Federica Seddaiu porta in scena racconti sul nonno
Amante di Dante e conoscitore a memoria dei suoi versi, Federica racconta suo nonno
Un uomo amante di Dante, tanto da conoscerne a memoria i versi della Divina Commedia. Mandato a fare il pastore già a sei anni nelle terre sarde, soldato della seconda guerra mondiale e della rivoluzione spagnola. Dalla Sardegna a Roma, dove ha vissuto e fatto crescere i suoi figli. Un racconto, questo, ripreso dalla nipote, Federica Seddaiu, attrice, stand up comedy, che ricorda le tante avventure vissute da suo nonno Peppe, semianalfabeta, ma con una grande fantasia, intelletto, coraggio.
Canto 33, così si chiama l’opera di Federica, è un insieme di stand up comedy, narrazione e poesia e rientra nella programmazione di Milano Off Fringe Festival 2023, la festa del teatro Off e delle arti performative. Per scoprire di più, ho fatto una chiacchierata con Federica Seddaiu a cui do il benvenuto sulle pagine di CulturSocialArt.
Benvenuta Federica. Lei sta portando in teatro un monologo Canto 33, che parla di Dante, in particolare dell’Inferno, ispirato alla storia di suo nonno. Quali sono state le reazioni familiari a questa scelta?
Dalla parte di mia mamma come sempre entusiaste, quella di mio babbo complesse. Mia zia aveva un po’ il timore che la loro storia fosse “messa in piazza” diciamo, mentre mio zio era entusiasta tanto da avermi mandato lui stesso le cassette. Mio nonno sognava che la sua storia venisse raccontata quindi ho un po’ esaudito questo suo desiderio.
Il monologo è un insieme tra stand up comedy, narrazione e poesia. In quale di queste tre parti si riconosce maggiormente?
Tutte, ogni stile scelto mi rispecchia e mi produce endorfine. La stand up ti dà un senso di libertà, la narrazione di condivisione, mentre la poesia è puro godimento fisico per l’attore. Quando faccio Dante ho letteralmente i brividi e mi sento davvero potente. È una sensazione molto stimolante.
A portarla a parlare di Dante, un ritrovamento particolare, quello delle audiocassette dove suo nonno ha registrato le sue declamazioni. Che cosa ha provato quando le ha trovate? Cosa ha fatto prima di tutto?
Le ho dovute cercare un po’ come indiana Jones perché erano finite dai miei cugini in Sicilia. Le hanno date a mio zio e poi sono arrivate da me. È stato un po’ come aprire una capsula del tempo. C’era il suo registratore che teneva sul comodino accanto all’inseparabile boccetta di Maalox, tante cassette anni ‘80, libri di famose gare di poesia. Quando ho ascoltato ho pianto moltissimo perché è stato un po’ come riaverlo lì vicino, con il suo sguardo tenero, a raccontarmi della sua vita.
La tenerezza della voce, degli errori nelle parole, della passione e gioia di dire alcuni canti mi ha travolta. Ho subito contattato il musicista Luigi Frassetto che ha trasferito le cassette in mp3 e ha composto le musiche, che amo profondamente e che sono presenti nello spettacolo, mixandole alla voce di nonno. L’effetto è stato davvero prorompente.
Suo nonno era un pastore poco colto per ciò che riguarda le conoscenze più ampie, molto colto per ciò che riguarda Dante e la Divina Commedia che conosceva a memoria. Come ha imparato questo libro?
Nonno ha iniziato a leggere e scrivere facendo il militare. Un suo superiore aveva notato questo ragazzo, scuro, tozzo, con questo sguardo curiosissimo e lo aveva inserito nella scuola elementare. Essendo che dovevano insegnare a uomini fatti, ebbero l’idea geniale di usare Dante. Il paragone che faccio nello spettacolo è che queste storie lo appassionarono come una serie tv. Dante descrive situazioni scabrose, toste, con personaggi dell’epica che lui adorava, amori, guerre, passioni, peccati. Per lui deve essere stato un po’ come per noi Game of Thrones. A ogni lezione scopriva una nuova puntata e questo lo ha agganciato e appassionato.
