Mauro Toscanelli ci racconta “Carlos, l’ultima volta”
In scena a Roma la storia del più grande interprete del tango, Carlos Gardel
“Carlos, l’ultima volta” di Emiliano Metalli, regia di Mauro Toscanelli con lo stesso Toscanelli in scena insieme ad Orazio Rotolo Schifone, Giorgio Iacono e Masaria Colucci, con la partecipazione di Tango Queer Roma Cristiano Bramani e Walter Venturini, in scena il 4 agosto alle 21.30 ai Giardini della Filarmonica di via Flaminia.
Lo spettacolo racconta Carlos Gardel, il più grande interprete del tango. Una leggenda che, ancora oggi, a distanza di decenni, continua ad animare la vita musicale dell’America latina. Ne ho parlato con Mauro Toscanelli regista e attore della pièce.
Lo spettacolo è inserito nel programma della Settimana Rainbow con la collaborazione con il Circolo Omosessuale Mario Mieli, “Carlos, l’ultima volta” racconta del tanghero che ha rivoluzionato l’Argentina e il mondo intero. Quali sono le caratteristiche dell’uomo e dell’artista che sono state messe in evidenza?
Gardel con la sua voce cristallina e potente ha rivoluzionato il modo di cantare il tango e, per primo, è riuscito con il suo talento e il suo carisma a mobilitare masse intere di ammiratori in ogni angolo del mondo. Per questa portata della sua arte, si può paragonare ad un suo contemporaneo, Rodolfo Valentino. Tutto ciò è ampliamente descritto nella splendida drammaturgia di Emiliano Metalli, il quale ha saputo amalgamare le caratteristiche della vita professionale del cantante con quelle della sua vita privata; sotto quest’ultimo aspetto Metalli ha indagato nella biografia di Gardel, traendone spunti realistici e storicamente avvenuti mescolati con altri di fantasia. Ciò che ne è scaturito è un profilo di una personalità estremamente complessa e affascinante.
Quali sono le dinamiche che hanno portato all’ampliamento della drammaturgia?
Lo spettacolo nacque come monologo nel 2016 in cui veniva rappresentato solo uno spicchio di vita del cantante ponendone in luce la complessa vita sentimentale; il protagonista del monologo era il suo paroliere, Alfredo Le Pera, con il quale si ipotizza che Gardel avesse avuto una relazione travagliata e clandestina. Nel 2020 si è ampliata la drammaturgia inserendo un personaggio di fantasia, Juan, che sottolineava la vivacità affettiva e sentimentale del cantante, fino poi a giungere al presente allestimento nel quale Metalli ha previsto il personaggio della madre di Gardel (con il suo struggimento per la vita sregolata del figlio comunque morbosamente amato) nonché la presenza fisica del cantante che però si inserisce come una figura impalpabile, rarefatta, muta, evocata. Infine sono previsti due tangueri che consentono la rappresentazione visiva della musica senza tempo di Gardel.
Qual è l’impatto che Carlos Gardel ha avuto sulla società del tempo?
Come già accennato, Gardel ha avuto il merito di incarnare il Divo per eccellenza. I livelli di fanatismo che ha raggiunto, insieme anche a Rodolfo Valentino, sono di una portata senza precedenti, senza dimenticare che in quell’epoca non vi erano i mezzi di comunicazione odierni a facilitarne la diffusione.
E sulla società di oggi?
Ogni mito sopravvive a sé stesso. La capacità che hanno artisti come Gardel di spalmare la loro Arte trasversalmente lungo le generazioni successive, dimostra che al di là del talento, vi è un carisma e una portata rivoluzionaria rispetto al passato che li rende immortali. Nel caso di Gardel, il suo modo di usare la voce, gli arrangiamenti innovativi dei tanghi che cantava, la bellezza fisica e, sicuramente, il fascino da sciupafemmine consentono tutt’ora in Argentina di diffondere la sua musica per le strade accompagnata da commenti del tipo: “Oggi ha cantato ancora meglio di ieri“.
Perché questa storia ha una rilevanza così grande ancora oggi?
L’ipotesi della omosessualità di Gardel, avallata da aneddoti biografici, ha riacceso l’interesse verso l’Artista e nel caso di questo lavoro, ho lavorato con Metalli proprio nell’ottica di far emergere quanto dovesse essere stato penoso in quegli anni conciliare l’aspetto privato con quello pubblico per un personaggio così idolatrato. Il tabù dell’omosessualità era a quei tempi uno spettro pericoloso che sicuramente ha comportato un’enorme sofferenza per tutti i soggetti coinvolti.
Cosa ha lasciato a voi questo spettacolo?
“Carlos, l’ultima volta” è un allestimento che ci ha contaminati con l’eleganza di un periodo storico quale quello dei primi decenni del ‘900 dove vi fu un cambiamento non solo nell’ambito delle arti figurative e della musica, ma anche degli stili architettonici, della fotografia. Quando finiamo di provare lo spettacolo sembra, grazie all’atmosfera e alla suggestione delle musiche, che un buon profumo si sia appiccicato sopra ognuno di noi. È magia pura.
Come accolgono gli spettatori questo spettacolo? Quali sono i commenti che hanno accompagnato in questi anni “Carlos, l’ultima volta”?
È proprio grazie al successo di pubblico degli allestimenti precedenti che con Metalli abbiamo deciso di dare una veste più completa al lavoro attuale. Ciò che gli spettatori hanno gradito maggiormente sono state la dimensione e l’atmosfera che si respiravano sul palco e che hanno portato molti a confessarmi di voler tornare subito a casa per ascoltare e approfondire la musica di Gardel.
Quali sono i progetti che accompagneranno lo spettacolo?
Lo spettacolo scalpita per essere diffuso nelle varie piazze italiane nell’ottica proprio di divulgazione della figura di Gardel, soprattutto per le nuove generazioni. Felici di essere accolti laddove ci sia una sensibilità verso il tango e le dinamiche relazionali e affettive che hanno caratterizzato la vita purtroppo breve di Carlos Gardel.
Grazie e in bocca al lupo!
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