Annalisa Di Domenico racconta la mostra di Mario Carbone
La galleria Art GAP porta a Roma gli scatti del fotografo Mario Carbone
Dal 1 al 21 aprile 2023 la galleria Art GAP accoglierà la mostra personale fotografica Se invito il buio, la luce scappa, una raccolta di immagini del fotografo Mario Carbone, pilastro della fotografia italiana e non solo. Un uomo che ha vissuto i cambiamenti italiani, ma anche quelli legati alla fotografia. La mostra che è stata allestita e curata da Annalisa Di Domenico, vuole omaggiare il maestro, attraverso il suo sguardo su eventi, sentimenti, ma anche architetture presenti a Roma e immortalati da Carbone.
Un evento che avrà il suo vernissage sabato 1 aprile alle 18.00 presso la galleria Art GAP di Roma, in via di Santa Maria in Monticelli, 66, dove verranno aperte le porte per accogliere i tanti visitatori alla mostra, per ammirare le opere di Carbone. Ne abbiamo parlato insieme alla curatrice della mostra Annalisa Di Domenico.
Salve e benvenuta! La Art Gap Gallery organizza una mostra fotografica dedicata a Mario Carbone, uno dei migliori fotografi italiani. Cosa rappresenta Mario Carbone per la fotografia del passato? E per i fotografi moderni?
Carbone fa rivivere l’umanità che ci ha preceduto, che si è sgretolata ed è divenuta invisibile. Nelle sue inquadrature, egli esplora il mondo eterogeneo degli uomini e delle donne, in un mix di espressioni che partono sempre dalla vita vera. Quando era giovane, era un innovatore, uno sperimentatore, sempre pronto ad indagare i momenti autentici dell’umanità stessa. Questa ricerca che lega Carbone alle verità di un mondo quotidiano è diversa da quella di molti fotografi moderni. Nell’era del digitale, infatti, essi tendono ad usare l’immagine come un mezzo che, invece di raccontare la realtà, spesso, la esaspera con continui aggiustamenti. Le opere di Carbone sono un valido spunto di riflessione, perché non solo ci mostrano come la vita sia interessante senza la “manipolazione tecnologica“, ma anche come le immagini tratte dalla vita vissuta contengano spesso elementi casuali ma, inaspettatamente, sorprendenti.
Un tempo la fotografia aveva bisogno di molto più lavoro e studio, oggi la tecnologia ha facilitato di molto il compito, come si evidenzia ciò nelle fotografie?
Un tempo essere fotografi richiedeva competenze specifiche e anche la stampa analogica era un lavoro molto complesso, bisognava sviluppare il negativo, preparare i bagni e queste operazioni andavano svolte nel buio della camera oscura. A raccontarlo, sembra quasi veder compiere un rito ancestrale. Oggi, è sufficiente conoscere dei programmi e possedere una stampante, sicuramente, il processo complesso si è ridotto a delle competenze che tutti possono acquisire, ma forse siamo caduti in una sorta di binge-watching della fotografia, in cui, come nelle serie TV, ne fagocitiamo una dopo l’altra senza dare ad ognuna il giusto valore. Comunque, vorrei sottolineare che in mostra, la maggior parte delle opere sono delle stampe originali che Carbone ha stampato in modo analogico. Si dice che il lavoro di post produzione nel cinema sia equiparabile ad una seconda regìa, così è in queste stampe, Carbone ha reso le sue fotografie dei pezzi unici che rispecchiano la precisa scelta estetica dell’artista.
Il titolo della mostra di Carbone è “Se invito il buio, la luce scappa”. Perché ha scelto questa frase?
In collaborazione con la Fondazione Mario Carbone e con il figlio Roberto, abbiamo scelto come titolo una frase che Mario ha detto, così, come una riflessione “Se invito il buio, la luce scappa“, proprio a sottolineare come soltanto in questa dualità, in questo continuo rincorrersi degli opposti, sia possibile creare il contrasto nella fotografia, Carbone nel suo lavoro è molto interessato anche al buio, al nero delle immagini, e ogni volta ha dovuto mediare, ha dovuto trovare un equilibrio, altrimenti avrebbe perso anche la luce. Questa riflessione dell’artista è interessante anche nella vita, perché è sempre necessario trovare “il giusto compromesso” da cui guardare il mondo.
Mario Carbone è una persona che ha alle spalle anni di esperienza e vita vissuta, alla sua età, come vive una mostra che mette in risalto le sue opere e il suo lavoro?
