Daniele Bernardi è Nijinsky

Io sono Nijinsky, lo spettacolo sul Dio della danza di Bernardi

L’11 e il 12 maggio 2024 sarà in scena al Teatro Trastevere di Roma, Io sono Nijinsky, uno spettacolo scritto, diretto ed interpretato da Daniele Bernardi. Lo spettacolo racconta parte della storia del ballerino russo Vaslav Nijinsky, stella della danza ma colpito prematuramente, dalla pazzia.

Tra le nevi svizzere, nelle quali il ballerino si rifugiò per sfuggire alla prima guerra mondiale, l’uomo cominciò a fare i conti con i segni di squilibrio. Il testo dello spettacolo vuole immergere lo spettatore negli ultimi giorni di festa che precederanno all’ultima esibizione del ballerino. Daniele Bernardi parla del suo spettacolo, di Vaslav Nijinsky e della pazzia.

Salve! Lo spettacolo che porterà in scena, Io sono Nijinsky, parla della stella dei Balletti Russi, Vaslav Nijinsky. Che cosa l’ha attratta del ballerino russo?

La vita di Nijinsky mi ha catturato da più punti di vista. Innanzitutto sono sempre stato un amante della cultura russa, i miei primissimi spettacoli erano dedicati a poeti di epoca sovietica. Secondariamente mi interessava il suo rapporto con la scrittura, che è stato breve ma intenso. Altro aspetto importante risiedeva naturalmente nella danza: la sua influenza sul teatro novecentesco è stata determinante al punto da venire considerato, da alcuni danzatori giapponesi, il primo artista butoh del secolo. Infine mi interessava la relazione fra la sua malattia e la Storia.

Secondo lei come ha vissuto Nijinsky la sua fama e il suo talento?

Sono stati una sorta di bolla di sapone in cui ha potuto proteggersi da un mondo in cui non era in grado di vivere e di provvedere a se stesso. Infatti, quando questa è scoppiata la sua vita è andata in pezzi. Ma c’è anche dell’altro: la sua genialità era legata all’universo della sua infanzia, popolato da acrobati, artisti di circo e danzatori. Un universo fiabesco, del quale, lui, suo fratello e sua sorella da piccoli erano i magici protagonisti.

Nel suo spettacolo si è ispirato liberamente ai diari della stella dei Balletti Russi. Che cosa l’ha emozionata leggendo quelle pagine? Chi e cosa esce fuori da quegli scritti?

Ciò che colpisce nei diari è l’impressionante, incontenibile accavallarsi di racconti che popola le pagine. Si tratta di un testo redatto nel pieno di uno scompenso psicotico e la sua forma è caotica, magmatica, inafferrabile. Riuscire a districare i fatti è davvero difficile per chi non conosce la cronaca di quei giorni. I personaggi che emergono sono i compagni di vita del danzatore: il fratello Stanislav e la sorella Bronislava, la madre, l’impresario Djagilev, la moglie Romola e la figlia Kyra. Al contempo tocca la purezza di sguardo dell’artista, la sua ingenuità e la sua indole visionaria.

Nel mettere in scena il talento di un ballerino, quale Nijinsky, in cosa ha trovato difficoltà e, al contrario, cosa le è sembrato più semplice?

Di semplice non c’è stato nulla. A cominciare dalla ricerca delle sovvenzioni, che fortunatamente ci sono state è hanno permesso una buona realizzazione del lavoro. Le sole idee chiare che avevo erano quelle che riguardavano le immagini: volevo una scena bianca, un abete, una piccola slitta e dei pacchi regalo, tutti elementi reperibili nella storia. Volevo anche dei pupazzi che rappresentassero le altre figure del racconto. Creare il copione è stato faticoso, perché, come dicevo, orientarsi nelle pagine dei diari è difficile: non c’è mai un punto fermo e ci si perde. Altro aspetto difficile è stata la recitazione e il movimento, che ho ricercato per settimane e settimane prima di trovare una chiave interpretativa.

Il celebre ballerino fece i conti con la pazzia. Come ha deciso di raccontare in scena questo tipo di infermità?

A posteriori mi sono reso conto che la forza dell’operazione non risiede tanto nella cronaca psichiatrica specifica, quanto nel far sì che la pazzia del personaggio sia recepita dallo spettatore come il riflesso della pazzia del mondo e della Storia. Questo è il taglio drammaturgico di Io sono Nijinsky.

La pazzia è un’infermità che colpisce varie persone. In Italia esiste la legge Basaglia, che nel 1978 sancì la chiusura dei manicomi. A distanza di tanti anni, cosa si potrebbe fare per migliorare la stessa?

Ho lavorato attraverso il teatro sia nelle comunità terapeutiche italiane che Svizzere e posso dire che il problema è a dir poco enorme, ma non solo per questioni di legge. La pazzia è fra le peggiori disgrazie che possa capitare nella vita di un essere umano e, ancora oggi, si fatica a far sì che chi ne è colpito abbia una vita decente. Questo avviene perché è una malattia oscura, attorno alla quale fioriscono molte teorie. La sola cosa che si può fare è cercare di fare rete attorno a chi ne soffre attraverso un insieme di pratiche diverse, sapendo che l’impresa è a dir poco titanica. Tutto sta nelle peculiari risorse del destino del singolo.

Tornando allo spettacolo, il colore prevalente è il bianco. Che cosa rappresenta?

La neve. Quando Nijinsky si rifugia a Saint-Moritz nevica incessantemente. Inoltre il bianco è il colore degli ospedali, delle cliniche, dei farmaci. È uno dei colori prevalenti nelle prime performances butoh ed è, anche, il colore della carta. È pure uno dei colori della morte.

Che cosa ha scoperto di sé, portando in scena questo spettacolo?

Diciamo che ho toccato alcune parti della mia fragilità che mi illudevo fossero più solide. In questo senso è stata una buona lezione. Inoltre ho scoperto che le serate migliori sono quelle in cui il pubblico ride: lì lo spettacolo diventa davvero drammatico.

Chi sono e cosa le hanno dato, invece, i suoi collaboratori?

Ledwina Costantini, con la quale collaboro da anni, ha splendidamente realizzato scenografie, oggetti, pupazzi e tessuto sonoro. Luisa Beeli ha creato i costumi. Raissa Avilés ha prestato la sua voce al personaggio di Romola, mentre Elisa Pagliaro ha seguito una parte sostanziale dell’allestimento come assistente: sue le creazioni plastiche realizzate per la campagna di raccolta fondi che ha affiancato la produzione. Fabio Bezze, infine, ha pensato al disegno luci e alla fonica.

A chi sente di dover dire grazie per Io sono Nijinsky?

A tutti quelli che hanno collaborato con me. Alla mia famiglia. E a Masaki Iwana, grande maestro e artista a cui lo spettacolo è dedicato.

Grazie e in bocca al lupo!

Di nulla e che crepi.

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Sissi Corrado

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