Cloris Brosca interpreta Maria D’Avalos
Al Teatro Lo Spazio La rosa non ci ama Carlo Gesualdo vs Maria D’Avalos
Cloris Brosca e Gianni De Feo sono i protagonisti della pièce La rosa non ci ama Carlo Gesualdo vs Maria D’Avalos, di Roberto Russo, con la drammaturgia musicale e la regia di Gianni De Feo. Dal 22 al 25 febbraio sarà al Teatro Lo Spazio di Roma, piccolo gioiello dei teatri off romani.
Uno spettacolo che prende spunto da una vicenda vera, quella che vede protagonisti il principe Carlo Gesualdo da Venosa e sua moglie Maria D’Avalos che morì sotto i suoi colpi insieme all’amante Fabrizio Carafa, Duca D’Andria. Una storia di fine Cinquecento che ha animato le cronache dell’epoca essendo uno dei delitti passionali più famosi del napoletano. Di tutto ciò ne ho parlato con Cloris Brosca, attrice e protagonista di questo spettacolo, che ringrazio per essere qui, sulle pagine di CulturSocialArt.
Salve, lei sarà in scena al Teatro Lo Spazio in uno spettacolo che la vede protagonista insieme a Gianni De Feo. Com’è calcare il palco insieme a Gianni che in questo caso è il regista e il co-protagonista di La rosa non ci ama?
È stata per me una esperienza decisamente positiva: dopo i primi momenti in cui ci siamo reciprocamente “presi le misure” devo dire che c’è stato e c’è un vero piacere a lavorare insieme. Prima di tutto perché Gianni fa questo lavoro con cura e passione, non trascurando nulla, e questo per me è un atteggiamento importante che condivido in pieno, ma anche perché in scena mi trovo proprio a mio agio con lui, sento che creiamo insieme il rapporto tra i nostri personaggi e questa invece è una cosa che può succedere oppure no: è una sintonia che non si può inventare di proposito. Sono fortunata che stia succedendo così.
La storia prende spunto da una vicenda reale che ha visto protagonisti il Principe Carlo Gesualdo da Venosa e sua moglie Maria D’Avalos. Da conterranea dei protagonisti cosa pensa di questa vicenda antica, che porta con sé tanti misteri?
Devo dire che la cosa più interessante per me è stata rendermi conto, attraverso il lavoro di ricerca dell’autore, Roberto Russo, che, pur esistendo incontrovertibili documenti dell’epoca, la storia del tradimento e dell’omicidio sia passata nell’odierno immaginario collettivo, in maniera abbastanza diversa da come si svolse in realtà, anzi in modo decisamente fuorviante rispetto agli avvenimenti reali.
Come ha preparato il suo personaggio? Quali sono gli aspetti che ha evidenziato maggiormente?
Un tratto che ho pensato potesse far parte del mio personaggio è sicuramente un sentimento recriminatorio rispetto agli avvenimenti di cui è stata vittima. Poi man mano mi si sono presentati altri aspetti che, in questa messa in scena, hanno a che fare col taglio con cui l’autore ha scritto la storia: Roberto Russo ha descritto delle ombre che dimenticano e poi man mano ricordano l’inferno di cui fanno parte per ripeterlo e ripeterlo senza riuscire ad uscirne. Questo riaffiorare del ricordo è un elemento che mi sembra interessante nel personaggio.
In scena siete in due, ma attorno alla storia ruotano molti personaggi che ne raccontano le vicende, come vengono rappresentati?
Gli altri personaggi vengono rappresentati non tanto da noi due, Gianni De Feo e Cloris Brosca, ma piuttosto da Carlo Gesualdo e Maria d’Avalos: loro due sanno che per rivivere (è la loro condanna) la vicenda da cui vogliono liberarsi devono pirandellianamente richiamare le voci e le ombre dei personaggi secondari che contribuirono in maniera decisiva a determinare il loro destino. Non possono sottrarsi a questo esercizio doloroso che rinnova lo strazio fissato nelle loro vite
Qual è stata la parte più impegnativa da preparare?
Non riesco a ricordarlo. Di volta in volta, come in tutti i lavori, ci sono delle parti che risultano più opache e ricevono luce da altri momenti più chiari e così man mano in un gioco sempre dinamico all’interno dello spettacolo che non si ferma fino all’ultima replica.
Cosa ama o meno del suo personaggio e perché?
Amo la spavalderia, cioè, più che amarla, invidio a questo personaggio il coraggio di aver osato prendersi ciò che voleva andando contro le convenzioni e la morale comune. Anche se poi, sempre grazie alla ricerca puntuale di Roberto Russo su documenti e lettere dell’epoca, si evince che non fu proprio così: allora il tratto che più mi piace di Maria è forse il suo non arrendersi, il voler comunque andare oltre per cercare – e trovare – nella sua esistenza tormentata una soluzione di superamento e pace che invece pare impossibile da raggiungere.
Il linguaggio utilizzato è quello dello spagnolo del 500, il napoletano antico, il latino, un linguaggio forbito. Come avete gestito il dialogo tra voi e poi quello fondamentale con il pubblico?
Devo dire che questi linguaggi che si intrecciano nel testo non mi pare siano stati un problema, piuttosto un piacere che ci permette di passare da un registro all’altro offrendo al pubblico una varietà che mi sembra una ricchezza in più dello spettacolo.
Il personaggio di Carlo, oltre ad essere un nobile, è anche un musicista, quale posto occupa la musica?
La musica come in tutti gli spettacoli di Gianni De Feo occupa un posto importante. Gianni oltre a cantare due madrigali dal vivo, composti da Alessandro Panatteri su testi di Torquato Tasso, ha tessuto una trama sonora, scegliendo con gusto e sensibilità, da musiche di repertorio, interventi musicali che dialogano costantemente col testo; impreziosendo, con questa drammaturgia musicale, la fruizione del testo stesso.
Abbiamo detto che Giovanni De Feo è con lei in scena ma anche il regista della pièce. Quali sono i suggerimenti registici che le ha dato?
Francamente non ricordo dei suggerimenti specifici, quanto un rapporto continuo con lui di interazione e di ascolto che c’è stato dall’inizio del lavoro e che continua tutt’ora.
Cosa spera che arrivi al pubblico del vostro spettacolo?
È difficile da dirsi: mi auguro forse, come del resto per ogni spettacolo, che l’interazione tra i personaggi faccia scattare dei riconoscimenti, dei momenti in cui il pubblico, in maniera più o meno consapevole, possa sentirsi toccato da quello che vede, da quello che ascolta e possa pensare: sì questa cosa la conosco, la riconosco, è mia da qualche parte: magari qualcosa di nascosto, di seppellito, di dimenticato.
Mi vengono in mente i versi di una poesia di Emily Dickinson che dicono: ”Il più sublime bersaglio del tempo è un’anima “dimenticata”!
Grazie per essere stata con noi e in bocca al lupo!
Grazie a voi!
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