Intervista al regista Mauro Toscanelli
Mauro Toscanelli firma la regia de Le finestre del tempo
Le finestre del tempo di Sergio Scorzillo, sarà in scena al Teatrosophia di Roma, dal 3 al 5 febbraio, per la regia di Mauro Toscanelli, con Giuliana Adezio e Ilaria Fantozzi. Lo spettacolo apre la seconda parte della stagione del piccolo teatro sito al centro di Roma. In scena due donne, una anziana che prova a ricordare il passato e la sua badante, forse, della quale non si sa se è reale o una fantasia.
A dirigere questa pièce, dai risvolti decadenti, Mauro Toscanelli, al quale abbiamo rivolto alcune domande e che ringraziamo per essere stato con noi.
Benvenuto sulle pagine di CulturSocialArt. Lei sarà in scena con lo spettacolo Le finestre del tempo di Sergio Scorzillo, cosa l’ha colpita della drammaturgia?
In realtà Le finestre del tempo è stato un lavoro espressamente commissionato a Sergio circa due anni e mezzo fa, in quanto all’epoca avevo l’impellenza di raccontare la storia di due donne che si trovano a convivere in uno stesso spazio per un lungo periodo, evidenziandone le discrasie, i conflitti nonché tutto ciò che, invece, le unisce. L’unica indicazione data all’autore era che fossero due personaggi distanti (per fisicità, mentalità e vissuto personale). Per il resto ho lasciato tutto alla sua capacità creativa. Quando mi consegnò il testo, circa un anno fa, mi commossi per la delicatezza con cui aveva affrontato tematiche piuttosto forti, pur non essendo rimasto affatto stupito dello stile narrativo, del suo linguaggio drammaturgico che già conoscevo grazie ad altri suoi drammi letti in passato e di cui mi ero infatuato a tal punto da affidargli la stesura di Le finestre del tempo.
Quali pensa siano i punti di forza del testo?
Il testo ha uno stile e un linguaggio estremamente asciutti che si ricollegano idealmente ai dialoghi sincopati di Beckett, Osborne, autori che privilegiano il “non detto”, il sottotesto. Personalmente ho una predilezione per questo tipo di drammaturgia e la mia fantasia creativa registica è fortemente stimolata da dinamiche, ancorché complesse, raccontate in questa forma.
Nello spettacolo sono presenti due donne. Sappiamo che uno degli stereotipi che le accompagnano è che è difficile comprenderle, capire cosa vogliono, come sono. Lei ne porta in scena due di generazioni diverse, come ha lavorato sulle protagoniste?
Ritengo che una delle necessità che spinge un regista a intraprendere la direzione di un lavoro teatrale sia proprio quella di confrontarsi con esseri umani che mettono a disposizione la loro unicità, la loro diversità (anagrafica, di formazione teatrale, di vissuto personale) a servizio della storia che viene raccontata. Per me è fonte di intenso entusiasmo e fortemente appagante, lavorare con attori/attrici che sono agli antipodi tra di loro, poiché tutto ciò mi costringe ad alimentare il loro ascolto in scena, a dedicarmi al singolo attore/attrice per guidarlo nel processo di incarnazione del personaggio.
Come ha lavorato registicamente su entrambe?
Proprio perché avevo di fronte due professioniste agli antipodi, la sfida è stata quella di osservarle attentamente, di individuare i loro punti di forza e quelli di vulnerabilità e, in seguito, lavorarci insieme minuziosamente, per poi guidarle a realizzare l’elemento cui tengo di più in scena, ovvero l’ascolto reciproco. Giuliana Adezio, appartenendo alla “vecchia” scuola teatrale, ha una padronanza maggiore sulla Parola, pertanto ho lavorato più intensamente sul coordinamento tra la Parola e l’Azione. Con Ilaria Fantozzi, invece, l’attenzione è stata posta sulle sottili sfumature che possiede il suo personaggio, il quale oscilla continuamente tra due dimensioni: il materiale e il surreale.
La scelta di Giuliano Adezio e Ilaria Fantozzi com’è avvenuta?
