Alda Merini: sono nata il 21 di marzo
La spiritualità di Alda Merini
“La mia religiosità è molto pagana, pagana e gaudente. Mi sono sempre comportata da grande peccatrice e non mi sono mai pentita. Non vado in chiesa a mormorare, d’altra parte le chiese sono sempre vuote. Non prego. Ma credo che Dio sia qui con me. Ne avverto la presenza, annuso il suo odore, sento dentro di me la pace divina.
Stavo in casa e aiutavo la mamma, andavo all’oratorio, ero una brava ragazza io. Io sono molto cattolica, la mia parrocchia a Milano era San Vincenzo in Prato. Mi sento cattolica e profondamente moralista, nel senso che sono una persona seria, allevata da genitori serissimi, pesanti e pedanti in fatto di morale. Non lo so se credo in Dio, credo in qualcosa che… credo in un Dio crudele che mi ha creato, non è essere cattolici questo? Perché, Dio non è così? Tutti abbiamo un Dio, un idoletto, ma proprio il Dio specifico che ha creato montagne, fiumi e foreste lo si immagina solo… Con la barba, vecchio, un po’ cattivo, un Dio crudele che ha creato persone deformi, senza fortuna. Credo nella crudeltà di Dio. Non penso siano idee blasfeme, la Chiesa non mi ha mai condannata. Anzi, il mio “Magnificat” è stato esaltato, perché ho presentato una Madonna semplice, come è davvero lei davanti a questo stupore dell’Annunciazione, che non accetta fino in fondo perché lei ha San Giuseppe.
Io pregavo da bambina, ero sempre in chiesa, sentivo sette, otto, dieci messe al giorno, mi piaceva, però non ci vado più dai tempi del manicomio. Ho trovato una tale falsità nella Chiesa allora, in manicomio vedevo le ragazze che venivano stuprate e dicevano di loro che erano matte. Stuprate anche dai preti, allora mi sono incazzata davvero. L’ho visto accadere ad altri, non è una mia esperienza. La Chiesa è dura con le donne, da sempre”
Queste sono le parole, dure per certi suoi giudizi, di Alda Merini, donna e poeta. Ma come nasce un poeta? Ce lo dice Alda Merini in “Corpo d’amore” (MdA, 69)
“E così nascono i libri, nell’amore, e così nascono i libri che nessuno legge mai, e così il libro prima di nascere Dio lo deposita in te come un manciata di fango che diventa luce.
Domandano tutti come si fa a scrivere un libro. Si va vicino a Dio e gli si dice: feconda la mia mente, mettiti nel mio cuore e portami via dagli altri, rapiscimi.
Così nascono i libri, così nascono i poeti”
Ecco mentre preparavo questo testo, rileggendo il libro “Mistica d’Amore” che raccoglie “Corpo d’amore, un incontro con Gesù”, “Magnificat, un incontro con Maria”, “Poema della Croce”, “Cantico dei Vangeli” e “Francesco”, un testo che può essere definito la raccolta dei “versi mistici” della Merini, mi sono chiesto “ma cosa è una poesia”.
Se lo chiedessi a ognuno di voi penso che riceverei le risposte più varie. Io, di ritorno da un viaggio in Russia, l’ho trovata proprio in un poeta russo Iosif Brodskij che dice:
“la poesia è una sorta di deviazione dal solito modo obbediente di pensare…….chiunque si dia da fare per creare dentro di sé un proprio mondo indipendente è destinato prima o poi a diventare un corpo estraneo nella società e a essere soggetto a tutte le leggi fisiche della pressione, della compressione e dell’estrusione”. Iosif Brodskij nel 1964 fu accusato dal regime comunista di “parassitismo” e rinchiuso in carcere.
