Luca Avallone e Stefano Colucci raccontano Depravazione

Uno spettacolo che indaga l’animo umano

Luca Avallone sarà in scena con Depravazione, con adattamento e regia di Stefano Colucci, all’Ar.Ma Teatro di Roma il 30 e 31 maggio e 1 giugno. Un testo ispirato a Memorie del sottosuolo di Fedor Michajlovič Dostoevskij. Un uomo solo che combatte con se stesso, con i propri sentimenti, con il mondo. Luca Avallone e Stefano Colucci mostrano, indagano, l’animo umano.

Per conoscere e approfondire i temi dello spettacolo Depravazione, facciamo due chiacchiere con Luca Avallone interprete unico e Stefano Colucci regista che ringrazio per aver accettato il nostro invito a parlare del loro nuovo lavoro.

Luca, sarai in scena con Depravazione da Fedor Michajlovič Dostoevskij per la riduzione teatrale di Stefano Colucci. Cosa ti ha attratto del testo?

Ovviamente del testo mi ha attratto il sottosuolo del personaggio, così contraddittoriamente onesto, sincero e controverso allo stesso tempo. È un personaggio tridimensionale che mi ha consentito di esplorare il lato più oscuro di me e della natura umana in generale.

Stefano, tu hai scritto la riduzione del testo. Perché hai scelto questo personaggio e come lo hai delineato?

Mi piace pensare che siano le idee, le storie e i personaggi a sceglierci, un po’ come le bacchette magiche di Harry Potter. In questo caso ancor di più poiché il progetto nasce da un’ossessione di Luca per il libro. Ci lavorava da qualche anno, poi mi ha proposto di curarne la drammaturgia e la regia. Ho sempre scritto o diretto idee originali, ma il confronto con un’opera di altri mi intrigava da tempo. Luca mi ha fatto un dono immenso: non avrei mai pensato a Memorie del sottosuolo, eppure era la scelta più giusta.

Dentro ci ho trovato tanto di ciò che amo da Woody Allen a Taxi Driver, per dare un paio di riferimenti. Soprattutto ho visto la possibilità che offre un classico il quale, essendo per definizione senza tempo, si fa specchio dell’oggi. Ho percepito che poteva essere un’opportunità per riflettere sul maschio contemporaneo e decostruirlo.

Il personaggio non ha nome, non ha un luogo definito. Perché?

Luca: Questo perché è un personaggio universale, si può adattare a tutti i tempi, in tutti i luoghi, a qualsiasi persona.

Stefano: Questa è stata una felicissima idea di Luca. Già nella sua prima proposta aveva ipotizzato che togliere ogni coordinata spazio-temporale e identitaria avrebbe reso il personaggio più universale. Mi è sembrata un’intuizione perfetta. L’uomo del sottosuolo è senza nome perché è un archetipo, una maschera dietro la quale si nascondono tutti e nessuno.

Senza luogo perché non ha patria, come un profugo metafisico. La sua sola geografia è l’inconscio, il sottosuolo, appunto. Jung parlava di inconscio collettivo. Mi piace pensare all’uomo del sottosuolo come un simbolo appartenente a questa eredità psicologica che condividiamo tutti.

Luca hai avuto difficoltà a non identificarti con un nome? Non hai sofferto di mancanza di identità?

No, al contrario. Ho avuto una grandissima libertà di muovermi ed esplorare il mondo interiore del personaggio, senza avere delle coordinate costrittive che imbrigliassero e condizionassero la costruzione del personaggio.

Il lavoro fatto sul personaggio che cosa ha permesso di sviscerare?

Questa più che mai è stata una grandissima opportunità di esplorare la natura contraddittoria dell’essere umano. Ho cercato di sviscerare le parti più tetre di me, comprendendo e accettando che sono delle parti imprescindibili per l’uomo e universali.

A livello registico, come hai lavorato con Luca e con la messa in scena?

Luca è straordinario. Gli ho dato delle immagini, talvolta anche astratte, e poi ho osservato il suo modo di renderle tangibili. Quando non erano in linea con ciò che avevo in mente prendevo appunti e capivamo insieme come muoverci. Con la messa in scena volevo qualcosa di minimale.

