Emancip(h)ate, analisi degli stereotipi femminili
È possibile vedere in streaming lo spettacolo Emancip(h)ate una descrizione reale degli stereotipi femminili
È stato pubblicato in streaming il nuovo spettacolo di Teatro al Femminile dal titolo EMANCIP(H)ATE. Uno spettacolo che parla di donne, alle donne e agli uomini e pone l’accento su alcuni stereotipi che appaiono “normali” e “accettabili” da entrambi i sessi. In scena sei donne: – Sabrina Biagioli, Giulia Capuzzimato, Jessica Di Bernardi, Sara Morassut, Lorenza Sacchetto e Virginia Risso. Quest’ultima ha scritto il testo e curato anche la regia, mentre le coreografie sono di Giulia Capuzzimato.
Un testo teatrale che sarebbe dovuto andare in scena sul palco di qualche teatro, ma in questo periodo pandemico, un po’ strano, lo spettacolo dal vivo si adatta ad una nuova forma di rappresentazione che cerca di riempire il vuoto dei teatri chiusi, almeno per ora. Quest’anno, dicevamo, l’emergenza Covid-19 ha cambiato le modalità del teatro, anche se oggi i teatri si apprestano alla riapertura, per fortuna aggiungo. Anche se in streaming, Emancip(h)ate fa un certo effetto, spinge alla riflessione, ti lascia un senso di incertezza e voglia di approfondimento. Ne abbiamo parlato con l’autrice e regista Virginia Risso, che insieme al cast, lo aveva, però, girato e preparato per il web a cui ora è destinato e lasciato libero per la visione. Ringraziandola per aver risposto alle domande, comincio subito a porle la prima…
Quali sono state le dinamiche per la visione in streaming? Quali le differenze tra la sala e il web che hanno coinvolto maggiormente un cambiamento nella sua visione di regista?
Non ritengo lo streaming una soluzione alla chiusura dei Teatri. Il Teatro è carne, ossa, sudore, emozioni che si possono provare soltanto guardando una persona negli occhi e non attraverso uno schermo. Nel caso di EMANCIP(H)ATE però, abbiamo voluto fare un’eccezione adottando questo mezzo virtuale come alternativa, perché siamo fermamente convinti dell’importanza informativa e formativa di questo spettacolo, soprattutto in un periodo in cui le donne sono le vittime principali della crisi economica e sociale. In riferimento alla visione registica, ho cercato – insieme all’assistente alla regia Matteo Maria Dragoni – di impostare il lavoro nell’ottica di una futura messa in scena, quindi con un impianto prevalentemente teatrale. Ringrazio Marco Aquilanti – che si è occupato sia delle riprese sia del montaggio – perché ha adottato alcuni escamotage in post produzione, aiutando a mantenere il ritmo della pièce più sostenuto.
Parlando dello spettacolo stesso, in scena, regia, scrittura e coreografia, un team di donne, qual è stato il suo approccio nell’affrontare tematiche che riguardano stereotipi femminili con il suo cast e soprattutto come nasce il progetto Emancip(h)ate?
Dopo la prima lettura, abbiamo organizzato un incontro insieme al cast tecnico ed artistico, per scambiarci opinioni riguardo ai temi trattati. Sono convinta che il confronto, la condivisione ed il rispetto siano alla base di un gruppo di lavoro. Ogni membro deve sentirsi a suo agio, essere parte integrante del progetto, libero di poter esprimere e proporre le proprie idee.
EMANCIP(H)ATE è un grido di rabbia e protesta verso tutte le ingiustizie che il genere femminile ancora subisce, ma di cui poco si parla. C’è una montagna di prevaricazioni, soprusi e discriminazioni, alimentata da una struttura burocratica, sanitaria, istituzionale antiquata ed inefficiente, che minaccia il progresso ed impedisce il raggiungimento di un mondo egualitario, dove non esistono più donne e uomini, ma persone con pari diritti ed opportunità. Un mondo in cui potremmo definirci davvero emancipate.
Le donne sono un tema importante di questi ultimi anni, “se ne parla sempre ma poco, realmente, si riesce a fare”, direbbe mia nonna. La sensibilizzazione e la cultura sono importanti. Nello spettacolo si citano personaggi che nel loro linguaggio e modo di porsi con il sesso femminile, lo denigrano spesso, eppure in tv, nei talk show sono sempre invitati, fanno audience, come combattere questo dualismo?
