Elena Bonelli: dallo stornello al rap
le culture popolari continuano a trasformarsi, ibridarsi
La memoria, le radici e la creatività sono parte dell’identità di un popolo, che ci aiutano a capire il presente e a non chiuderci dentro confini, non solo materiali ma soprattutto culturali, che poi finiscono per prosciugare una storia millenaria. Gli anni del novecento fino agli anni settanta hanno visto un gran fermento per quanto riguarda lo studio delle “culture popolari”, grazie alla presenza di una scuola di etnoantropologia, etnomusicologia che vedevano in Ernesto de Martino, Diego Carpitella, Luigi Lombardi Sartriani, solo per citarne alcuni, maestri di pensiero che hanno scandagliato nel profondo il nostro paese nelle sue tradizioni culturali, musicali, etniche. Pezzi culturali questi che vanno a comporre l’identità di un popolo, che non deve essere visto come un qualcosa di statico ma come base di un processo. Una identità statica è quella che ci fa dire a un immigrato africano “tu non sei dei nostri”. E qui allora bisogna dire che non è tanto l’oggetto che ci interessa (in questo caso la musica popolare) quanto il processo, ovvero ridare voce a soggetti che non hanno voce e che invece ce l’hanno e con questa voce si rappresentano.
E’ questo secondo me il significato del libro di Elena Bonelli “Dallo stornello al rap”, che è stato presentato nell’aula consigliare della Città di Palestrina, presenti un folto e attento pubblico, insieme al Sindaco Moretti e ad alcuni membri della Giunta, quasi a voler testimoniare l’attenzione per la cultura popolare musicale, in particolare quella “romana” (e non romanesca, perché di romanesco ci sono solo i carciofi) nella patria del principe della musica Pierluigi da Palestrina.
Quella di Bonelli è stata una “lectio magistralis” sulla storia della canzone popolare romana che partendo dalle sue origini medievali arriva fino alle sue forme moderne rappresentate dal “rap”. Una delle prime forme di canzone popolare romana è presente nel Medioevo e come tutta la cultura popolare tende a riflettere la cultura dell’epoca . E in una Roma profondamente religiosa non poteva che essere che un brano intitolato “Er Pellegrino”, brano ignoto del XII secolo, dedicato proprio ai tanti pellegrini che allora come oggi raggiungevano la Capitale ed in particolare il Vaticano.
Bonelli ci ha fatto viaggiare con la fantasia attraverso i secoli di una romanità che ha toccato autori più o meno noti ma le cui canzoni sono entrate a far parte dell’immaginario musicale della tradizione romana. Una tradizione che vede un miscelarsi di temi profani e sacri, con incursioni su temi sociali e politici spesso trattati in maniera satirica. E dentro quelle canzoni c’è tutta la Roma del tempo con i suoi monumenti, i suoi quartieri, i suoi personaggi.
Siamo passati dallo stornello, costituito da strofe brevi, con un quinario, seguito da due endecasillabi in rima con il precedente, alla romanella, costituito da una serie di ottave. E tra ricordi di autori che hanno fatto la storia Fregoli, Petrolini, Belli, Trilussa e canzoni che ormai sono entrate a far parte del canzoniere romano una per tutte Affaccete Nunziata di Ilari-Guida, considerata una della più belle canzoni della fine del secolo, La Bonelli ci ha guidato fino alla musica contemporanea di Ferri, Venditti, Barbarossa, Califano fino ad arrivare all’ultima forma musicale il Rap, con la presenza di rapper romani come gli Assalti Frontali, i Flaminio Maphia, Cane secco, Mirkoeilcane, Cranio Randagio, ecc.. Bonelli con il suo libro ci dimostra come sia un errore pensare la musica popolare come immutabile e quindi non al passo dei tempi. In realtà le culture popolari continuano a trasformarsi, ibridarsi (il rap romano, ne è un esempio) a corrompersi, e comunque a vivere nel corso del tempo.
La musica popolare quindi come espressione culturale non è solo un momento di curiosità locale, ma diviene portatrice di un sapere, di una cultura appunto, che contribuisce a dargli dignità di presenza storica, di cittadinanza.
Negli anni quaranta del novecento ci si lamentava che la musica romana stava scomparendo sostituita da quella di importazione «Nannarè!/perchè, perchè te sei innammorata/de stà musica americana?/ma perchè te sei scordata che sei romana/e li stornelli nun canti più? c’era ‘na vorta tutto quer che c’era…/ povera Roma nostra forestiera!». Oggi che Roma sta diventando sempre più multietnica e che proprio i “forestieri” hanno riportato la musica nelle strade, ma anche nelle chiese e nei templi non è detto che la musica romana non possa trovare una nuova vitalità dalla contaminazione e ibridazione con le culture altre che vengono dai paesi di recente immigrazione dando un segno di profonda vitalità culturale.
Un passaggio interessante della lectio tenuta dalla Bonelli riguarda il momento in cui si fa nascere la canzone romana. Siamo nel quartiere di San Giovanni dove in occasione della festa del Santo, che cade il 23 giugno, si è soliti fare una festa di quartiere dove presso Porta San Giovanni si sfidavano cantori e cantastorie in una gara di stornelli accompagnati dal vino dei Castelli. Siamo nel 1861, a vent’anni dall’Unità d’Italia, e in una osteria appena fuori Porta San Giovanni, chiamata Facciafresca venne ideato il concorso per la più bella canzone romana. La canzone che vinse fu “Le Streghe” cantata da Leopoldo Fregoli, che sarebbe poi diventato famoso come trasformista. La canzone ebbe successo perché rievocava i personaggi per tradizione legati alla festa di san Giovanni:
“M’ hanno detto che le streghe
so’ vecchiacce brutte assai;
nun capisco come mai
nun so’ belle come te.
Perché tu sei un angioletto
che dar celo sei cascato
e pe’ questo m’ hai stregato
nu’ me fai connette più. Sì, tutte le streghe
sò come sei te (non ho più paura,
le vojo vedé…”.
Bonelli chiude il libro con “la musica è da sempre il cuore di Roma” e anche se quella del passato non ha avuto una diffusione internazionale quale quella napoletana, ai nostri giorni si è certamente riscattata con quella che è chiamata la “scuola romana” dei cantautori, che è nata nel cuore di Trastevere in locale il “Folkstudio”, attivo fin dal 1960, che ha visto passare le migliori voci musicali a partire da uno sconosciuto Robert Zimmerman (alias Bob Dylan) ai nostri Locasciulli, Venditti, De Gregori, Barbarossa.
Possiamo concludere dicendo che: “la musica continua”.
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