Stefano Starna racconta il suo Naufraghi da marciapiede
Al Teatro Cometa Off lo spettacolo Naufraghi da marciapiede, una storia che si ispira a Evio Botta
Dall’11 al 14 aprile, al Teatro Cometa Off, Stefano Starna propone la sua prima drammaturgia, Naufraghi da marciapiede, scritta a quattro mani con Nicoletta della Corte, la quale lo dirige in scena insieme al musicista The Niro. Un racconto che pone l’accento sui tanti senza tetto che popolano Roma e tutte le grandi città italiane.
Il racconto di Starna si ispira alle vicende del senzatetto Evio Botta, poeta e attore, divenuto senzatetto dopo alcune vicissitudini personali, ma uomo capace di grande generosità, come testimoniano le persone che lo hanno conosciuto. Naufrago da marciapiede è un modo per venire incontro alle varie vicende che coinvolgono uomini e donne costretti dal fato, dal destino, a vivere per strada. Di tutto ciò ne ho parlato con Stefano Starna che ringrazio per essere qui, sulle pagine di CulturSocialArt.
Ciao Stefano, sei l’ideatore e autore, quest’ultimo insieme a Nicoletta della Corte, di Naufraghi da marciapiede, com’è nata l’idea di questo progetto?
L’idea nasce da un mio percorso che viene da molto lontano da quando ero ragazzo. Ho sempre provato grande tenerezza per chi è ai margini, per chi fatica a sopravvivere ai ritmi e alle regole della nostra società. Piuttosto che malgiudicarli mi sono sempre fatto questa domanda “E se ci fossi io in quella situazione?” e questo mi ha portato a lavorare nel sociale con i diversamente abili, a fare volontariato in paesi in emergenza (Albania e Kosovo nel 1999) e poi in altre occasioni con Onlus sul territorio nazionale, Protezione Civile (sono stato all’Aquila nel 2009), Caritas, sono da sempre donatore di sangue ero già iscritto alla donazione organi prima che divenisse legge.
Insomma è una cosa che fa abbastanza parte di me e nel mio piccolo cerco di dare una mano. Quando, dopo un corso di recitazione per professionisti improntato sulle tecniche di Strasberg sulla ricerca interiore con Claudia Catani, una fantastica direttrice con la quale lavoro al doppiaggio da diversi anni, ho sentito la necessità di raccontare questi mondi che ho attraversato. Cercando materiale per scrivere (inizialmente) sui tossicodipendenti nella mia libreria è caduto, letteralmente (infilato in un libro dell’università) il libriccino autoprodotto delle poesie di Evio Botta che era rimasto incastrato in un altro libro da 25 anni… e, rileggendo quelle poesie, ho capito che dovevo ridare voce a quel poeta e attore.
Il testo è ispirato a Evio Botta, chi era? Cosa ti ha attratto della sua personalità?
Evio era un senza fissa dimora. Un po’ perché ci si era ritrovato dopo un trauma amoroso, un po’ per scelta. Viveva intorno a Piazza Santa Maria in Trastevere a Roma ed era originario del Cuneese, ma ha passato quasi trent’anni a Roma. Scriveva poesie, le declamava in piazza, preparava pezzi teatrali e li metteva in scena alle persone che si fermavano ad ascoltarlo.
Era un personaggio solare, intelligentissimo, un filosofo, pieno di vita, autoironico, era talmente attraente che ha lasciato un segno in moltissime persone che lo hanno incontrato a Roma. Il giorno prima della sua morte avvenuta il 02/06/2010 ha cucinato il pesce per 40 persone, nonostante fosse in fin di vita per una lunga malattia che lo aveva anche lasciato senza voce.
Vivere per strada non è facile, né bello. Che cosa hai voluto raccontare, in particolare dell’uomo Botta?
La sua forza, la sua autoironia, la sua grande umanità.
Roma è piena di uomini da marciapiede, eppure alcuni hanno scelto di vivere per strada. Quali sono secondo te, i maggiori fattori che spingono uomini e donne ad abbandonare tutto? E per quelli che invece si ritrovano per causa di forza maggiore?
Il nostro è un Naufrago da marciapiede, uomo da marciapiede riporta più a chi si prostituisce sulle strade… Diciamo che non è mai solo uno il fattore critico che porta una persona a diventare un senzatetto, possono essere molti. Personalmente credo che se li volessimo raggruppare porterebbero comunque a un denominatore comune: una forte forma depressiva che può quindi determinare uno stato di abbandono abituale, alcolismo, isolamento voluto e molte altre cose che secondo la mia umile opinione sono effetti più che cause.
Quelli che ci si trovano purtroppo ci si ritrovano per via di una crisi lavorativa, amorosa, familiare, e poi ci restano perché la società spinge le persone all’individualismo, o perché trovano difficoltà a chiedere aiuto… Non è facile chiedere aiuto… poi qui in Italia la macchina dell’assistenzialismo è molto più attiva di quella della prevenzione al disagio urbano.