Carbone è sempre stato un uomo curioso e pieno di voglia di fare. Ricordo che qualche anno fa abbiamo organizzato una mostra alla Casa della Memoria e della Storia di Roma, intitolata “Lavorare in bianco e nero“, una squarcio su un tempo in cui, in Italia, il lavoro senza garanzie e senza diritti era molto frequente. In quell’occasione abbiamo lavorato fianco a fianco. Oggi Mario è un uomo più pacato e silenzioso, ma esporre le sue opere significa tanto per lui e vedere persone che portano avanti con forza la sua arte, sicuramente lo rende felice.
Ritornando al lavoro che verrà esposto, molte delle fotografie di Carbone sono in bianco e nero, qui la luce è un elemento fondamentale. Come vive l’artista la luce?
Nelle sue opere si trovano spesso dei contrasti netti che disegnano i volumi e delineano figure. Carbone riesce, attraverso la luce, a creare atmosfere particolari e, come in un dipinto di Raffaello, il buio sembra temere la vicinanza dei toni più chiari, i quali rivelano l’immagine nella sua crudezza. Ma nella mostra saranno esposte anche due opere a colori, con una luce molto particolare. Si tratta di una donna conosciuta dai romani, perché anni fa sedeva molto spesso su una panchina che era situata nella parte laterale di Piazza del Popolo. Era una figura minuta, delicata, e indossava abiti dai colori pastello ed era spesso persa nei suoi pensieri. Il soggetto e la luce in cui è immerso rende l’immagine rarefatta e sembra voler suggerire una ricerca contemplativa in una città caotica.
Quali sono gli elementi che Carbone ha sempre ricercato nelle sue fotografie? Sono elementi di ricerca ancora oggi?
Mario Carbone nella sua lunga carriera ha sempre privilegiato le questioni sociali, lui è stato un testimone diretto di eventi come l’alluvione di Firenze o il terremoto del Belice. È stato anche un regista sul campo, che ha lavorato con Cesare Zavattini e con Romano Scavolini. Ma ciò che è evidente, in tutte le opere fotografiche di Carbone, è questo interesse che lui ha per la condizione umana, dagli operai in Piazza del Popolo alle performance della Abramovic, ogni sua fotografia parla di emozioni, di momenti in cui la realtà diventa interessante.
Cosa apprezza lei in particolare di tutta la mostra?
La mostra è un racconto visivo, organizzato con immagini che dialogano due a due, in cui le persone interpretano la precarietà dell’esistenza umana e che l’artista fissa come impressioni fotografiche al di là del proprio tempo. Io, personalmente, amo tutte le opere esposte, perché in ogni fotografia riconosco la vita, le donne e i loro sguardi, i monumenti millenari usati per ripararsi dal sole, i bambini che imitano i grandi. Chi guarda le opere di Carbone non può che riconoscersi in quel vissuto che lo lega ai suoi simili: ci si rivede nel ragazzino con la palla sotto la maglietta che sembra “incinto”, un gioco che tutti noi abbiamo fatto, e che potrebbe fare coppia con la “bambina con il pallone”, di Letizia Battaglia. Entrambi i soggetti rompono gli stereotipi di genere presenti ancora oggi, ma che anni fa erano molto più forti. Entrambi i fotografi hanno colto il piccolo gesto rivoluzionario dei ragazzini: il giovane maschio che mima una pancia al nono mese e la bambina che invece di giocare con le bambole tiene fiera in mano il suo pallone.
Ci suggerisce un’opera da osservare con particolare attenzione?
Posso suggerirvi una fotografia in bianco e nero che ho visto tante volte, ma nella quale ogni volta ancora mi perdo. Raffigura una donna, seduta alla locanda Al Vero Albano, un luogo di ritrovo per gli artisti romani negli anni ’50, è appoggiata al muro con una mano sulla fronte ed è chiusa nel suo malessere. Sembra una donna vinta dalla vita, persa in un mondo che forse non la accoglie, ogni volta mi restituisce con forza un interrogativo, un enigma. Sembra di essere davanti alla Gioconda, si cerca di scrutarla, di comprenderla, ma lei sfugge, è sola, persa in chissà quali pensieri. Ed ogni volta, la guardo e mi perdo con lei.
Grazie per essere stata con noi!
Grazie a voi e ci vediamo alla mostra.
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