Abbasce la cape a InCorti da Artemia

Una riscrittura de L’ultimo giorno di un condannato a morte di Hugo

Domenica 21 aprile, Abbasce la cape di Maurizio Sarubbi, sarà il terzo corto a salire sul palco di InCorti da Artemia al Centro Culturale Artemia diretta da Maria Paola Canepa. Scritto, diretto e interpretato da Maurizio Sarubbi, si ispira al racconto di Victor Hugo, L’ultimo giorno di un condannato a morte, testo di grande spessore che entra nell’animo di una persona che aspetta di veder tramutarsi in realtà la condanna a morte inflittagli. A raccontare il tutto Sarubbi della Compagnia teatrale Artù.

Salve. Perché vi siete iscritti a InCorti da Artemia?

Ci siamo iscritti a InCorti di Artemia per vari motivi. Per mettere alla prova lo spettacolo Abbasce la cape (abbassa la testa) in ambiti fuori dalla Puglia, trattandosi di un riadattamento di “L’ultimo giorno di un condannato a morte” di Hugo, influenzato dalle memorie di un personaggio pugliese descritto nei racconti “Strada Angiola“ del mio amico Giuseppe Lorusso. Per conoscere e creare sinergie con altre compagnie e direttori artistici di altre città.

La compagnia teatrale Artù ha come obiettivo, tra i tanti, creare rete e collaborazioni anche al di fuori della Puglia. Per mettersi in gioco come attore e come regista e confrontarsi con colleghi di livello.

Cosa si aspetta dal festival?

Mi aspetto di creare nuove relazioni artistiche, mi aspetto di imparare elementi nuovi da colleghi sicuramente di livello, motivo per il quale loro e noi siamo lì al festival. Mi aspetto di vedere, e sarà cosi, buon teatro e grande passione per questo lavoro che certe volte è maltrattato. Mi aspetto una bella boccata di ossigeno dopo che hai aperto finalmente una bella finestra. Poi sicuramente chi vincerà avrà meritato, il che non è poco.

Parliamo del corto. Abbasce al cape, si ispira a L’ultimo giorno si un condannato a morte di Victor Hugo. Cosa l’ha spinta a scrivere un testo ispirato a quello di Hugo? Cosa l’ha attratta del suo personaggio?

L’ultimo giorno di un condannato a morte di Hugo è un mio vecchio pallino. Mi affascinava questo testo in quanto il personaggio di Hugo non ha un’identità precisa e non si capisce che reato abbia commesso, si pensa a reati politici. Era sempre lì in attesa sulla mia libreria.

Un giorno il mio amico e fotografo Giuseppe Lorusso, dopo uno spettacolo della compagnia a cui lui aveva assistito, mi disse: “ti devo far leggere dei miei racconti”. Racconti di sue memorie di infanzia e giovinezza raccolte nell’opera Strada Angiola che è la strada di Bari Vecchia dove lui è nato.

Subito mi venne l’idea di sostituire le memorie del personaggio di Hugo con le memorie di Giuseppe Lorusso e creai il testo, ovviamente con logicità. Credo che abbia funzionato anche perché cerchiamo di ridare, con Abbasce la cape, una certa dignità al nostro dialetto che spesso è violentato. Lo spettacolo ha delle sfumature dialettali ed è in italiano con cadenza pugliese. Questo aspetto ci inorgoglisce.

Nel suo caso è autore, regista e interprete del corto, come si vede in queste tre vesti? Ce n’è una che prende il sopravvento sulle altre e perché?

Come autore del riadattamento mi sento, insieme a Giuseppe Lorusso, Caterina Rubini, il tecnico dello spettacolo che segue tutta l’evoluzione e Maria Pastore, socia e mia compagna di vita, sempre presente nelle attività della compagnia, orgoglioso nel portare avanti questa operazione originale e non banale. Come regista mi vedo molto razionale e libero delle mie scelte e come interprete soffro perché questo spettacolo mi violenta l’anima.

C’è sempre un bisogno naturale di fare questo spettacolo e uscirne distrutto, sporco e sudato mi rende felice. Adoro la recitazione interiore e sono nemico di quella esteriore perciò considero il ruolo di interprete quello che prende il sopravvento anche perché nel testo si esprime l’importanza delle cose piccole che, in una vita normale, vengono considerate poco e date per scontate: un raggio di sole, un pezzo di cielo, una voce che ti parla.

Si parla anche di condanna a morte. Cosa pensa lei di questa punizione che vige ancora in molti paesi, anche in quelli socialmente ed economicamente evoluti?

Un passaggio del testo di Hugo dice “la morte è una cosa naturale, la condanna a morte è una malattia dell’uomo”. La condanna a morte non dovrebbe esistere. Assolutamente contrario. L’uomo pecca nel prendersi diritti che non ha e che non dovrebbe mai avere. Stiamo portando avanti un’attività di laboratorio per le detenute dell’istituto penitenziario di Taranto.

È un ‘esperienza forte che mi ha aiutato nell’interpretazione del testo. Lì non vi è, per fortuna , la condanna  a morte, ma la privazione della libertà è già un enorme punizione.

Se fosse realmente lei il condannato a morte, cosa rimpiangerebbe e di cosa, invece, andrebbe molto fiero?

Vado fiero di aver creato la compagnia teatrale Artù, il nome è quello del mio gatto ora in cielo, dopo 25 anni di teatro. Vado fiero del fatto che tutto ciò che la compagnia fa è frutto del lavoro puro e non si scende a compromessi. Vado fiero di avere un gruppo di attori e attrici che mi sopportano e supportano. Vado fiero della libertà nelle scelte e vado fiero soprattutto degli insuccessi che mi insegnano tanto.

Il mio rimpianto è che, forse, avrei dovuto fondare prima la compagnia ma è anche vero che ogni cosa ha il suo tempo. Rifarei tutto quello che ho fatto anche alcune scelte poi risultate negative e controproducenti, poiché mi hanno dato più energia reattiva.

Grazie e in bocca al lupo!

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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