Andrea Di Palma racconta la Valle del Sacco

L’inquinamento della Valle del Sacco nel testo Mani di Sarta

Finalista al premio “Dante Cappelletti” 2021 e selezionato al Festival Strabismi 2022, Mani di Sarta, di Andrea Di Palma e Federica Ponza, con Andrea Di Palma, debutta per la prima volta in forma completa a Fortezza Est dal 23 al 25 marzo. Un testo particolare, che racchiude una storia privata, quella della nonna del protagonista e una più ampia, andando a sviscerare la storia dell’Italia, in particolare l’inquinamento ambientale della Valle del Sacco in Ciociaria. Argomento molto attuale e di dibattito sempre più acceso, che ho voluto approfondire con l’autore del testo, Andrea Di Palma, che ringrazio.

Benvenuto, lei è autore, insieme a Federica Ponza dello spettacolo “Mani di sarta” un testo teatrale che parte dal racconto personale per parlare di inquinamento ambientale. Quanto abbiamo sottovalutato questo problema in questi anni?

Intanto grazie per questa opportunità. Tornando alla domanda, penso che quello che si muove oggigiorno a livello mondiale sia la risposta più lampante a questa domanda: abbiamo sottovalutato tanto, troppo. Se la questione dell’ambiente oggi è un’urgenza, è perché poco o nulla è stato fatto nel corso degli anni, avendo considerato l’ambiente qualcosa di “altro” rispetto a noi, sottoposto alle nostre esigenze. Ed è il motivo per cui abbiamo legato il tema ambientale alle vicende personali: Mani di Sarta è un racconto fatto di persone, volti, memorie all’interno di un territorio specifico che diventa esempio di quanto una pessima e incontrollata gestione e valutazione del contesto ambientale possa incrinare fin nel profondo le vite delle persone.

Nel suo testo parla della Valle del Sacco nel cuore della Ciociaria, di un “fiume pieno di schiuma”, un inquinamento cominciato negli anni ’50. Come hanno vissuto quegli anni gli abitanti della valle?

La Valle del Sacco era un territorio perfetto, nel dopoguerra italiano, in cui avviare un processo d’industrializzazione che guardasse al Meridione: la Ciociaria è il primo avamposto dopo Roma, un bacino idrico enorme che poteva essere messo a servizio del settore industriale, ettari di terre libere dove poter impiantare stabilimenti massicci. Questo discorso comincia alla fine degli anni ’50, con l’arrivo della Cassa del Mezzogiorno, e non si interrompe mai, anzi peggiora e si aggrava decennio dopo decennio, presente compreso. Noi ciociari abbiamo visto l’arrivo delle industrie come una grandissima opportunità economica, e lo era, senza dubbio: per i contadini e gli allevatori entrare in fabbrica significava veder ridotto l’orario di lavoro rispetto al lavoro nei campi, significava stipendi più certi e quindi migliori condizioni di vita.

Chiaro che però ciò ha comportato anche uno stravolgimento della quotidianità, prima dettata dai ritmi della terra e della giornata e poi dai turni della fabbrica. C’è stato un esodo gigantesco dai campi alle industrie che ha rivoluzionato il tessuto sociale di questa terra. Per decenni, in questi 70 km di terra, l’industria è stato l’unico modo per sostenersi; per gli abitanti è stato l’unica alternativa: entrare in fabbrica. Passando con l’autostrada da Colleferro a Ceprano, te ne rendi conto: stabilimenti a destra e sinistra. Per questo, ad esempio, la Ciociaria ha conosciuto poco e niente il fenomeno dell’emigrazione.

Accanto al problema ambientale è esploso anche il problema sociale quando tra gli anni ‘90 e oggi, le fabbriche hanno chiuso baracche e burattini, lasciando cattedrali di lamiere e operai senza lavoro. Con l’aggravante che molti di questi stabilimenti avevano spadroneggiato senza controllo, abusando delle risorse a disposizione della Valle del Sacco, continuando ad inquinare anche dopo la chiusura.

Quella che prima appariva un’enorme opportunità si è dimostrata una chimera, pagata a caro prezzo: si ha la sensazione di aver sacrificato troppo, di aver dato in pegno una terra che ora non si può più valorizzare, sia perché inquinata sia perché abbiamo perso una conoscenza comunitaria di come trattare e tirar fuori il meglio dall’essenza rurale di questo territorio.

Il teatro, in questo caso, cosa apporta al dibattito/dialogo su queste tematiche?

Il teatro, a mio avviso, può aiutare a creare un senso comunitario: ci dà la possibilità di riconoscerci nelle storie che ascoltiamo e vediamo e così allarga la prospettiva di pubblico e attori. Una storia intima diventa così una Storia universale, utile a tutti.

Per questo io e Federica Ponza abbiamo deciso di non raccontare dati e numeri del disastro ambientale della Valle del Sacco: il nostro interesse stava nelle storie delle persone, nei volti, nelle facce di chi ha vissuto o visto tutto ciò. Tramite le parole personali di questi protagonisti diventiamo parte di questa vicenda, anche se non siamo direttamente coinvolti, perché in esse sentiamo risuonare echi di altre parti d’Italia o del mondo, dall’Ilva di Taranto al Seveso…

Oggi si parla tanto di green, di salvaguardia del pianeta e dell’ambiente, del nostro territorio, ma gli errori del passato pesano. Come hanno influito nella Ciociaria, in questo caso nella Valle del Sacco?

