Freedom Day e identita’ mondiale

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Il 27 aprile è la ricorrenza dell’elezione del 1994 in Sud Africa, la prima libera in cui votarono tutti i cittadini e che vide l’elezione di Nelson Mandela. In più questo giorno è ricordato per la fine dell’Apartheid e festeggiato come Freedom Day. La fine dell’Apartheid, che ahimè sembra lontana se si guarda alla cronaca odierna, non è storicizzata come meriterebbe, così come non lo è, ad esempio, la memoria del colonialismo italiano, talmente scomoda da essere accantonata dalla storia già nel 900.  Ma ancora oggi quello che sembra mancare alla base è una conoscenza effettiva di ciò che è l’alterità, in questo caso l’Africa, a cui in genere si fa corrispondere un’idea mista di esotico e primitivo che noi stessi abbiamo importato loro.

Esattamente come il colonialismo e la supremazia bianca, o come la definizione di ‘primitivo’ che farebbe della scultura originaria delle tribù africane qualcosa di non sviluppato, seguendo una linea evolutiva esclusivamente di lettura occidentale.

Altro esempio eclatante è il tessuto wax, conosciuto anche come Ankara, molto utilizzato dalle popolazioni africane: consiste in un cotone stampato tramite cera, con una tecnica non lontana dal batik indonesiano di cui queste stoffe sono infatti una copia economica, prodotta dagli Olandesi nel periodo della colonizzazione. Il risultato, che non reggeva il confronto con il batik originale, fu invece da subito apprezzato in Africa occidentale, che continuò ad acquistarlo fino a diventare elemento simbolo della popolazione, veste ufficiale e cerimoniale.  

Questa ambivalenza è motore delle opere di Yinka Shonibare, artista di origine nepalese. Spingendo la riflessione su cosa sia autenticamente africano, Il tessuto wax viene utilizzato per ricreare abiti vittoriani su manichini senza testa, lo stereotipo esotico-primitivo viene evocato creando un cortocircuito tra gesta e abbigliamento, tra orientalismo e occidentalismo: l’ibridazione crea una popolazione altra, figlia di una commistione globalizzante, eppure davanti a noi resta un teatrino in cui viene da chiedersi se questi manichini non siano stati piegati ad atteggiarsi all’occidentale.

In risposta si può dire che il Freedom day dovrebbe sconfinare dal solo Sud Africa ed essere una festa riconosciuta da tutti come la fine di un’epoca discriminante, con la coscienza di essere stati dal lato del colonizzatore e la coerenza di scrivere ora nuove pagine di storia, anche se ai fatti dovremmo contraddirci.

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Carolina Taverna

Diplomata al liceo artistico e laureata in studi storico artistici con tesi in arte contemporanea.

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