25 aprile: “RESISTERE” nel nome di Calamandrei

Oggi recuperare il senso del “resistere” di Calamandrei significa ripensare quel patto civile che i nostri padri e madri strinsero in quel lontano 25 aprile del 1945

La frase di Piero Calamandrei, inserita nei manifesti a ricordo del 25 aprile (soprattutto da quelli affissi da Comuni amministrati da giunte di destra)  “Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini” rischia di essere una frase “da bacio perugina”, una frase “desistente”, direbbe Calamandrei, buona per tutti e per tutte le occasioni. Una frase che è stata estrapolata da un suo discorso tenuto al Teatro Lirico di Milano il 28 febbraio 1954.

Quindi un pensiero enunciato nove anni dopo la fine della guerra, il 25 aprile 1945, che mentre da un lato ricordava ai giovani il senso della Resistenza all’invasore tedesco e ai collaborazionisti italiani della Repubblica Sociale di Salò “E come potevamo noi cantare / con il piede straniero sopra il cuore. […] Alle fronde dei salici per voto, / anche le nostre cetre erano appese / oscillavano lievi al triste vento” (Salvatore Quasimodo), dall’altro profeticamente invitava a guardare al futuro di una Repubblica, di cui non ha visto, fortunatamente per lui, la deriva populista e nazionalista, ma che profeticamente aveva previsto. Oggi poi che sempre più spesso assistiamo da un lato a manifestazioni neofasciste esplicite (dalle manganellate virtuali come il zoombombing all’esaltazione di simboli fascisti come accaduto, senza andare troppo lontano, a Palestrina con lo striscione inneggiante alla “marcia su Roma” e a Paliano esponendo una bandiera della Repubblica Sociale) o ad un altrettanto esplicito disprezzo per  quello che significa “25 aprile 1945” (Salvini: ”La festa di Liberazione? “E’ domenica e sto con i figli, festeggio con loro…” ha dichiarato all’AdnKronos) o La Russa di Fratelli d’Italia “Da giorno della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, a giorno in memoria dei caduti di tutte le guerre, compreso il ricordo di tutte le vittime del Coronavirus)”, questo tentativo di annullare le differenze, chi era per la libertà e chi per la sua oppressione, va combattuto, non solo con le manifestazioni ma con una cultura e una politica che diano ad ogni uomo la dignità di uomo.   

“La politica è una cosa sporca”, “I politici sono tutti ladri”, quante volte abbiamo ascoltato queste frasi soprattutto pronunciate da un qualunquismo che in Italia ha una lunga tradizione. La corruzione ha origini lontane, quello che è accaduto nel 1992 con “mani pulite” è solo uno dei tanti casi di corruzione, e nemmeno il più grave,  presenti già nel passato e come purtroppo vediamo ai nostri giorni ancora pervasivamente presente. Uno stato delle nostre istituzioni che spinge molti ad un giudizio qualunquistico dei nostri rappresentanti istituzionali: “i politici sono tutti delinquenti e ladri”. Scrive Calamandrei: “I cittadini devono arrivare a sentire che chi accusa tutti i deputati di essere tali, in realtà rivolge questa accusa non agli eletti, ma agli elettori. In regime democratico i deputati rappresentano il popolo, e chi scaglia fango su loro, colpisce tutto il popolo che li ha scelti”.

Calamadrei e qui sta la sua attualità, che non si può ridurre a un santino con una frase appiccicata su un manifesto, per quanto nobile, affrontò con lungimiranza il tema dei voltagabbana. Nel solo 2020 i cambi di casacca sono stati 57, 147 da inizio legislatura. Sui “voltafaccia” Calamadrei scrive che provocano il trasformismo, «un gioco occulto di interesse extraparlamentare, che toglie valore e credito all’apparato visibile del Parlamento». Calamandrei fu un giurista e padre della Costituzione e nei suoi scritti si può leggere tra le righe un duro giudizio politico su pratiche parlamentari e partitiche che oggi vediamo realizzarsi nell’antipolitica e nell’antiparlamentarismo che a partire dal 1994 hanno trovato casa in movimenti populisti come Forza Italia, Lega e M5S. Populismi che poi sono la diretta conseguenza non della morte delle ideologie, ma di quella dei partiti. Emanuele Macaluso diceva che un partito era un grande luogo di aggregazione culturale, di elaborazione delle idee e quelle idee poi muovevano il mondo”. Oggi i partiti sono dei grandi comitati elettorali al servizio del leader. E sempre da Calamandrei ci viene la soluzione: “Bisognerà far di tutto per migliorare il costume. (…) Non è con l’irridere la politica, col disprezzarla e coll’estraniarsene che la politica si risana: bisogna entrarci e praticarla onestamente e resistere allo schifo”.

Ecco allora che il termine “resistere” assume una valenza più ampia del semplice “ritorno al passato”: la Resistenza al nazifascismo e quindi “resistere per fronteggiare” un nemico. Per Calamandrei “resistere” è un’azione storica progressiva. “Resistere per pensare”.  Lui in quel resistere vede un popolo che stringe un patto per la “costruzione morale e materiale italiana”. Ed oggi è quanto mai attuale stringere un nuovo patto costituzionale in un mondo che cambia e che nel suo cambiamento, provocato dalla crisi economica a quella ambientale, a quella culturale e perché no anche spirituale, rischia di scomparire.

“Resistere” non deve essere un mausoleo o un monumento al milite, dove annualmente deporre il sacro alloro e pronunciare frasi da “volemose bene” che annullano le differenze, ma deve fare riferimento a una cittadinanza resistente e perciò pensante. Oggi recuperare il senso del “resistere” di Calamandrei significa ripensare quel patto civile che i nostri padri e madri strinsero in quel lontano 25 aprile del 1945. Oggi come ieri occorre riprendere i valori della Resistenza e attraverso l’agire politico e il suo primato riaffermare un pensiero civile, democratico e repubblicano fatto di partecipazione, di responsabilità e di libertà, di diritti e di doveri. A partire dalla centralità della persona, del lavoro e della cultura. E allora una frase buttata lì su di un manifesto non rende giustizia di un pensiero alto quale fu quello di Piero Calamandrei.

“Oggi le persone benpensanti, questa classe intelligente così sprovvista di intelligenza, cambiano discorso infastidite quando sentono parlar di antifascismo. […] Finita e dimenticata la resistenza, tornano di moda gli «scrittori della desistenza»: e tra poco reclameranno a buon diritto cattedre ed accademie. Sono questi i segni dell’antica malattia. E nei migliori, di fronte a questo rigurgito, rinasce il disgusto: la sfiducia nella libertà, il desiderio di appartarsi, di lasciare la politica ai politicanti. Questo il pericoloso stato d’animo che ognuno di noi deve sorvegliare e combattere, prima che negli altri, in se stesso: se io mi sorprendo a dubitare che i morti siano morti invano, che gli ideali per cui son morti fossero stolte illusioni, io porto con questo dubbio il mio contributo alla rinascita del fascismo. Dopo la breve epopea della resistenza eroica, sono ora cominciati, per chi non vuole che il mondo si sprofondi nella palude, i lunghi decenni penosi ed ingloriosi della resistenza in prosa. Ognuno di noi può, colla sua oscura resistenza individuale, portare un contributo alla salvezza del mondo: oppure, colla sua sconfortata desistenza, esser complice di una ricaduta che, questa volta, non potrebbe non esser mortale.“ (Piero Calamandrei, Il Ponte, ottobre 1946).

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Roberto Papa

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. (Bertold Brecht)

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