Enormemente: il territorio è completamente compromesso. Stiamo parlando di un Sito d’Interesse Nazionale, ovvero SIN, (ad alto rischio sanitario ed ecologico a causa dell’inquinamento) tra i più estesi d’Italia: più di 70 km e ben 19 comuni interessati. Inquinata la terra, inquinata l’acqua, inquinata l’aria. Le bonifiche non sono veramente mai partite, discariche non a norma, terre agli argini del Fiume Sacco non coltivabili; non è mai è stato seriamente attuato un processo di riconversione per farne, per esempio, un territorio cosiddetto “agroenergetico”, cioè in cui si coltivano prodotti non destinati al consumo ma da utilizzare come biocarburanti e biomasse; la questione ha avuto, purtroppo, anche un tremendo impatto sanitario : i dati epidemiologici su malattie tumorali in qualsiasi fascia d’età e di genere sono in aumento da anni.

Oggi cosa si può fare per riparare agli errori del passato?

Un discorso così ampio per dimensioni e numeri va affrontato collettivamente: tutti i comuni ciociari interessati dal fenomeno e anche quelli non interessati devono fare fronte comune per sollecitare i lavori di bonifica e una riconsiderazione globale di questa provincia di Frosinone. Cosa vogliamo farne da qui a 50 anni?

Per me è necessario ripartire da queste due istanze: l’istituzione di un registro tumori, che in questa provincia non ha mai preso piede, e la chiusura a qualsiasi speculazione industriale avallata dalla politica, che ancora continua ad affacciarsi in questo territorio sotto la falsa etichetta di energia green. Come sta succedendo con la triste prospettiva sempre più concreta dell’apertura di ben tre biodigestori nell’arco di 40 km, tra Anagni, Frosinone e Patrica. Ancora vogliamo svendere un territorio in questo modo? Questa è la visione politica sulla mia terra? Sinceramente è avvilente.

Nel racconto che fate, la protagonista è la sarta del paese, sua nonna, dalla quale passano tutti gli abitanti, una donna che raccoglie storie dei cittadini. Lei come ha conosciuto tutte le vicende?

Siamo andati ad intervistare le persone che, in un modo o nell’altro, sono entrate in questa storia: operai che hanno lavorato nelle fabbriche poi al centro degli scandali, cittadini che hanno vissuto il cambiamento di questa terra da rurale ad industriale, persone che fanno associazionismo attivo da anni tutelando gli interessi di tutti noi. Il confronto con le persone ci ha permesso di guardare la storia della Valle del Sacco da un punto di vista umano ed emozionale, più che da quello scientifico. Le interviste ci hanno restituito anche un “modo di raccontare” la vicenda, fatto di dialetto, di metafore, di velocità di pensiero, caratteristiche che appartengo alla lingua popolare, che abbiamo poi cercato di riportare nella scrittura dello spettacolo. Importante è stato anche documentarsi bibliograficamente.

Poi, ovviamente, ci sono i racconti di mia nonna, che mi hanno fornito – è proprio il caso di dirlo – il filo per cucire insieme tutte queste storie e farle confluire in un racconto più grande, che lega tutte le storie narrate.

Parliamo dello spettacolo, quali sono gli elementi che avete evidenziato nella storia?

La vicenda umana è al centro. Mani di Sarta cerca quell’intimità propria di un racconto popolare fatto di volti e persone che possa restituire tutta la complessità del reale. Ci siamo incentrati sul ruolo dell’identità, domandandoci in cosa e come possiamo ancora riconoscerci in questa terra martoriata. Fondamentale è il ruolo della memoria, rappresentato dall’altro polo dello spettacolo, mia nonna Maria: se io oggi, guardando questa valle, non riesco più a ritrovare quello che lei mi ha raccontato di questo territorio, diventa difficile conservare una tradizione e una memoria di ciò che è stato.
Abbiamo cercato di riportare tutto il bagaglio di emozioni che in questa terra i cittadini stanno vivendo: orgoglio, commozione, riscatto e frustrazione, di fronte a una vicenda così grande. Con Mani di Sarta ci siamo concentrati sull’eredità che la vicenda ci lascia: è complesso raccontare una storia che si sta ancora svolgendo, che non ha fine e di cui ancora non abbiamo piena consapevolezza. Era importante far capire le conseguenze: sono storie personali che si ritrovano invischiate, consapevolmente o loro malgrado, in questa pagina di Storia italiana.

Quali sono gli accorgimenti scenici che avete adottato nell’allestimento dello spettacolo?

Ce lo siamo detti fin da subito: volevamo ricercare l’essenzialità. Il lavoro di scrittura è durato tre anni, abbiamo un materiale infinito di interviste e storie, visto che la vicenda coinvolge una porzione di territorio così grande. Abbiamo fatto “a botte” con le parole per arrivare all’essenza, alle parole veramente necessarie, non una di più, non una di meno, per ricreare l’intimità di un racconto che può esserci tra un nipote e una nonna, su un argomento così delicato su cui è facile cadere nella retorica. Anche scenograficamente è stato il nostro obiettivo: una sedia, una macchina da cucire, un manichino, luci minimali.

Il vostro sarà un debutto, cosa vi aspettate dal pubblico?

Speriamo che possano emozionarsi insieme a noi. Solo questo.

Grazie e in bocca al lupo!

Viva il lupo e grazie a te!

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Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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