Antonia Fama ci racconta Fate i tuoni
Un libro trasportato a teatro, una storia vera che racconta l’umanità
Antonia Fama sarà in scena al Teatro Trastevere di Roma, diretta da Marco Zordan, direttore artistico del teatro e che l’accompagnerà in scena, con lo spettacolo Fate i tuoni, dall’omonimo romanzo di Michele D’Ignazio.
Un testo che racconta la storia calabrese degli anni Novanta, di Badolato, borgo che si era spopolato e che i Curdi hanno ripopolato, grazie alla generosità dei suoi abitanti e per questo, divenuto un segno della vera accoglienza.
Ne ho parlato insieme ad Antonia Fama, che ringrazio per la sua disponibilità.
Bentornata. Sarai in scena con Fate i tuoni di cui tu hai curato l’adattamento teatrale insieme a Michele D’Ignazio. Con Michele D’Ignazio, autore del libro, vi siete occupati di portare in scena uno spettacolo teatrale: com’è stato lavorare su questo libro?
Non è la prima volta che lavoro con Michele all’adattamento di un suo romanzo. Lo avevamo già fatto con Il mio segno particolare, il nostro spettacolo precedente, di cui ho curato anche la regia, con il quale abbiamo debuttato nel 2021 ma siamo ancora in giro per l’Italia. Lavorare sul libro è stato affascinante perché racconta una storia che io conosco bene e a cui tengo molto. È una storia vera che mi porto nel cuore sin dall’adolescenza.
È stato anche sfidante, perché il romanzo racconta, attraverso un narratore onnisciente, le vite di due ragazzini. Due vite parallele, due sguardi limpidi che si affacciano su due sponde opposte del Mediterraneo e che poi a un certo punto si incroceranno. Trasformare questo tipo di narrazione in una sorta di monologo/dialogo non è immediato. Abbiamo dovuto individuare insieme le motivazioni che spingessero i personaggi a raccontarsi.
La chiave di volta, anche grazie a un’intuizione del regista Marco Zordan, è stata quella di trasformarla in una narrazione in cui il pubblico fosse il terzo protagonista vero della storia: il paese di Badolato.
Non è il primo lavoro che vi vede lavorare insieme, quali sinergie vi uniscono?
Marco, Michele e io lavoriamo insieme da qualche anno, e credo che la cosa che più di tutti ci unisca sia il fatto di mantenere uno sguardo limpido sul mondo che ci circonda, oltre che sul lavoro teatrale. Siamo uniti da una forte volontà: quella di tenere insieme il lavoro teatrale con l’educazione sociale.
Ci unisce infatti anche il percorso, intrapreso un anno fa, della Città di Tutti, il festival realizzato grazie al sostegno dell’Assemblea Capitolina, che si fonda sull’idea di un teatro inclusivo e per i diritti umani, con una serie di appuntamenti rivolti alle scuole, alle case famiglia, alle associazioni del terzo settore.
Fate i Tuoni è il secondo spettacolo che ci vede lavorare insieme, e restiamo fedeli alla voglia di raccontare storie piccole, ma di grande umanità.
I protagonisti sono due bambini, interpretati da te e Marco Zordan. Come vi siete preparati a interpretarli? A chi vi siete ispirati?
Non è stato un lavoro semplice, perché per interpretare un bambino di dodici anni e risultare credibile devi innanzitutto decostruire la persona che sei oggi. E, ancora prima, crederci. Credere in quello che dici, nel modo in cui ti muovi sul palco, fidarti delle tue risorse interne e affidarti alla possibilità di lasciarti stupire.
La prima cosa, quindi, è stata rileggere il testo come se avessi davvero dodici anni. E poi contattare – non senza difficoltà – la bambina che sono stata io, parlare con lei. Mi ha aiutata anche osservare le mie figlie, la totale mancanza di filtri con cui abbracciano le cose della vita. L’assenza di vincoli autoimposti.
L’argomento di cui si parla è il confine, ma anche il viaggio per chi vuole partire e la certezza di chi vuole restare. Quanto della realtà c’è nello spettacolo e quanto della fantasia?
Lo spettacolo e il romanzo si ispirano a una bellissima storia vera, accaduta ancora prima di quanto poi successe a Riace e che tutti conosciamo. Negli anni Novanta Badolato era un borgo disabitato. I pochi abitanti risiedevano solo nella parte bassa del paese, alla marina. Il sindaco lanciò provocatoriamente una vendita delle case abbandonate a un euro, che andò su tutti i giornali.
Poco tempo dopo, successe che una nave, con a bordo centinaia di naufraghi curdi, arrivasse sulle coste di Badolato. Gli abitanti accolsero i migranti, e con immensa generosità le case abbandonate vennero messe a disposizione. Il paese rinacque, fu una grande esperienza di convivenza tra calabresi e curdi.
Mi ricordo che all’epoca, io ero al liceo, andammo con la scuola a visitare il borgo. Ricordo come se fosse ieri le botteghe aperte, i ragazzini curdi che giocavano a calcio con quelli calabresi, gli anziani tutti seduti davanti alle porte delle case.
L’altro aspetto incredibile di questa storia fu l’iniziativa dell’artista Nick Spatari, che organizzò un happening sulla spiaggia di Badolato: centinaia di bottiglie affidate al mare con un messaggio. Michele ha recuperato video, foto, giornali dell’epoca, tutti originali. E poi si è inventato questi due straordinari ragazzini, Zaira e Murad, simboli di restanza e di partenza.
La regia di questo spettacolo è di Marco Zordan. Quali sono state le sue direttive e quali i suggerimenti che ti ha dato?
Io e Marco ci conosciamo ormai abbastanza bene, ci lega un rapporto di lavoro che è diventato nel tempo anche un’amicizia. Ha saputo stanarmi, provando a guidarmi in quella prova di fiducia verso se stessi che è, per un’attrice o un attore, la cosa più difficile da fare. Anche se sembra un paradosso. Su sua indicazione, ho lavorato per togliere, togliere e togliere: tutto ciò che era di più, che era superfluo, che era una corazza. Solo così sono riuscita ad arrivare all’essenza, spogliandomi di me stessa, per diventare Zaira.
Il libro è principalmente dedicato ai bambini, ma è utile anche per gli adulti. Cosa volete restituire ai più piccoli? E ai più grandi?
Non direi che è un libro dedicato ai bambini. Direi piuttosto che, come già Il mio segno particolare, è un libro che può essere letto da tutti a partire da una certa età, molto giovane. Siamo troppo abituati a distinguere sempre: libri per adulti, libri per bambini; spettacoli per adulti, spettacoli per bambini. Questa tendenza esasperata a catalogare per separazione, invece che per unione, ci ha portati a dimenticare completamente che ci possono essere storie e linguaggi universali.
Credo sia questa la forza degli ultimi due romanzi di Michele e degli spettacoli che ne abbiamo tratto: la capacità di parlare alle famiglie, di invitare a teatro genitori e figli, piccoli e grandi, per venire ad ascoltare una storia che non ha età. Il romanzo e lo spettacolo non sono per bambini. Sono per tutti, anche per bambini.
Grazie e in bocca al lupo!
Grazie a te!