Anche Alda Merini fu rinchiusa, non certo in un carcere, ma in un manicomio luoghi che negli anni settanta venivano definiti “istituzioni totali”. Non fu certo soggetta a censura politica come Brodskij ma certamente influì il suo modo di essere, di pensare la libertà espressiva e di comportamento (la nudità, il corpo, l’idea di amore). Alda era certamente per quegli anni una donna fuori dai “confini”. Una donna che non dava certo sicurezza ma nella sua insicurezza trovava nella poesia una mano amica. Una poesia che l’aiutava nei momenti difficili e che le permetteva anche di esprimere una spiritualità concreta, quella spiritualità che sarebbe tanto piaciuta a Papa Francesco che spesso ci invita a vivere la “gioia del Vangelo”. E la gioia per Alda è la poesia. Lo scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez dice che “la poesia è l’unica prova concreta dell’esistenza dell’uomo”. Scrive Alda: “la Poesia non è un lamento, perché per scrivere è necessario essere felici! La gioia deriva dalla fede nella vita e oggi la gente ha perso questo tipo di credo, anche nei confronti degli uomini. Senza gioia non si può scrivere! Ritengo che “l’Inno alla gioia” di Beethoven sia stato scritto in condizioni pietose: era un uomo sordo ma, anche in questo caso, la gioia deve venire dal di dentro. Per quanto riguarda me, la poesia mi ha guarita. Dopo che mio marito mi abbandonò in manicomio, grazie a Dio, un medico mi incoraggiò a scrivere, perché io non ero più felice e non volevo più comporre poesie. E’ così che, adagio adagio, ho ricominciato e ho ritrovato nella poesia la felicità”. E quella gioia noi la ritroviamo nel Magnificat, un incontro con Maria che già nei primi versi rimanda al Magnificat del Vangelo secondo Luca:
L’anima mia magnifica il Signore
il mio spirito esulta in Dio mio salvatore.
Poiché ha guardato l’umiltà della sua serva
tutte le generazioni ormai mi chiameranno «Beata».
La Maria di Alda evoca la sua interiorità, il suo smarrimento il suo stupore, è corpo, sangue, dolore:
«L’anima mia scorre verso di Te come la luce,
l’anima mia che si deforma e diventa preghiera,
l’anima mia che è foresta di canto,
l’anima sempre l’anima,
che è la tua mano che mi accarezza.
Ma perché, Dio,
la pietra della mia lingua è diventata saggia,
è diventata un fiore?
Tu non sai che cosa sono le tue mani sopra il mio corpo
e la tua volontà divina.
Io sono soltanto una terra adolescente,
una terra che diventa un fiore
e un fiore che diventa terra.
Perché vergine se io sono madre di tutti?
Perché madre se sono una vergine senza confini?
Perché il dubbio atroce della fede?
Perché questa grande crocefissione amorosa?».
(MdA, 97)
Già qui emerge, come nel verso “l’anima,/che è la tua mano che mi accarezza” tutta l’umanizzazione del divino che sarà una costante in tutti i versi mistici della Merini.
E una volta letti i versi, raccolti in Mistica d’Amore, possiamo dire che l’opera di Alda Marini si colloca perfettamente tra i vangeli canonici e quelli apocrifi, fino a far diventare il corpus “Mistica d’Amore” i capitoli di un Quinto Vangelo secondo Alda Merini.
I testi poetici di Alda sono un ideale testo teatrale dove vengono rappresentate figure evangeliche quali Maria, Gesù, Pietro, Maddalena. Dal modo in cui ne parla le sue parole rimandano ad un altro grande poeta del nostro novecento: Padre Davide Maria Turoldo, di cui Alda è stata amica, e così lo ricorda
“Era una montagna di fede ma era anche una montagna di misericordia. Era uno costretto a prendere la materia della vita e farne un canto”. Per Turoldo la “Poesia è rifare il mondo”, poesia come atto supremo dell’attenzione alla vita, alla vicenda dell’uomo e dei popoli.
Parlare di Gesù, di Maria, della Maddalena, per Alda è come parlare dei tanti ultimi e scarti della terra. Di Maria dirà “io sono l’umile ancella/che servirà i più umili” (MdA 81), quegli umili incontrati nel suo camminare lungo i Navigli milanesi o nelle fredde stanze di un manicomio nella cui disperazione tra la morte e l’estasi, l’estasi arriva per salvarti la vita. E allora ben venga la follia che ha salvato la vita. Perché quale altro significato avrebbe la frase: sono impazzito di gioia!
Nel manicomio Lei gettava su di loro il suo sguardo, come Gesù gettava le reti per salvare gli uomini, uno sguardo che dava la forza di rialzarsi dal dolore, così come era accaduto a lei che aveva attraversato le “stanze” della follia e da cui ne era uscita perché su di lei si erano posati gli sguardi d’amore degli uomini “carnali” che aveva incontrato nella sua vita, ma soprattutto gli sguardi dei quattro figli amati, a cui diceva di non dire che erano suoi figli: “Quella pazza. Rispondono che io sono la loro mamma e basta, che non si vergognano di me. Mi commuovono”.
