Parole di moda
Tacco chunky, fashion designer, pussy bow blouse, slim fit, over size, must-have, nude look, open toe, clutch, jorts, double denim, geek chic, lilac grey, strapless, skinny e potrei continuare ancora riempendo pagine intere. Sono parole di moda, quelle che se non le conosci o non le mastichi parlando sei fuori tendenza, anzi sei out.
Per sentirle non devi andare a Londra o NewYork, ma se vai a Milano per la settimana della Moda, anche il tassinaro si prepara per l’occasione per non essere meno a tutti gli ospiti internazionali.
E mi sta bene. Se devo comunicare con il mondo, uso una terminologia, un linguaggio universale. Ma se abito a Settebagni, o se devo acquistare in un negozio di viale Libia, perché devo usare questi termini? Come sappiamo la moda è nata in Italia, in Francia si sono allineati quasi contemporaneamente, ma lo stile, i tagli, i tessuti, sono roba nostra.
Quindi perché non accaparrarsi il prestigio dell’appartenenza, l’orgoglio tutto nostro dei nostri termini. Il falpalà, l’aggrappatura, il pantalone a sigaretta, orlo a birillino, il semi vita, i cugni, l’imbastitura, il capo destrutturato, la gonna a campana, la camicia scozzese, il pantalone alla zuava, e ancora e ancora.
Ci sentiamo fighi se sproloquiamo in inglese e poi magari siamo vestiti da schifo, ci limitiamo ad essere ‘fashion’ nelle apparenze, dei contenuti non ce ne frega una mazza (‘bat’).
Ed è bellissimo, non so se vi è mai capitato, che l’interlocutore ha la capacità di farvi sentire una ‘shit’ se quando a raffica vi elenca tutto il fashion vocabolary e voi non capite un fico secco.
Ma magari voi siete lì con la vostra grazia ed eleganza indossando un gessato blu di fresco lana e l’altro chiacchierone ha una t-shirt purple oversize di popeline, con la scritta ‘i am the new one’.
Si lo so, sono fuori moda, con le parole sicuramente, ma la stessa la conosco talmente bene che la faccio parlare con le sue forme, i suoi colori, le sue proporzioni, i suoi tessuti.
‘Dicono di più su un’epoca le parole che non si usano più, che le parole che si abusano’ Stanislaw Jerzy Lec
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