Ieri e oggi al Teatro della Cometa
parlare del gap generazionale senza colpevolizzare nessuno
Al Teatro della Cometa, in scena “Neanche il tempo di piacersi” scritto da Marco Falaguasta, Tiziana Foschi, Alessandro Mancini, per la regia di Tiziana Foschi.
Sul palcoscenico vestito di drappi bianchi su cui scorrono ogni tanto vecchi cartelloni pubblicitari e un’ombra di treno, che sembra voler dire che il tempo passa veloce, ma anche che, come fa il treno, può portarti in posti meravigliosi, Marco Falaguasta in un bel monologo, ci parla divertendoci e suggerendoci spunti di riflessione. Un’ora e mezza circa di risate e di considerazioni sulle differenze generazionali. Le differenze tra il com’era e com’è essere oggi, ragazzi, figli, giovani uomini e donne, passando per fatti di vita vissuta, reale e concreta.
L’incipit iniziale viene dato da una telefonata: la figlia di Marco lo chiama per andarla a prendere ad una festa, alle 3.00! Parte da qui tutto un confronto tra generazioni: ma noi, intesi come 50enni, stavamo fuori fino alle 3? E ci venivano a prendere? O dovevamo farcela a piedi? E così via con i paragoni: le maschere di carnevale, riciclate, rimediate e improbabili, oggi solo comprate. Il corteggiamento, fatto di conoscenze, appostamenti, sguardi, e che durava anche dei mesi. Oggi,con internet, sono due chattate e ci si incontra! E poi l’amicizia, dove per andare a dormire a casa di qualcuno occorreva chiedere il permesso e che i genitori si sentissero prima per telefono. Ora, ti ritrovi casa piena di Fede, Lili, Cicci e neanche lo sapevi! E gli interessi? E i valori?
Sembrerebbe un altro mondo, e allora ci si interroga sul “noi come eravamo” (sempre intesi come 50enni o giù di lì) e cosa vogliamo lasciare a questi ragazzi, che ormai parlano una lingua diversa. E forse è proprio questa la difficoltà: riuscire a capire questa nuova generazione, noi, che abbiamo avuto la fortuna di essere favoriti dalla sorte, di arrivare dopo il boom economico e che abbiamo avuto tanto, senza dover combattere molto perché c’era chi già lo aveva fatto. E anche a noi ci veniva detto che “si stava meglio quando si stava peggio”, che ai tempi andati era tutto diverso. Può essere allora che questa nuova generazione, pur chattando, pur parlandosi con messaggi e hashtag abbia però del buono? Sappia comunque riconoscere e mettere in pratica i valori in cui si crede da sempre, magari in maniera diversa, più tecnologica, più astratta, ma non per questo meno valida? E allora forse sta a noi, vecchia generazione, capire e accettare il cambiamento.
Bello spettacolo da andare a vedere. Complimenti ai tre autori che hanno saputo parlare del gap generazionale senza colpevolizzare nessuno. Semplicemente raccontando la realtà oggettiva, lasciando spazio al dubbio e all’accoglienza del diverso essere, del diverso fare. Complimenti a Marco Falaguasta che tiene per un’ora e mezzo la scena in maniera molto simpatica, garbata e divertente.
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