Scrive ancora Alda “I personaggi sono reali, sono quelli che hanno popolato la mia infanzia, la mia adolescenza: miseri, indisciplinati, diversi”. Questi sono stati i suoi maestri e questi uomini e donne incarnano i volti di Gesù, di Maria, di Maria Maddalena. La spiritualità di Alda si forgia nell’amicizia con due religiosi nella Milano degli anni sessanta padre Davide Maria Turoldo e padre Camillo di Piaz. Gli anni milanesi di Alda sono anni frequentati da poeti e scrittori come Vittorini, Quasimodo, Montale ma anche la Milano che preparava il maggio sessantotto da Gaber a Jannacci per finire al Dario Fo di Mistero Buffo. Sono anche gli anni di due capolavori cinematografici: Miracolo a Milano di De Sica e Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Uomini che come direbbe oggi Papa Francesco hanno fatto nelle loro opere la scelta preferenziale dei poveri. Mondi che ritroviamo nei versi di Alda, soprattutto in quei volti biblici descritti nelle opere di cui stiamo parlando. Lo sguardo di Alda si pone sempre dalla parte degli ultimi, come lo sguardo di Gesù quando di Lui Alda scrive:
Gesù è una fiamma d’amore,
lui purificherà il mondo,
brucerà le scorie del dolore,
ma per fare questo, figlio,
abbiamo patito sopra un legno ignudo
senza vesti
trafitti da misere spade.
Il tuo è dolore di carne,
il mio è un dolore dell’anima.
La mia anima urla, Gesù,
le mie carni soffrono.
Ridatemi le spoglie del mio bambino.
Non l’avessi mai visto correre per i prati,
non l’avessi mai sentito gridare dalla gioia,
non avessi mai incontrato il suo volto
così beato
da rendermi beata tra le genti.
(MdA, 131)
Lo sguardo dal basso è lo stesso di cui un grande teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer scrive nel Natale del 1942 prima di essere impiccato nel campo di Flossenburg nel 1945:
Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine a “guardare gli eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi, dei derisi, in una parola dei sofferenti”.
Lo sguardo dal basso di Alda è lo stesso di Don Milani, di don Puglisi, di Charles de Foucauld, ma soprattutto di Papa Francesco che ad Alda sarebbe sicuramente piaciuto. Un papa che ci parla di Chiesa in uscita, di un vivere la fede non dal di dentro ma dal di fuori in un andare oltre i confini, pensando la fede a partire dalle periferie della storia. E Alda ha frequentato questo “di fuori” ha abitato le nostre paure, anche fisicamente in quei “manicomi” in cui possiamo tutti precipitare.
Però lei ci insegna che dall’abisso si può uscire urlando il nostro dolore e con tutta la nostra voglia di vivere, aggrappandoci ad un raggio di luce come ce lo descrive in una lirica “Spavento di Maria” al momento dell’Annunciazione:
Una voce come la Tua
che entra nel cuore di una vergine
e lo spaventa,
una voce di carne e di anima,
una voce che non si vede,
un figlio promesso a me,
tu ancella che non conosci l’amore,
un figlio mio e dell’albero,
un figlio mio e del prato,
un figlio mio e dell’acqua,
un figlio solo:
il Tuo.
Come non posso non spaventarmi
e fuggire lontano
se non fosse per quell’ala di uomo
che mi è sembrata un angelo?
Ma in realtà, mio Dio,
chi era?
Uno che si raccomanda,
uno che mi dice di tacere,
uno che non tace,
uno che dice un mistero
e lo divulga a tutti.
Io sola, povera fanciulla ebrea
Che devo credere e ne ho paura, Signore,
perché la fede è una mano
che ti prende le viscere,
la fede è una mano che ti fa partorire.
(MdA, 89)
Alda canta il bruco strisciante che si fa farfalla
Anima mia che metti le ali
e sei un bruco possente
ti fa meno male l’oblio
che questo cerchio di velo.
E se diventi farfalla
nessuno pensa più
a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali.
Così come passando attraverso l’abisso del manicomio canterà i piccoli per non escludere nessuno. La sua è una poesia parziale (sta dalla parte degli ultimi) per essere davvero universale.
E’ quello che fratel Charles de Foucauld fa lasciando tutto e ritirandosi nel deserto per essere fratello universale e parlare a tutti. Nel deserto sperimenta la debolezza, quella stessa debolezza che Alda attribuisce al suo Dio. Un Dio che non può fermare gli eccidi della Shoah o del Rwanda, ma anche le stragi dei migranti dei nostri giorni. Per rimandarci a un Dio che incarnandosi, facendosi uomo, sta dentro la nostra storia, condividendone il dolore come nel drammatico dialogo con Pietro:
Pietro, non lasciarmi
non avrei mai pensato
che un giorno ti avrei teso le mani
come un bambino.
Ho bisogno del tuo potere di uomo,
ho bisogno che tu mi abbracci.
