Alessandro Izzi racconta Come Medusa
Izzi è il vincitore della Manzione speciale per il premio L’Artigogolo
Come Medusa è il testo di nuova drammaturgia scritto da Alessandro Izzi e vincitore della Menzione speciale del concorso L’Artigogolo, creatura di Cecilia Bernabei e Angela Telesca, che si prefissa di dar voce alla nuova drammaturgia contemporanea e quindi ai nuovi testi teatrali. Izzi ha scritto un testo che parla della violenza sulle donne, che fa riflettere e porta l’attenzione su due situazioni uguali, ma allo stesso tempo, affrontate con dinamiche diverse. Spesso, in situazioni simili, il nostro pensiero è condizionato dal luogo, dalle persone coinvolte, dalle nostre esperienze e dalla società in cui viviamo o, meglio, da quella che ci ha formati.
Non sempre si riesce ad essere giusti, non sempre le parole sono uguali e non sempre, davanti alle regole, alla giustizia, siamo o trattiamo tutti allo stesso modo. Vivere è difficile e relazionarsi con ciò che ci circonda lo è ancor di più. Alessandro Izzi ci parla proprio delle difficoltà che abbiamo nell’essere leali con quei valori che sbandieriamo fieri, ma che è arduo seguire con correttezza.
Benvenuto. Come si è sentito quando le è stata consegnata la menzione speciale del premio L’Artigogolo 2024? Cosa si aspetta ora per il suo testo?
Ricevere la menzione speciale L’Artigogolo è stato una specie di ritorno a casa. Avevo, infatti, vinto il Primo Premio, nel 2016 con Perché la guerra, un testo ispirato al carteggio Freud-Einstein ed avevo un bellissimo ricordo dell’atmosfera, delle belle persone e della realtà piena di entusiasmo dell’Artigogolo. Dal 2016 a oggi, avevo partecipato a qualche altra edizione del premio con testi più o meno ispirati, ma non ero stato selezionato. Sono contento che ora la giuria abbia accolto con favore un testo difficile quale è Come Medusa, particolare sia per l’impostazione strutturale, che si definisce sulla linea di due atti unici autonomi ma speculari, sia per i temi affrontati.
Il testo ha, nel frattempo, vinto anche il Premio Sandomenichino e sarà, per questo, presto pubblicato dalla casa editrice Helicon nella collana curata da Marina Pratici, quindi la sua strada, si può dire, è appena cominciata.
Nel testo lei affronta in due situazioni diverse, la violenza sulle donne. Come ha lavorato per mettere insieme le due narrazioni?
In verità il testo non era stato pensato, a tutta prima, con questa struttura. L’idea di partenza risale al 2019 quando, insieme con l’Associazione Fuori Quadro, avevamo vinto un bando regionale per dei reading audiovisivi nelle scuole. Proprio nel periodo più delicato, quando eravamo immersi nella difficile arte della rendicontazione, io e Ivano Forte, amico di vecchissima data e fidato collaboratore, ci eravamo trovati a riflettere sui compromessi cui si deve scendere quando si cerca di accedere ai fondi pubblici.
Ivano mi pose alcune questioni aperte, alcune contraddizioni che si annidavano anche dove sembrava esserci solo idealismo, e io gli promisi che ne avrei tirato fuori un testo teatrale. Ci vollero però quasi due anni perché prendesse corpo il primo atto unico Come Medusa che nel corso del tempo ha subito parecchie modifiche, pur mantenendo salda la sua vocazione di narrazione in tempo reale. Fu lo stesso Ivano, comunque, nel leggere il testo a notare come non tutto ciò di cui avevamo discusso aveva trovato collocazione nel lavoro finito, e così ho cominciato ad accarezzare la possibilità di un secondo atto che raccogliesse ciò che era rimasto fuori dal primo.
L’idea che le due parti dovessero essere tra loro speculari (stesso numero di personaggi, stessa situazione, stesso ambiente, ma diverse risoluzioni) la ebbi subito. Il problema era capire come intendere questa specularità. In una prima stesura, Medusa allo specchio nacque come una sorta di rovesciamento in chiave di genere, ed era pensato come una sorta di giallo hitchcockiano. In questa forma proposi il testo ad alcuni concorsi fidati, ma mi accorsi che il brusco cambio di genere disorientava il lettore e lasciava perplessi registi e attori. In particolare, ebbi molti utili consigli da Alessandro Martorelli, che aveva messo in scena un mio precedente lavoro: Solo di passaggio.
Grazie a lui il secondo atto ha trovato la sua forma più compiuta e, anche se la versione precedente, con tutti i suoi limiti che ora riconosco, mi fa simpatia perché è esercizio di un genere che non frequento abitualmente, devo ammettere che la versione definitiva, che mi ha richiesto ben cinque anni, mettendo insieme le varie fasi, è coerente e perfettamente inquadrata nella mia idea di scrittura per il teatro.
Cosa le rendono simili e cosa, invece, le diversificano?
Nell’ultima stesura, i due atti sono posti esattamente come due immagini allo specchio: i quattro personaggi del primo si ribaltano naturalmente in quelli del secondo. Ad esempio: se nel primo atto a dirigere la compagnia di attori è un giovane idealista che crede nel lavoro di squadra, nel secondo è una rampante arrivista che accentra tutto nelle sue mani.
Allo stesso modo la specularità si può cogliere nel gioco di entrate e uscite dei personaggi: nel primo atto la vittima dello stupro è l’ultima ad arrivare in scena, nel secondo è la prima; nel primo atto, lo stesso personaggio si lascia alle spalle il palco, mentre nel secondo ne è prigioniera. Ancora: tutte e due le parti dello spettacolo si chiudono con una telefonata che arriva da fuori, ma nella prima viene annunciata una nascita, nella seconda una morte.
