Sicilia e trascurare la Fabbricatrice di vita. Parlando di Giuliano, si dedicherà uno spazio alla madre del bandito. Anna e Mela per compiacere Santi fingeranno di essere siciliane… e qui si applica la regola del Teatro che se un attore fa un accento che non è il suo risulta più comico…
Lo spettacolo affronta tanti temi, ma lo fa in maniera divertente e impegnata e non solo con la prosa, ma anche con musica e danza. Come si fondono in scena queste arti?
In maniera esilarante e anche impegnata si passa per i vari argomenti. Per sedimentarli ho sempre usato tra una scena di prosa e l’altra, il canto e le coreografie. Sono espressioni artistiche che dialogano perfettamente tra di loro. Si incastrano come un magico puzzle anche perché nulla è lì come un pianeta a parte: i brani originali di Elisabetta Russo su testi di Cettina Caliò e il mio “U ciriveddu e ‘n filu di capiddu” sono l’estensione di quello che si è detto nella scena che li precede. Jean Michel Danquin non è un solo un ballerino (la danza è espressione artistica sublime) ma lui è qualcosa di più: è un interprete che commenta quello che accade con il suo corpo. L’ha sempre fatto nei miei spettacoli e nella lunga carriera al Bagaglino e in giro per il mondo.
Quali sono state le modalità per la scelta delle musiche?
Le musiche sono un commento come dicevo prima e sono originali. Poi c’è qualche altro brano. Mi viene in mente Nino Rota nel soliloquio del Principe Salina e Pietro Mascagni quando faremo Cavalleria rusticana di Giovanni Verga. Otello Profazio per Colapisci eseguito per pianoforte (anziché per chitarra) da Nicoletta Evangelista
In scena, insieme a lei anche Fatima Romina Ali e Clelia Liguori e Jean Michel Danquin. Com’è stato lavorare con questo cast? Cosa avete appreso una dall’altro?
Amunì ha avuto un parto lungo e varie trasformazioni. Nasce come Mise en espace, poi con altri attori. Ma alla fine questo cast è perfetto. È uno scambio continuo di idee. Da subito ho proposto una recitazione “vera” senza manierismi da attore. Michel alla prima prova, dopo che avevamo già la memoria, ha detto: «Non si capiva quando parlavate e quando recitavate». Ecco questo è stato il complimento più bello che abbiamo ricevuto sin’ora per Amunì.
Quali sono state, invece, le direttive registiche che ha affidato al cast?
Naturalezza e movimenti liberi e non come chiedono certo registi intrappolando l’attore e ridicolizzandolo a marionetta con fili. Posso permettermelo perché ho nel cast tre serie e brave e bravi professionisti.
Cosa vorrebbe che il pubblico, tornando a casa, portasse con se dopo aver assistito allo spettacolo?
Vorrei che perdessero la cognizione temporale. Vorrei che non si sentissero a Teatro ma a casa di Santi e vorrei che uscissero avendo riso, sognato e appreso qualche nozione storica ma senza annoiarsi e soprattutto vorrei che dopo Amunì la smettano per sempre di chiamarmi “Siculo!!!”.
Grazie per essere stato con noi e in bocca al lupo!
Viva!!!
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