Giuliana è l’attrice per la quale fu scritto originariamente il testo. Non a caso il suo personaggio porta il suo stesso nome. Quando lo commissionai a Scorzillo, gli spiegai che uno dei due personaggi doveva avere delle caratteristiche che riflettessero appieno la personalità di Giuliana, nei confronti della quale avevo un debito di casting non avendola potuta scegliere per un altro lavoro. La Adezio è un’attrice di consolidata esperienza, ipnotica nel suo “stare in scena” e si destreggia con disinvoltura sublime tra le parole. L’attrice che volevo affiancare a Giuliana, invece, non aveva all’inizio una connotazione anagrafica; pertanto ero libero di scegliere tra professioniste di diversa età. Soltanto quando ho cominciato a lavorare al disegno di regia e all’analisi del testo, si è evidenziata la necessità drammaturgica di puntare su un’attrice molto giovane per far risaltare ancor di più le dinamiche che sorgono tra i due personaggi. Ecco, quindi, che dopo una serie di provini, ho avuto l’idea di reclutare Ilaria Fantozzi, con la quale già avevo lavorato in precedenza, per la sua grazia, la sua fluidità nel movimento, la sua presenza scenica e l’ottima disciplina.
Le atmosfere suggerite dal testo sono decadenti, come ha costruito attorno ad esso l’ambientazione?
La gran parte dei miei allestimenti prevede una scenografia minimale, essenziale quel tanto che basta per essere necessariamente utilizzata durante lo svolgimento dello spettacolo, a meno che il testo stesso non suggerisca un’ambientazione opulenta la quale, però, dev’essere sempre funzionale al contenuto narrativo. In questo caso più che mai l’atmosfera decadente è valorizzata da pochi, ma essenziali oggetti scenografici e dall’utilizzo di drappeggi e tessuti che evidenziano questo aspetto. Le musiche (sempre protagoniste dei miei lavori) avranno il compito di raccontare il diaframma anagrafico che separa le due protagoniste. Per finire il disegno luci (concordato con l’ottima Gloria Mancuso) sarà costruito per dar risalto alle finestre della nostra memoria.
Il tempo, del quale si parla continuamente nella drammaturgia, quanta importanza ha sulla nostra vita?
Il tempo è una dimensione labile, relativa, priva di una sua ontologia immutabile. È un “eterno movimento” dove noi ci infiliamo per la fetta di vita che ci è concessa, durante la quale lo possiamo utilizzare a nostro vantaggio o sprecarlo. In questo testo inoltre vi è una complicazione ulteriore: Giuliana, l’anziana protagonista, sta perdendo la memoria. Questo aspetto rende i suoi racconti completamente sganciati da una connotazione temporale ed è interessante, da spettatore, “saltellare” tra un piano temporale e l’altro. Patrizia, la protagonista giovane, costituisce una presenza che addirittura connota il tempo da un punto di vista fisico: essa stessa incarna il Tempo che passa.
E il passato è più ingombrante o una lezione di vita?
Il passato, così come il futuro, sono due dimensioni inesistenti che non possiamo toccare con mano. L’unica differenza è che il passato possiamo mentalmente “vederlo” a differenza dell’ignoto futuro. Personalmente, quindi, ritengo che il Tempo abbia un suo significato concreto nel momento in cui lo facciamo coincidere con il presente. Non a caso il tempo che passiamo in fila alla posta o quello che spendiamo per il nostro lavoro, sono quantificabili materialmente e, addirittura, monetizzabili. Il passato, proprio per la sua dimensione impalpabile, può essere un ingombro come anche una lezione di vita, in dipendenza dell’uso che l’individuo ne fa. Personalmente il passato è più un ingombro che una lezione di vita. La vita si vive nel presente, con i suoi errori e le sue gioie.
Cosa avete appreso o compreso voi dal testo? Cosa vorreste che recepiscano gli spettatori?
C’è una frase che il personaggio di Patrizia rivolge a Giuliana verso la fine dello spettacolo che recita pressappoco così: “… Tu hai vissuto. Hai avuto i tuoi mariti, le tue cose… Io non ci sono riuscita. Mi sono lasciata spegnere. Per questo non è giusto che ti lamenti. Continua finché puoi, ma davvero. Finché soffia il vento. C’è solo l’adesso…”. Ritengo che non ci sia null’altro da aggiungere.
Grazie per essere stati con noi e in bocca al lupo!
Viva il lupo e grazie a voi per averci ospitato e dato la possibilità di raccontare il nostro lavoro. 🙂
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