Al di là di questa logica strutturale, comunque, la specularità sta nel fatto che il primo atto affronta la nostra paura dello straniero che tanto è alimentata dall’apparato mediatico, mentre il secondo pone l’accento sul nostro modo di sfruttare quello straniero. Del resto, lo stesso crimine cambia di significato e assume diverse gradazioni di gravità se ad essere violentata è un’italiana o una giovane immigrata, a segno che l’uguaglianza è ancora ben lontana dai nostri cuori.
A chi si è ispirato per i personaggi? E per le storie?
La principale fonte di ispirazione è paradossalmente il mito di Medusa che è ancora oggi di sconvolgente attualità. I personaggi richiamano sicuramente la realtà del mondo delle associazioni teatrali che ho frequentato e frequento ancora oggi, ma non credo che nel tratteggiarli abbia ripreso a livello consapevole, persone reali. Le storie sono quelle che ci passano accanto tutti i giorni. Bisognerebbe solo fermarsi ad ascoltarle un poco.
Nella sua drammaturgia si parla di violenza, ma si parla anche di giovani, di immigrazione, di teatro, di dinamiche di accoglienza, come pensa che tutto ciò possa essere accolto dal pubblico?
Io spero che possa essere accolto come spunto di dibattito. Il teatro dovrebbe servire ancora a far parlare, a far riflettere, a porre domande e non a offrire risposte consolatorie o puro svago comico. Come Medusa resta comunque un testo stratificatissimo e denso, forse è il mio testo teatrale più ambizioso e nuovo, anche perché flirta con le dinamiche del multiverso dei fumetti. Per cui può essere letto e visto con estrema libertà.
Nella prefazione, che per me è fondamentale, specifico, infatti, che il lettore, come pure il regista, ha la massima libertà d’azione: può leggere i testi in ordine inverso, può leggerne uno solo, a rigore potrebbe leggerli anche alternandoli tra loro ad ogni uscita di personaggio, o può leggerli così come glieli consegno. Qualsiasi forma che apra alla riflessione è ben accetta.
Nel suo lavoro si parla anche di paura, di coraggio, o almeno, la prova di quest’ultimo. Cosa crede che prevalga nella società odierna e perché?
Direi che la nostra società è ormai fondata sulla paura. Paura del diverso, paura del nemico, paura dell’altro. In questo il teatro potrebbe essere un formidabile antidoto, se riesce a tenersi in qualche modo al di fuori delle dinamiche sociali e dei valori che il Sistema sembra aver ormai definitivamente imposto alle coscienze.
La lotta dei nostri sentimenti è una lotta continua con noi stessi, che nasce e si sviluppa attraverso ciò che abbiamo appreso dalla società in cui viviamo, dalla famiglia, dal nostro carattere, dalle situazioni che abbiamo vissuto o che viviamo. Da cosa dipende il prevalere di un’azione sull’altra, secondo lei?
Dal fatto che ormai siamo diventati assai poco capaci di elaborare i nostri sentimenti. L’impoverimento linguistico è il primo sintomo di un malessere più radicato e profondo perché, quando non sappiamo dare un nome a un’emozione, di fatto, tendiamo a credere che quell’emozione non esista.
Nel mondo di oggi tutto si risolve in una contrapposizione manichea tra Io e gli Altri, ed è esattamente nel cadere in questo tranello il peccato originale di quasi tutti i personaggi di Come Medusa. Tutti, anche le vittime, agiscono in nome di un’errata percezione di un bene individuale, nessuno sembra più capace di porsi la domanda sul lavoro necessario per preservare un bene comune, e alla fine tutti, chi più chi meno, finiscono per rassegnarsi a un male minore che, possibilmente, non comporti per loro la benché minima rinuncia.
Cosa vorrebbe comunicare al pubblico attraverso il suo testo?
Quello che, in fondo, emerge dalle precedenti considerazioni: che la pace è un approdo provvisorio cui dobbiamo tendere, che lo costruiamo un poco per volta perché, come diceva Beccaria, bisogna rinunciare a una piccola parte della nostra libertà in nome del vivere sociale. Altrimenti passeremo la nostra vita a temere l’altro.
Nel suo lavoro cosa attrae spesso il suo interesse?
La persona. Scoprire una storia dietro ogni incontro, dietro ogni volto. Sia nel teatro, che nella narrativa, che nella poesia, ma credo anche nella critica che frequento molto meno nell’ultimo periodo, non sono uno sperimentatore fine a sé stesso, ma mi allaccio al bisogno di scoprire un mondo nell’altro. In particolare, nel teatro non amo i testi formalisti, detesto le battute scioglilingua e mi affido come un bambino alle unità aristoteliche a un disperato bisogno di epifania. Per me la scrittura è sempre scoperta di qualcosa.
Quali sono i suoi prossimi o futuri progetti? Cosa dovremmo aspettarci?
È appena uscita una mia nuova raccolta di racconti fantastici dal titolo Gli occhi della notte edita da Acheron Books e curata da Alberto Panicucci, che non finirò mai di ringraziare per la pazienza. L’immediato futuro è tutto occupato dai due prossimi libri: Come Medusa e Fondi di caffè, un’altra raccolta di racconti, realistici questa volta, che uscirà per le edizioni Il Papavero.
Grazie per essere stato con noi!
Grazie a voi per avermi ospitato.
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