Ci sono paesi in cui i Senza tetto nemmeno esistono. Perché in quegli stati monitorano la condizione del cittadino e a un certo livello di abbandono non lo fanno proprio arrivare. Si attivano prima gli assistenti sociali, e loro non vanno a finire in un cartone per strada, ma vengono accompagnati in una struttura tipo casa famiglia, dove vengono seguiti, supportati e aiutati a riemergere. Qui da noi invece si lavora in emergenza da decenni… Esistono anche qui progetti di questa tipologia ma la percentuale di fondi destinata al reinserimento è molto, molto bassa.
Parliamo dello spettacolo, cosa hai amato del personaggio che hai scritto insieme a Nicoletta della Corte? E quale parte, invece, avete trovato più impegnativa in fase di scrittura?
Ciò che amo del mio personaggio, che ci tengo a sottolineare è ispirato ad Evio Botta ma non è uno spettacolo biografico, è la grande generosità. Fuori dalla scena mi ha dato l’opportunità di raccontare i molti motivi per cui ci si ritrova in una condizione di indigenza e cosa comporta questa condizione, potendo dare così voce alle storie di tante altre persone che ho avuto modo di ascoltare dal vivo, di ascoltare tramite interviste, su YouTube ci sono moltissimi contributi di questo tipo, di leggere della loro esperienza, come sul bellissimo libro di Wainer Molteni dal titolo Io sono nessuno, che narra di come lui abbia vissuto in questa condizione per 8 anni per poi “fortunatamente” risollevarsi. Fortunatamente in senso lato, poiché si è impegnato non poco per riuscirci!
Sono molto grato a Nicoletta Della Corte sia per la sua bravura nel dirigermi in qualità di regista, sia perché la sua grande sensibilità ed esperienza teatrale e di scrittura le hanno permesso, attraverso i miei racconti, di far uscire l’anima di Evio. Ciò è avvenuto anche attraverso un documentario che girò molti anni fa Cristina Mantis, Il Carnevale di Dolores, dove Evio appariva molto. Così Nicoletta è riuscita a cogliere meglio la sua ironia che, per via del mio animo dark, avevo messo un po’ troppo da parte nella prima stesura dello spettacolo, e di riconsegnarla allo spettatore.
Insieme a te sul palco il cantautore The Niro. Cosa apporta la musica allo spettacolo? Come interagite fra voi?
Davide è un artista straordinario: cantautore, cantante dalle doti vocali impressionanti, pittore, stilista, è un vero vulcano ed erutta emozioni come non ci fosse un domani. La musica è molto di impatto, aiuta lo spettatore ad entrare in quella BOLLA che, come interprete, cerco di creare attorno a noi due. La messa in scena funziona se lo spettatore entra emotivamente in quella realtà dimenticandosi di essere uno spettatore e si ritrova immerso in quell’emoattività, perdonate il neologismo.
C’è un rapporto emotivo molto molto intenso tra noi, una grande compassione l’uno dell’altro, non intesa ovviamente come pena ma proprio come rapporto empatico con le passioni e i dolori uno dell’altro.
Come interagiamo? Lo scoprirete vedendo lo spettacolo: è una cosa magica non voglio spoilerarla… 🙂
Tra i due personaggi vi è un’intesa particolare che permette al senza tetto di aprirsi. Da cosa nasce? Quali sono le sensazioni, i sentimenti che permettono questo scambio importante?
Diciamo che nasce tutto da un piccolo equivoco iniziale, che non è però molto lontano dalla realtà… sicuramente i sentimenti sono la solidarietà, la fratellanza, l’umanità.
Qual è il messaggio che vorresti arrivasse al pubblico?
Che i senzatetto NON SONO SOLO senzatetto, una categoria, un numero, un dato di fatto, sono persone in una condizione di difficoltà che se ci impegniamo PUO’ non essere PER SEMPRE ma deve cambiare la nostra società perché sia così. Si deve passare dall’assistenzialismo alla prevenzione.
Il tuo è un debutto importante, è il tuo primo testo. Come ti senti? Cosa provi?
Dire che sono emozionato è dire poco, ma questo spettacolo per me ha un significato di sacralità. Attraverso la ricerca del personaggio ho ritrovato quel mio vecchio amico, ci ho parlato, mi ha criticato, mi ha confortato, mi ha commosso, mi ha ispirato. Non sono preoccupato onestamente, anche perché sento di avere dalla mia tanta gente, tutti quelli cui ridò voce, in primis Evio, e spero di rendergli la dignità che meritano. Quella che merita ogni essere umano in quanto tale a prescindere dalla condizione economica o sociale che sta vivendo in quel determinato momento.
Sono grato a questo lavoro che mi ha permesso di scoprire, attorno a me, tra le mie amicizie, le mie conoscenze, un mondo di solidarietà che non immaginavo, che non sapevo esistesse. Tantissime persone si prodigano per gli altri e non lo dicono, per umiltà, e io le rispetto, mi commuovono.
Io sono di un’altra scuola però, io preferisco fare volontariato e dirlo in modo da attivare una specie di domino della solidarietà. Non mi importa del mal giudizio di chi pensa lo stia facendo per darmi delle arie, preferisco renderlo pubblico, l’effetto è sicuramente più importante di una critica.
Grazie e in bocca al lupo!
Evviva la lupa!
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