InCorti da Artemia 2025: Doppio gioco
In scena il corto sul delirio di un re
Doppio gioco scritto e diretto da Luigi Facchino con Giacomo Doni e Giovanni Cordì, è uno dei corti in scena al festival InCorti da Artemia 2025, ideato e diretto da Maria Paola Canepa direttrice artistica del Centro Culturale Artemia di Roma. Il festival divenuto una piazza importante del panorama teatrale italiano, presenta al pubblico corti che potranno divenire spettacoli e che si contenderanno le preferenze di pubblico e giuria presente in platea.
Benvenuti! Portate sul palco Doppio gioco, che parla del delirio di un re che si scopre tradito, mentre sua moglie sta morendo e il suo amico/traditore si aggira nei dintorni. Chi vi ha ispirati e quanto di Shakespeare c’è in questa visione?
LUIGI: Tanto. Io amo Shakespeare, soprattutto il RE LEAR, credo sia uno dei migliori testi teatrali esistenti, pieno di spunti di riflessioni e di tormenti viscerali, così come Amleto.
Raccontate l’eterna lotta che c’è tra gli esseri umani, il potere, l’amore, l’amicizia, fondamenti del nostro vivere. Come si affrontano in questo testo?
LUIGI: Si affrontano arrivando fino alla radice del male. Il dolore e il tradimento possono trasformarsi in qualcosa di tossico e incontrollabile e credo che, nonostante l’ambientazione, il testo sia di un attuale crudele e vergognoso. I sentimenti sono diventati mero opportunismo oppure pieno possesso, sia l’amore che l’amicizia stanno subendo i contraccolpi dell’era social in cui annaspiamo, ogni giorno.
Come vi siete immersi nei personaggi e cosa avete evidenziato?
Giovanni: Per immergermi in Folial ho avvertito l’esigenza di ricercare un corpo animalesco, che mi ponesse in bilico tra il reale e il surreale… unico modo possibile per me di rappresentare la complessità della pièce e il conflitto in essa contenuto.
Giacomo: Purtroppo, o per fortuna, mi è venuto abbastanza naturale immergermi nel ruolo del Re. Dico purtroppo perché non è facile ammettere che un personaggio così sadico, grottesco e sporco risuoni con una propria parte di sé in questo modo, soprattutto quando nella vita di tutti i giorni sono e mi sento una persona completamente diversa da un tale personaggio. Dico per fortuna perché mettere in scena in questo modo questa parte di me ha, forse, un effetto catartico, perché mi permette di esorcizzarlo e riconoscerlo quando si presenta sotto mentite spoglie nella vita di tutti i giorni. Spero che abbia un effetto simile anche sul pubblico.
Da autore e regista, come hai messo in scena le tue parole?
Luigi: L’ho fatto cercando di rendere vivido e crudo, più possibile, il tutto. Ho cercato di dare valore ad alcuni scatti irrefrenabili, puri impulsi dell’essere umano. Il pubblico deve subire uno shock, uscire dalla sala con qualcosa che abbia scosso la sua coscienza e la sua mente, come sosteneva il maestro Artaud nel suo Teatro della Crudeltà.
E voi, che sicuramente affrontate ogni giorno questa lotta, come vi muovete e agite in situazioni simili?
Giacomo: Riconoscendo quando il Re (il super io, il giudice interiore, la mente castrante che si chiude in sé stessa perdendo contatto con tutto e tutti, la sete di potere fascistoide) prende il sopravvento e vuole comandare sadicamente tutto il resto, con scarsi e mortiferi risultati. Bisogna stare accanto alla Regina durante gli ultimi attimi della sua vita terrena, nonostante il tradimento e la gelosia. Forse solo così la si potrà salvare.
Giovanni: È una scelta, una scelta quotidiana e non sempre facile quella di essere un uomo giusto e agire secondo virtù… credo che l’uomo non nasca buono, non sia giusto per natura, credo invece sia necessario un lavoro costante su noi stessi per vivere in pace in quanto essere evoluti, membri della società.
Luigi: la nostra è una società malata che ha bisogno di umanità. Ecco ciò che sta venendo sempre meno nella gente: l’umanità, ciò che ci differenzia dalle bestie. Noi abbiamo un cervello, ma stiamo permettendo all’intelligenza artificiale di prenderne il posto; di conseguenza, anche i sentimenti si atrofizzano. È un cane che si morde la coda. Io cerco di tendere una mano e un sorriso, anche se la gente non accetta facilmente, perché incredula; credo che sia l’arma migliore contro l’omologazione e l’automatismo.
Come vi state preparando al debutto sul palco di InCorti da Artemia e cosa vi aspettate da questa esperienza?
Giovanni: Continuando a studiare e lavorare sul testo perché credo che tramite lo studio nascano sempre nuove sfumature, nuove suggestioni e visioni, magari in precedenza non previste e nemmeno contemplate. Non so cosa aspettarmi dal festival, conto solo di riuscire a offrire al meglio la mia arte.
Giacomo: Siamo già andati in scena con questo corto negli ultimi mesi, ora stiamo provando e limando le ultime cose. Siamo consapevoli che il nostro spettacolo possa risultare borderline rispetto agli altri corti in gara, ma ci aspettiamo una buona accoglienza.
Luigi: Mi aspetto che il pubblico presente possa comprendere il fascino di un testo di questo tipo ed entrare nell’ottica che i temi sociali e attuali possono essere raccontati anche tramite un testo classico o che, perlomeno, sembra tale.
Grazie e in bocca al lupo!
TUTTI: W il lupo!