Il diario di Eva e la visione del mondo femminile

In scena Ilaria Manocchio e quattordici mele, tredici verdi e una rossa.

Eva la prima donna. Eva la progenitrice. Eva la primizia del Paradiso. Eva! Insomma, Eva, quella famosa che attrae la fantasia dell’immaginario inizio della vita sulla Terra, la prima tra gli esseri viventi. Eccola Eva, appena creata, da sola, o quasi, nel mondo, accanto alle primizie della terra, lei e Adamo, i primi esseri viventi. Sì, perché prima degli animali e dell’uomo furono creati: terra, cielo, acqua e tutte le piante e tra queste la mela. Ed Eva, tra tutte le piante della terra, trova un’attrattiva particolare, speciale per quel frutto così gustoso: la mela. Così, mentre cerca di coinvolgere Adamo, che sulla scena non comparirà mai, ma che presenzierà con il suo carattere, con la sua fisicità, in tutti i dialogo dello spettacolo, la prima donna, ha bisogno di parlare, di confidarsi, di raccontare le proprie emozioni.

Questa è la prima donna raccontata attraverso lo spettacolo “Il diario di Eva” di Damiana Guerra, liberamente tratto dall’omonima opera di Marc Twain, diretto e interpretato da Ilaria Manocchio al Teatrosophia di Roma, primo spettacolo dello spazio romano, aperto dopo una chiusura forzata. In questo gioiello, al centro di Roma, si racconta di una storia nota, ma soprattutto si una storia di donna, attraverso quella che la rappresenta per eccellenza: Eva.

Lei prende forma e coscienza di se e della vita che l’aspetta con una consapevolezza che, notando bene, spaventa. La donna si apre, si racconta con una mela, quella rossa, diversa tra le altre che restano appese al soffitto il tempo necessario, che vengono maneggiate, morse, agitate con dolcezza, mentre la “primizia” resta in attesa, ma raccoglie i segreti, le confidenze di Eva che “deve parlare”, con qualcuno e crede che la mela sia la sua meta, il suo interlocutore principale. L’ama, di un amore incredibile, appassionato, sincero, ma come l’amore, anche questo cade in un giro contorto e alla fine l’amicizia viene sacrificata.

In scena Ilaria Manocchio e quattordici mele, tredici verdi e una rossa. In quanto donna, la Manocchio elenca tutto ciò che accade con un triste presagio. Si ironizza sull’uomo “carota”, sul rapporto, sulla sua “inutilità” primordiale, sui suoi gesti poco carini, insomma sulla differenza che c’è tra i due sessi.

È lei che si muove tra le mele con attenzione, scalza, ricercando la verità, cercando di dare un senso alla sua stessa esistenza. Tutto questo traspare dalla sua interpretazione che è ricca di espressività e in alcuni momenti è così incisiva che non ha bisogno nemmeno di parole per spiegare cosa accade in scena. Le alternanze sceniche sono spesso accompagnate da intermezzi musicali.

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Sissi Corrado

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