“Credici ancora prof” al teatro Caesar di San Vito Romano
l’impegno educativo alla legalità che i “maestri di strada” portano nella scuola
Grande successo di pubblico alla rappresentazione di “Credici ancora prof” al teatro Caesar di San Vito Romano. Scelta indovinata quella di Ulisse Marco Patrignani, direttore artistico del teatro, che ha voluto portare sulla scena una commedia piena d ironia ma anche densa di contenuti dove la bravura degli attori ha fatto il resto, decretando il successo della serata, che ha visto poi nel foyer del teatro, come sempre, le favolose creazioni “dolciarie” di Roberta Pagano, molto apprezzate dal “palato” del pubblico.
La commedia racconta la storia del maestro Marcello che dal nord ritorna alla sua scuola a Napoli, dove lui stesso aveva studiato da ragazzo.
Con richiami a “Speriamo che me la cavo” (il maestro Marcello come Marcello dall’Orta), a “L’attimo fuggente” (i ragazzi in piedi sui banchi), ma anche con l’impegno educativo alla legalità che i “maestri di strada” portano nella scuola di vita di tanti ragazzi attraversati dalla “precarietà” in scuole che si chiamano San Giovanni a Teduccio, Ponticelli, Barra dove uomini e donne tentano giorno dopo giorno di ricucire le ferite dei tanti ragazzi e ragazze: ferite familiari, sociali, economiche. Il maestro Marcello cerca di ricucire la ferita familiare come quella che colpisce uno dei ragazzi, figlio di un boss della camorra e marito della donna, che forse il maestro Marcello ha amato in gioventù. Un ragazzo che il padre vuole destinare allo spaccio togliendolo dalla scuola.
E al maestro Marcello ben si addice una frase del film “L’attimo fuggente”: “Succhiare il midollo della vita non significa strozzarsi con l’osso: c’è un tempo per il coraggio e un tempo per la cautela. E il vero uomo sa come distinguerli” e Marcello ha saputo scegliere da che parte stare, quello di dare un futuro a questi ragazzi anche a rischio della propria vita, denunciando il camorrista.
Il testo scritto da Antonio Romano e messo in scena da Luigi Pisani, si avvale di un nutrito cast di attori, che al meglio esprimono quell’anima napoletana fatta di omertà, paura ma anche capacità di riscatto. Un testo che ha certamente divertito il pubblico con risate e applausi a scena aperta, ma che ha saputo anche offrire spunti di riflessione sul ruolo che la scuola ha, soprattutto in contesti difficili e spesso abbandonati dalla Stato.
Uno Stato che oltre alla scuola dovrebbe essere maggiormente presente nel sostenere quelle attività culturali, come il teatro, che specialmente nei territori della provincia sono trincee, spesso veri e propri fortini di legalità, dove i nemici si chiamano, sale da gioco, dipendenze da droghe e alcool, in una parola “anomia sociale”. Il teatro, con le sue storie, agisce come elemento positivo per ricreare quei legami tra individuo e collettività nel momento che parla di sentimenti, relazioni. E allora ben vengano uomini come Ulisse Marco Patrignani che con costanza e determinazione porta avanti da diversi anni, con il sostegno della Regione Lazio e dal Consiglio Regionale del Lazio, un luogo dove i cittadini si incontrano, vivono le storie rappresentate sul palcoscenico e intrecciano relazioni, che sono la base di una comunità.
Certo oggi il teatro non gode di buona salute soprattutto presso il pubblico giovanile, ed è allora importante un maggior interessamento della scuola verso il teatro sia come attività didattica che come partecipazione agli spettacoli, ma anche che la Regione impegni maggiori risorse finanziarie per sostenere attività che spesso si reggono sulla buona volontà di tempo e anche economica dei singoli. Altro attore importante è il Comune che però stretto dai vincoli di Bilancio, anche quando crede in una attività culturale, si trova spesso a corto di fondi.
E allora teniamo sempre a mente questa bella definizione di Emma Dante: “Non si può vivere senza, l’umanità non può vivere senza il Teatro. Forse un giorno si potrà vivere senza il cinema, ma senza il Teatro è impossibile. Almeno finché esiste l’uomo, finché esiste lo specchio, il riflesso di noi stessi che respira, vivo come noi. L’uomo ha bisogno dell’uomo, di essere riconosciuto, di vedersi di fronte e farsi delle domande, per cui non penso che il Teatro morirà mai”.
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