Io, il tuo maestro,
ho bisogno del mio discepolo,
perché tu hai creduto.
Io, che sono il tuo creatore,
sono un’anima ferita,
sono l’uomo dell’ulivo e della pace,
sono l’uomo dell’osanna e della disperazione.
Pietro,
prendi il tuo maestro tra le braccia,
sta cadendo lontano,
talmente lontano
che cade fuori dalla Terra Santa
e cade pieno di ferite e di escoriazioni.
Le pietre gli hanno devastato le mani,
ma tu sei una pietra:
tu potresti alzare le mie ferite,
rimarginarle, concluderle,
entrare con me in Paradiso.
Per Alda Dio non è il Dio guerriero e vincente che tanta iconografia del passato ci ha trasmesso. Il suo Dio è debole fragile, un Dio vulnerabile che non si nasconde, ma si svela a noi con tutta la sua compassione che è la cifra più alta di quella misericordia che è il volto di Dio.
Ma Alda non è donna di fede, ma sicuramente attraverso i suoi versi ha espresso una spiritualità della vita che ha saputo parlare a tutti, avvicinandoci a Dio attraverso la sua umanità.
Dio è nel mondo, in ogni uomo che lei ha incontrato, dove ha trovato il suo Dio di carne, il suo “Cristo dal cuore di donna”.
Alda alla religione del tempo ha contrapposto la religiosità della vita, che è di tutti e per tutti. E se un Tempo Alda ha frequentato, un Tempo in cui ha incontrato il suo Dio, quel Tempo è il suo manicomio dentro il quale ha gridato tutto il suo amore per Dio.
“Mi misero a letto……mi legarono mani e piedi e in quel momento, in quel preciso momento, vissi la Passione di Cristo” (Alda Merini, Il suono dell’ombra)
Alda donna per certi versi controcorrente, ma non femminista, anche se per molte femministe ne è diventata un idolo.
Alda madre di Emanuela, una figlia che appena nata fu presa in braccio da padre Turoldo che disse: “è la tua più bella poesia”. E se un figlio è un verso poetico allora – dice Alda – il rifiuto dell’aborto e della pillola libera alla portata delle ragazzine ne è la ovvia conseguenza. L’aborto non è mai un diritto, può essere in alcuni casi una dolorosa necessità; la vita di Alda è tutta un inno alla maternità che le fa dire “….che il bambino non si può annientare, nasce da un atto di poesia…..noi un tempo ci donavamo al nostro compagno con tutta la dedizione corpo-spirito e il bambino era una benedizione. Posso solo dire che, dopo i dolori del parto, subito dimenticavo quella crocefissione per gioire della vita nuova”.
Alda una donna che ha attraversato il dolore ma che nonostante tutto aveva una gran voglia di vivere e di vivere una vita felice, da volere con tutte le proprie forze una felicità non solo per se stessa ma anche per gli altri perché diceva “chi vive infelice, muore disperato”
Alda che da giovane entra in un monastero di clausura perché quella riteneva fosse la sua vocazione, ma viene tirata fuori dai genitori, perché si trovasse un marito. Ma già in quella scelta c’era tutta la vita della Merini: la condizione della vita contemplativa.
Una vita che in Dio non trovava posto ma che trovavano posto le cose che Dio le aveva donato: la vita, i sensi e anche per quello che può valere la gloria letteraria.
“Se considerate tutte le cose che Dio mi ha dato, come posso sperare che mi darà anche il Paradiso? Per questo ogni mattina quando mi sveglio sento il bisogno di pronunciare il mio grazie”. E il suo è un grazie alla vita.
Alda diceva “La mia poesia vuole essere un messaggio divino, una preghiera perché si riscopra l’amore verso gli altri”.
Ecco Alda prega con le parole ma anche con il suo corpo o meglio con la sua nudità così generosamente offerta. Una nudità “uno svestirsi di tutti gli orpelli” che ci fa apparire perfetti come dio ci ha fatti.
“perché coprirci di mantelli? siamo la più bella fattura divina. Una fattura che non smetteremo mai di pagare”
E’ di una bellezza materna quel corpo nudo disteso sul letto che rimanda ad un’altra nudità quella di Davide che, denudato dal manto regale, danza davanti all’arca, incurante che Micol, sua moglie, ridesse di lui. Lui danzava per Dio cosi Alda attraverso il suo corpo offerto agli sguardi umani danza per il suo Dio di carne e dice:
“Vorrei ballare tutta la notte
sola e nuda come il vento che mi colora e vorrei che tu mi vedessi quanto sono felice”.
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