Concordo con sua nonna. Se ne parla male. I mass media danno priorità all’audience, distorcendo e/o omettendo la realtà. Questo è gravissimo. I mezzi di informazione dovrebbero riportare i fatti, permettere all’individuo di costruirsi una personale opinione, senza influenze esterne. Invece siamo a contatto quotidianamente con programmi televisivi, canzoni, spot pubblicitari, dichiarazioni di noti e meno noti, che trasmettono al nostro inconscio un messaggio sbagliato, ovvero che è normale. È normale considerare chi è diverso da noi – in base a sesso, razza, religione, orientamento sessuale – inferiore, è normale prevaricare su chi quindi non è alla nostra altezza. Ecco, il “normale” non esiste, non deve esistere. Deve esistere il rispetto.
Si è documentata molto nel preparare questo spettacolo, nello stesso ci sono fatti e situazioni reali. Cosa ha colpito maggiormente la sua attenzione e cosa pensa di dover combattere, principalmente, come stereotipo femminile?
EMANCIP(H)ATE è uno spettacolo, purtroppo, in costante sviluppo, perché è una lente su fatti di cronaca e discriminazioni di genere radicate oggi nella società. Credo che, in qualsiasi ambito, tutti gli stereotipi debbano essere estirpati dalla nostra cultura e mentalità.
Ammetto che non è stato semplice studiare, scrivere e rappresentare queste storie, specialmente attraverso il linguaggio della satira. Colgo quindi l’occasione per ringraziare le mie colleghe e compagne di viaggio – Sabrina Biagioli, Giulia Capuzzimato, Jessica Di Bernardi, Sara Morassut, Lorenza Sacchetto – per aver avuto il coraggio di affrontare questo testo e tutto ciò che contiene e rappresenta, senza mai perdere di vista il messaggio.
Quanto è stato utile l’apporto di esperienze dirette del suo team?
Fondamentale. Ogni donna viene discriminata, a volte senza rendersene conto, proprio perché determinati luoghi comuni, modi di dire ed agire, sono radicati nella società in cui viviamo. Questo spettacolo ha permesso indistintamente a donne e uomini di aprire gli occhi su ciò che non siamo abituati a vedere.
Nello spettacolo vi è una simulazione di situazioni a cui le donne sono spesso soggette, lei ha evitato di renderle “ridicole” concentrandosi su varie tematiche, come le ha scelte?
Fin’ora ho voluto soffermarmi su tre macro temi – gender gap, legge 194 e processi per stupro – perché credo che le istituzioni non debbano perdere di vista punti fondamentali nelle loro agende per la parità di genere, ma in realtà ce ne sarebbero molti altri da affrontare. Specialmente in questo periodo, in cui le donne sono le vittime principali della crisi economica e sociale.
Parte integrante dello stesso è anche la musica. I brani sono lo specchio di situazioni che raccontate sul palco. Nella sua ricerca ha avuto difficoltà a scegliere o a trovare testi attinenti perché pochi o non conformi?
In realtà avevo chiara fin da subito la scelta musicale. Riflettendoci però penso sia difficile trovare canzoni di denuncia, soprattutto degli ultimi anni. Il Festival della canzone italiana apre le porte a soggetti come Junior Cally che canta “si chiama Gioia, ma beve e poi ingoia, balla mezza nuda e dopo te la da, si chiama gioia perché fa la troia, sì per la gioia di mamma e papà”.
Da apprezzare sono anche il trucco e i costumi. Da ciò mi viene da porle forse la domanda più incisiva; quale messaggio volete arrivi al pubblico femminile e a quello maschile?
Il trucco – a cura di Sara Reali – e la costumeria di Teatro al Femminile e Bottega dei Comici, hanno contribuito a creare l’ambientazione dell’intera messa in scena: il tendone di un circo, in cui sei clown interpretano diversi ruoli a seconda dell’argomento che si va a rappresentare. La scelta del tema circense vuole evidenziare come dinamiche e fatti reali risultino coerenti all’interno di un contesto esasperato e grottesco. È uno spettacolo che parla alle donne e agli uomini. L’ironia che caratterizza la rappresentazione, vuole coinvolgere il pubblico, lasciandogli un amaro in bocca difficile da levare via.