Ho immaginato un appartamento sporco, illuminato come certi film horror anni ’70, disegnato in stile Loggia Nera di Twin Peaks, per dare l’idea di uno spazio abitativo ma anche dell’inconscio. Ogni zona dell’appartamento rappresenta una parte della mente, attivandosi come un ricordo o un sogno. Volevo che ogni oggetto scenico fosse ciò che sembra, ma anche qualcosa d’altro: un simbolo, un archetipo, una parte del protagonista. Di fatto, oltre a Luca, in scena vediamo altri personaggi che però non sono interpretati da attori.

Chi è davvero l’uomo e cosa cerca?

Luca: Quest’uomo, come un bambino capriccioso, cerca approvazione, riconoscimento. In altre parole amore. Amore per sé stesso. Quell’amore che lui stesso non prova o non è in grado di comunicare.

Stefano: È uno che ha capito troppo tardi di non aver capito niente. Bloccato tra l’alto e il basso, cerca sé stesso ma quando si trova non riesce a reggere lo sguardo.

Lo spettacolo si intitola Depravazione, che sembra faccia un po’ il verso a disperazioni. Quali sono i sentimenti che prevalgono?

Luca: Amore, odio, tenerezza, rabbia. Tutto lo spettro emotivo umano, è un personaggio tridimensionale e vero, estremamente vero.

Voi siete giovani. Come avete affrontato un testo del secolo scorso, cercando di attualizzarlo a situazioni moderne e ai giovani?

Luca: Parlo ovviamente dalla prospettiva attoriale. Ho lavorato come sempre. È un classico e come tale è sempre attuale. Non ho pensato a situazioni attuali o contemporanee nello specifico. Il classico parla a tutti. Sempre e per sempre.

Stefano: Ci siamo accorti che diceva cose che sembravano scritte stamattina. La modernità spesso è solo una ripetizione isterica dell’antico sotto altre forme. Non abbiamo attualizzato, quindi, abbiamo semplicemente rimosso le coordinate spaziotemporali lasciando il resto così com’era per mostrare che nulla è cambiato. E, sul finale, ho cercato di portare fuori qualcosa che sentivo essere tra le righe del testo originale e che mi sembrava comunicare in maniera molto profonda con la cronaca nera attuale.

Pensate che oggi testi così possano portare, o meglio riportare, i giovani o gli adulti a teatro?

Luca: Purtroppo non penso basti questo per riportare pubblico a teatro. Credo che il pubblico per tornare nel buio della sala abbia bisogno di maggiore umanità, maggiore contatto umano e maggiore empatia. Quest’ultima intesa come curiosità di scoprire e conoscere l’altro, con la naturale conseguenza di conoscere meglio se stessi.

Stefano: È una bella domanda che mi faccio spesso. Forse non dobbiamo aspettare che le persone vengano a teatro. Forse è il teatro che deve andare da loro. Con questo testo vorrei fare proprio ciò. Prima ancora del debutto siamo andati in periferia, in una libreria e poi in una biblioteca. Il teatro, forse, non deve aspettare ma camminare. Prendere la metropolitana. Perdere l’autobus. Togliersi lo smoking e indossare una tuta. Magari domani porteremo questo testo in un locale dove di solito si va a ballare o dentro un ascensore.

C’è un modo per ridare vita al teatro?

Luca: Non so. Sicuramente uno dei modi è mostrare liberamente e senza limiti personaggi e spettacoli veri, senza pregiudizi, che parlino veramente allo spettatore, nel profondo.

Stefano: Non so se sia davvero morto. Muore, forse, il mercato ma l’atto creativo in sé sarà sempre vivo e vegeto. Il problema credo sia proprio l’ansia di resuscitare il mercato invece di provare ad andare oltre. Il teatro dovrebbe essere lasciato libero di invecchiare, cambiare voce, inciampare, dire cose strane. C’è bellezza anche nella vecchiaia. Così come un essere umano, raggiunta una certa età, ha ancora molto altro da esplorare, così il teatro. Non si può pretendere che insista a comportarsi come un adolescente.

Qual è il messaggio ultimo che vorreste raggiungesse il pubblico, uscendo dalla sala?

Luca: No, non messaggi. Vorrei che il pubblico uscisse dalla sala con più domande di quante ne avesse quando è entrato.

Stefano: Non voglio dare delle risposte, non sento di averle e penso sarei presuntuoso a voler imporre un messaggio al pubblico. Mi farebbe molto piacere, invece, che gli spettatori uscissero dalla sala pieni di domande. È il dubbio a farci andare avanti come esseri umani.

Grazie e in bocca al lupo!

Luca: Viva il lupo.

Stefano: Grazie a te, viva il lupo!

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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