InCorti da Artemia 2025: Il trucco

In scena il corto che parla del bisogno di aiutare gli altri

Il trucco scritto e diretto da Carlo Prozzo, con Vincenzo De Matteo, è uno dei corti in scena al festival InCorti da Artemia 2025, ideato e diretto da Maria Paola Canepa direttrice artistica del Centro Culturale Artemia di Roma. Il festival divenuto una piazza importante del panorama teatrale italiano, presenta al pubblico corti che potranno divenire spettacoli e che si contenderanno le preferenze di pubblico e giuria presente in platea.

Benvenuti! Il vostro corto racconta di un Clown ospedaliero. Com’è nata questa storia?

Carlo Prozzo: Questa storia nasce da un’esperienza personale. Una decina d’anni fa lavoravo come animatore in un villaggio turistico. Una sera, il capoanimatore mi disse che avrei dovuto fare il clown. Così, in modo del tutto casuale, nacque il mio clown: Mr. Smile, un clown muto, molto simile a Charlie Chaplin, che aveva il compito di intrattenere anziani e bambini ospiti della struttura. Con quel clown, per un certo periodo, ho poi girato negli ospedali, cercando di portare avanti quella missione nata per caso.

Il monologo si intitola Il trucco perché all’inizio avevo grosse difficoltà con il trucco, in particolare con la matita. E da quel piccolo problema, che in un contesto ospedaliero non è certo un vero problema, ho iniziato a costruire una narrazione. Tutti i personaggi presenti nel monologo sono realmente esistiti. Non c’è finzione, c’è solo un meccanismo narrativo che cerca di essere ironico per raccontare un dolore di cui spesso non abbiamo il coraggio di parlare.

Qual è il fascino del clown e cosa lo differenzia dal mondo che lo circonda?

Vincenzo De Matteo: Il fascino del clown sta proprio nell’immagine che è costretto a proiettare di sé: sorridente, allegro, spensierato. Ma è proprio da questa maschera che nasce anche il suo lato disturbante. Perché è impossibile essere perennemente felici.

La tragedia del clown è tutta lì: far ridere anche quando dentro si muore. E, in fondo, è anche la tragedia dell’attore. Non sempre lo stato emotivo dell’attore coincide con quello del personaggio, e questa è la nostra sfida… o forse la nostra condanna.

I clown sono sempre coloro che danno allegria, ma in fondo rappresentano la tristezza. Come avete descritto e lavorato su questo dualismo?

Vincenzo: Un clown in un reparto di oncologia è forse la sfida più difficile, proprio per il forte contrasto che impone il luogo stesso. Ho cercato di non caricare subito il disagio interiore del personaggio, ma di lasciarlo emergere solo in certi momenti. In alcune scene più crude, invece, ho immaginato che il clown si difendesse con il distacco. Un distacco necessario per sopravvivere a quel basso continuo che è il suono della morte, e che lo avvolge inesorabilmente.

Il dolore diventa più forte se inserito all’interno dell’ambiente ospedaliero. Cosa avete cercato di esprimere?

Carlo: Non abbiamo cercato di mettere in scena il dolore in sé, ma i dubbi e le incertezze che il dolore porta con sé. La necessità di avere coraggio per sopravvivergli. La necessità — quasi disperata — di trovare il coraggio quotidiano per andare avanti.

In ospedale conosci ogni giorno persone nuove. Crei legami, ma sei cosciente della loro fragilità. Sono legami che spesso hanno una scadenza molto breve. Eppure, in mezzo a tutto questo, ci sono sorrisi, battute, gesti piccoli che restano. Ed è da lì che volevamo partire.

Qual è il vostro rapporto con il dolore? Come lo superate?

Carlo: Credo di avere un pessimo rapporto con il dolore. Non so se sono capace di superarlo. Sicuramente sono molto bravo a somatizzarlo. Ogni tanto, per cercare di liberarmene almeno in parte, scrivo. Un po’ come fa il clown quando si leva il trucco: resta la faccia stanca sotto, ma almeno respira.

Come vi state preparando al debutto sul palco di InCorti da Artemia e cosa vi aspettate da questa esperienza?

Carlo: Ho scritto questo testo qualche anno fa, mentre frequentavo un corso di teatro. Spoiler: recitare non fa per me, ma poi, fortunatamente, ho conosciuto Vincenzo e ho pensato che lui potesse essere la voce giusta per questa storia, e direi che è andata bene. Questo testo l’ho scritto quasi tutto in cucina, camminando avanti e indietro con un taccuino in mano, ripetendo il testo rigo per rigo ad alta voce.

Nel momento in cui lo scrivevo non avrei mai immaginato che un giorno sarebbe diventato un corto teatrale, né che sarebbe stato selezionato per un festival. Per questo motivo, ci stiamo impegnando al massimo per adattarlo e trasmettere al meglio le emozioni che sono alla base del testo.

Spero che questo corto possa parlare a chi ha vissuto, direttamente o indirettamente, l’esperienza della malattia o dell’assistenza. Ma anche a chi crede nella forza della gentilezza. Il clown diventa specchio, riflesso delle fragilità di tutti noi.

Grazie e in bocca al lupo!

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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