Mara Crisci in un monologo madre/figlia

Arma mette in evidenza la difficile confessione di una figlia alla madre

Al Teatro Le Sedie di Roma, diretto da Andrea Pergolari, sarà in scena dal 26 al 28 gennaio, lo spettacolo Arma scritto e interpretato da Mara Crisci, che lo ha anche diretto insieme a Marco De Rossi.

Arma è un monologo in cui si confrontano due donne, una madre e una figlia. Quest’ultima si confessa alla genitrice, confessandole che fa la puttana, ma cosa ancor più difficile, da confessarle, è che quella professione le piace. Nell’iniziare a confessare una scelta simile, si scusa, perché? Perché è un mestiere ai margini della società.

Lo spettacolo in oggetto, pone l’accento su un tema importante ma difficile da affrontare. Infatti parla di quanto una donna può essere vittima o carnefice nella condizione di oggetto sessualizzato. Ho approfondito l’argomento insieme alla protagonista Mara Crisci.

Salve e benvenuta. Lei sarà in scena con lo spettacolo Arma, al Teatro Le Sedie, cosa racconta la pièce?

Arma è uno sfogo libero di una giovane donna che sta cercando a tutti i costi di capire cosa sia la vita e cosa sia l’amore. È sesso, morte, tenerezza. È una ragazza sola in camera sua dopo che è accaduto qualcosa di più grande di lei.

Oltre ad essere interprete, lei è anche l’autrice del testo, da cosa o chi nasce Arma?

Arma nasce da un’analisi della società e da una forte curiosità per tutto ciò che è per sua natura controverso. Nasce anche dalla parte più profonda di me. La mia umanità fatta di pulsioni, paure e desideri che nel processo di scrittura ho difeso fino all’ultimo da qualsiasi stereotipo e igienizzazione.

La protagonista è una figlia che confessa alla madre di essere una prostituta e che le piace. Cosa comporta portare in scena un testo del genere? Quali sono le reazioni del pubblico?

Avremo il nostro debutto il 26-27-28 gennaio al teatro Le Sedie a Roma. Per adesso non ci sono state vere e proprie reazioni, ma chiunque sia entrato in contatto con “Arma” in fase di studio ne ha sentito il calore e ce l‘ha restituito.

Quello che mi auguro è che le persone vedendo questo spettacolo abbiano voglia di parlarne e aiutarci a continuare l’indagine insita nel testo. Quindi vi aspettiamo!

In un periodo come questo, con il dibattito sempre più aperto e acceso sulla violenza, quanto può essere difficile comprendere quando una donna è vittima o consenziente nell’essere individuata come oggetto sessuale?

È tanto difficile, per questo è così affascinante porsi questa domanda. Rispondo citando una parte del testo volutamente provocatoria: Non c’è una persona che non si sia bruciata con la candelina del proprio primo compleanno, solo per capire cosa fosse il dolore. E non c’è una donna che non si sia lasciata stuprare almeno una volta nella vita per capire cosa fosse l’amore.

Con questo voglio dire che è sempre molto difficile identificare la vittima e il carnefice in qualsiasi situazione. È difficile prima di tutto comprendere se noi stessi ricopriamo l’uno o l’altro ruolo e proprio su questa ambiguità si fonda lo spettacolo.

Da giovane donna, cosa pensa lei di questo dibattito che anima la società moderna?

Penso che la donna si stia sempre più appropriando del suo reale potere e che questo si fondi proprio sull’individuarsi come soggetto e non come oggetto, in tutti gli ambiti, a partire da quello sessuale. Penso che la violenza sia la conseguenza di una mancanza d’amore e di educazione all’amore e che alla nostra società manchi questo più di tutto. Se ci fosse una reale consapevolezza delle dinamiche umane ci risparmieremmo molte violenze. Ma andare in profondità è faticoso e spaventa, quindi purtroppo continuiamo ad agire condizionati dalla paura.

L’oggettificarsi sessualmente può essere una scelta lucida e coraggiosa, un modo per esprimersi e appropriarsi di un potere e di una libertà a discapito di chi oggettificandoci può solo essere passivamente desiderante e quindi vulnerabile… o comunque, a me piace questo lato della medaglia.

Lo spettacolo ha una doppia regia, la sua e quella di Marco De Rossi, come è stato studiato registicamente?

Rispondo insieme a Marco (De Rossi, l’altro regista n.d.r.) a questa domanda. ARMA è un flusso di coscienza e quindi, registicamente, è stato ideato come un’entrata senza filtri nell’anima e nella mente di una ragazza che vive e si fa corpo delle emozioni che la attraversano. Come impianto scenico abbiamo pensato ad una stanza metafisica, pertanto scenicamente vuota, in cui le azioni quotidiane si esasperano fino a diventare veicoli delle sensazioni e dei pensieri. Il tutto interrotto in alcuni punti, da un secondo livello, violento e sincopato che condurrà all’evento da cui tutto è partito. In questa dinamica, abbiamo cercato anche di sfruttare la drammaturgia sonora quotidiana come ulteriore elemento di concretizzazione di pensieri e pulsioni della protagonista.

Come si è vista nella doppia veste di regista e interprete? Quale dei due ruoli la impegna di più?

Ho cercato di creare una linea immaginaria che mi permettesse di essere da una parte lucida e libera nell’immaginare la messa in scena, dall’altra di perdermi nel personaggio che avevo immaginato. La cosa più impegnativa è stata difendere quella linea.

Nella visione del ventunesimo secolo, come immagina l’evoluzione del teatro? E quella dell’attore/trice?

Spero che sempre più giovani artist* abbiano voglia di portare in scena il loro punto di vista sul presente con sincerità e coraggio.

Grazie per essere stata con noi!

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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