Oggi sono poche le persone che, anche se vanno a scuola, imparano a memoria i versi di un testo così lontano dal nostro linguaggio, come vede queste due differenze?
Prima di tutto ci vuole un docente che sia appassionato, che passi le cose con gioco e amore, io ho avuto due insegnanti di letteratura ai poli opposti e sono passata dalla migliore a una che per me era una persona davvero sgradevole. Il tramite è fondamentale, passare il sapere con amore, vero, sentito, è una benedizione.
Non dare all’allievo la sensazione che ci vuole il risultato, ma accompagnarlo con stupore in un viaggio nel testo, questo per me ha fatto davvero la differenza. La passione abbatte le difficoltà di una lingua desueta, perché in realtà l’inferno è davvero pop.
È scritto in volgare volutamente per il popolo è sanguigno e così va spiegato. Altrimenti purtroppo si crea una distanza che diventa incolmabile. Fare memoria è una pratica che molti odiano, soprattutto gli allievi, ma per me è salvifica, ti costringe a concentrarti su una cosa, un po’ come un mantra, allena il cervello e infine fa sì che quelle parole diventino parte integrante del tuo Dna, del tuo cervello, mi piace dire che, le metti addosso.
Crede che era più ribelle suo nonno, pastore giovanissimo e conoscitore di tante realtà di vita, oltre che combattente della seconda guerra mondiale e della rivoluzione spagnola, o lei che sale sul palco cercando di essere quanto più sincera e perché?
Domandona… perché è stata la mia formazione, sono stata allenata sin da subito a una certa schiettezza sulla scena. Unita alla tecnica senza dubbio, ma persone come Catia Castagna, Rosa Masciopinto, mi hanno trasmesso, oltre alla tecnica, il grande cuore che deve avere un attore, la sua sincerità nel tenerlo in una mano e darlo allo spettatore “eccolo qui, è fragile, come il tuo, siamo uguali”.
Questo è senza dubbio rivoluzionario nella nostra società che si concentra molto sull’apparire. Essere, richiede credo, più coraggio.
Nonno è stato un avventuriero davvero, anche se inconsapevole come sentirete nello spettacolo, ma quello che gli ho sempre invidiato e che trovo rivoluzionario è che si adattava a qualsiasi cosa, anche la più terribile, si tirava su le maniche e lavorava. Era davvero un uomo dalle mille risorse di grande intelligenza.
In scena con lei porta anche suo nonno. Com’è salire sul palco e attraversarlo nella storia accanto alla sua voce?
All’inizio durissima, mi commuovevo in continuazione. Ora è diventato il mio compagno di scena, il mio alleato. Tempo fa mi sono esibita nel suo paese natale, dove sono andata a vivere trasferendomi da Roma. Ero nelle strade della sua infanzia e pensavo, vedi nonno, Thiesi risuona della tua vita oggi. Ti ho portato con me nei posti che amavi di più. Per me è stato davvero catartico.
Cosa rappresenta per lei Dante Alighieri?
Una grandissima eredità per tutta l’umanità, un terreno di stupore e conoscenza, la precisione del verso, la potenza delle immagini, una figura coraggiosa e dall’immensa immaginazione.
Cosa avrebbe voluto della vita di Alighieri? E della vita di suo nonno?
Di entrambi, l’avventura, la capacità nelle difficoltà di cercare la propria strada, crearsela se necessario, adattarla alle difficoltà della vita. E la grandissima fantasia, immaginazione, che penso migliorino le prospettive della realtà.
Che cosa, invece, vorrebbe raccontare di se a suo nonno?
Vorrei sapesse che mi sono innamorata e che vivo nel paese dove è nato. Che ora amo Dante, che ho ritrovato le mie radici, che sto cercando, con fatica, di capire chi sono e la mia identità, ma che sicuramente un pezzetto già raggiunto, gli appartiene. E per questo lo ringrazio.
Grazie per essere stata con noi!
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