Il viaggio nel dolore di Irina

Mi sa che fuori è primavera

Io sono viva, il dolore da solo non uccide

C’era tanta umidità ieri sera a Villa Carpegna, è vero, ma quando Gaia Saitta mi ha presa per mano e mi ha portata sulla scena, (per puro caso… ogni sera vengono scelte sei persone dal pubblico per interagire con la loro presenza alla storia narrata), il calore, dentro, stava già facendo il suo percorso e dopo qualche minuto, tirato su il bavero della giacca e messo bene il foulard intorno al collo, ero pronta per dimenticare ogni cosa che riguardasse la mia vita ed immergermi nel mare di emozioni che la storia di Irina Lucidi sa suscitare in tutte, in tutti. Non dovevo fare altro che stare ferma, ascoltare il respiro e le parole del monologo e la voce calda dell’attrice, un tutt’uno che sapeva di mare, di profondità marine, di stupore, non tanto per la tragedia: Irina è una donna alla quale, probabilmente per punirla del suo desiderio di crescita e di libertà, il marito sottrae le loro figlie, gemelle, di sei anni e poi si suicida.

Le bambine sono letteralmente sparite nel nulla, le ricerche poco accurate non daranno alcun esito.

Ma non è tanto la cronaca di un fatto così efferato e doloroso a riempire la scena, quanto il viaggio nel dolore di Irina, a volte perfino ironizzato dalla presenza della figura dell’amica, o di un nuovo amore, ma per l’esistenza che da un male immenso ha saputo rifiorire in lei. Mi sa che fuori è primavera, Irina sembra dirci: andiamo a vedere, seguitemi.

La storia è quanto mai e direi, purtroppo, vera, il monologo è tratto da un libro-racconto della giornalista e scrittrice Concita De Gregorio, l’adattamento è della stessa, bravissima Gaia Saitta, e non c’è nulla di non detto, di taciuto per pudore o peggio, di enfatizzato. Il monologo si srotola con fermezza ed eleganza: i post-it che appaiono sullo schermo con poche parole che si lasciano sciogliere nell’acqua, le mani dell’attrice, la posizione della sedia, le scarpe infangate dell’uomo impazzito che ha organizzato questo castigo infinito, tutto si muove ed è mosso da una regia che definirei sublime.

Giorgio Barberio Corsetti del resto ha alle spalle una vita di spettacoli geniali, ma comunque complimenti, non è mai prevedibile la creatività, il lavoro dell’artista si misura in ogni lavoro. Poteva essere una rappresentazione di dolore, e invece, il movimento stesso nella scena di nuda terra… -e la terra, come sostiene Irina, non è tutta uguale-, ed i sorrisi, le speranze, le frasi raccontate alle donne che l’hanno preceduta, a quelle che compongono le sue radici, ad una in particolare alla quale era stata tolta una figlia e che sarà la nonna di Irina…una spirale che come un geno gramma ha filato la storia familiare.

Saranno le nostre radici a darci forza? Sarà la consapevolezza che deriva da una violenza subdola, sotterranea, quella psicologica, alla quale Irina era stata costretta a poco, a poco, da un marito “buono” e perverso, “chissà che ombra nascondeva”, ce lo dice Irina stessa, sarà tutto questo ma anche il desiderio di essere vivi con i propri fardelli, per quanto pesanti.

Ed è questo il messaggio che Irina, attraverso Gaia Saitta ci invita a cogliere, “Io sono viva, il dolore da solo non uccide. C’è bisogno di essere felici per tenere testa al dolore… c’è bisogno di avere paura per avere coraggio”.

Nulla, neppure un capello o un fiato sono lasciati al caso

Il teatro incontra il mondo, avevo letto sulla brochure prima di sedermi, è giusto, il teatro siamo noi, e il mondo è davvero così piccolo per distanze e per età che ogni nostra storia può solo far parte di un tutto che all’apparenza sembra infinito, ma che è composto di cellule… tutto è composto di cellule, anche il dolore, ma soprattutto la vita oltre questo.

E questa primavera, dolce, fatta di risvegli, prima di essere fuori, è già dentro di noi.

 

Mi sa che fuori è primavera

Tratto dall’omonimo libro di

Concita De Gregorio

Un progetto di Giorgio Barberio Corsetti

e Gaia Saitta

adattamento teatrale di Gaia Saitta

con

Gaia Saitta

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Valeria Giorgi

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