Manuele Pica e Simone Precoma raccontano SolaMente in Acirema
Uno spettacolo sulla forza e volontà per mantenere sempre vivo il desiderio di libertà
SolaMente in Acirema è lo spettacolo di e con Manuele Pica, diretto da Simone Precoma in scena al Teatro Trastevere di Roma dal 21 al 23 febbraio. Il monologo racconta la storia di una famiglia che dopo essere partita per l’America, decide di tornare in Italia per rivedere o conoscere i luoghi della terra natìa, ma che resta bloccata nel paese per le nuove disposizioni fasciste. È un racconto che mette a nudo l’anima e i desideri di chi, in realtà, ha ormai formato la sua nuova vita in un altro luogo, lontano dall’Italia.
A raccontare lo spettacolo l’autore e interprete Manuele Pica e il regista Simone Precoma a cui diamo il benvenuto sulle pagine di CulturSocialArt.
SolaMente in Acirema parla di immigrazione e “prigionia”, parla di passato, ma anche di presente. Come nasce questo spettacolo?
Manuele Pica: Solamente in Acirema nasce dal desiderio di far conoscere il passato della mia famiglia e dalla considerazione che ogni singola storia contribuisce a creare la storia con la “S” maiuscola. La mia famiglia poi è rimasta proprio “imprigionata” nella storia, quella drammatica del nostro paese. Partendo da questo desiderio, ho avviato un processo di scrittura che potesse attualizzarlo e renderlo universale, da coinvolgere ogni spettatore a 360 gradi, non solo sul piano emotivo e riflessivo, ma anche quello introspettivo.
Chi sono le persone o quali fatti e vicende che l’hanno spinta a scrivere lo spettacolo?
M. P.: Nonno Rolando in primis ed i suoi genitori Paoletto e Annunziata ma anche zia Maria, zio Berardino, zio Filippo, il bisnonno Gioacchino con le loro storie intrecciate… alcuni di loro sono partiti dall’Italia nel finire del 1800 col desiderio di un futuro migliore. Alcuni di loro, nati in America, sono i protagonisti di questa storia: sono coloro che ritornati in Italia per una breve vacanza sono rimasti “bloccati” a causa dello scoppio della guerra e della promulgazione di alcune leggi sul rimpatrio degli Italiani all’estero.
Oltre alla famiglia, protagonista è l’America, in quegli anni luogo di speranza e poi trasformata in un sogno irrealizzabile. Come vede l’America di quegli anni? E quella di oggi?
Simone Precoma: Affrontando la regia di questo spettacolo ho dato quasi per scontato che l’espressione “trovare l’America” avesse un significato universale, che per tutti significasse fortuna ma soprattutto speranza. Ad oggi credo che rimanga ben poco di quel sogno e si fa fatica a vederne di nuovi all’orizzonte. Ma forse lo spettacolo parla proprio di questo, del bisogno di trovare dentro se stessi ‘”America”.
Che tipo di persona è Ludovico, il protagonista dello spettacolo? Alla fine come cambia, se ciò avviene, il suo carattere, la sua vita?
M. P.: Ludovico è una persona ferita, smarrita, persa, sola, nella sua confusione e nel suo dramma… incompreso. Certamente avviene un cambiamento, doloroso, egli stesso si scoprirà poi, simbolo. Un simulacro della tortuosa strada che ognuno di noi dovrebbe compiere costantemente per conoscersi veramente, accettarsi appieno, viversi fino in fondo per trovare la forza di scegliere di vivere e andare oltre le difficoltà, cambiare, rinascere, superare la morte stessa, quella spirituale, interiore, per dare spazio ad un Ludovico nuovo, diverso, libero.
Quali sono gli accorgimenti registici che ha messo in atto in questo spettacolo?
S. P.: In scena campeggia una vetrata con la scritta “acirema” tutto ciò che oltre la vetrata è vivo, semplice, quotidiano, tutto quello che è dentro la stanza è complesso, doloroso. Ludovico aspira ad uscire dalla stanza, ma il percorso non ha a che fare solo con una porta da aprire ma con una vita da rimettere in ordine: fatti, emozioni, drammi da rivivere e risolvere.
Quali invece, i consigli e le direttive che ha dato a Manuele Pica?
S. P.: Quello con Manuele Pica è un sodalizio solido e di lunga data. Ci legano una comune ricerca teatrale oltre all’amicizia. Questo testo si basa su una storia vera che appartiene alla sua famiglia e mi ha fatto estremo piacere che la abbia voluto affidarla alla mia regia.
Io credo che la recitazione sia sempre un “reagire“. Ho creato quindi situazioni registiche per Manuele che gli permettono di avere reazioni vere ed intense, lui ha una straordinaria capacità di passare da uno stato d’animo all’altro… e portare lo spettatore in questo tourbillon di emozioni.
Quali sono, secondo lei, le gabbie reali in cui vive la nostra società e quali, invece, quelle mentali?
S. P.: Sarebbe sciocco negare che la vita può essere veramente dura e creare gabbie quasi impossibili da aprire, penso a malattie, guerre, condizioni economiche estreme… eppure esiste un luogo dove è sempre possibile essere se stessi (questa è l’unica vera libertà) ed è SolaMente in Acirema.
Quando la mente può arrivare ad essere libera e, in questo modo, continuare a sperare anche se si vive in una gabbia sociale?
M. P.: Viviamo in una società che cerca soluzioni veloci, immediate, risposte facili… In questo modo non credo si possa raggiungere una vera e propria libertà mentale, non c’è possibilità alcuna di trovare il proprio luogo felice, perché per salire ad un livello superiore, si richiede una ricerca costante, dolorosa. Una lotta faticosa e snervante, e bisogna crederci con tutte le poche forze rimaste, sperare, fino in fondo, anche quando tutto sembra impossibile, ed accettare, superare la sopportazione, quel limite oltre il quale, la quiete, la pace, è sovrana… ed è qui che quella gabbia propria (asociale) e sociale si sfalda, in un istante.
Cosa vorrebbe che lo spettatore portasse a casa dopo lo spettacolo?
M. P.: La speranza, la determinazione, il coraggio di uscire dalla propria gabbia, e sanare ogni ferita. La forza di lottare con se stessi fino a morire per rinascere migliori, diversi, nella propria Acirema, ovunque essa sia, così da realizzare in libertà quei sogni e desideri da sempre soffocati.
Grazie e in bocca al lupo!
S. P. e M. P.: m…., m…, m….