La locandiera nella visione di Tindaro Granata
un ottimo prodotto di intrattenimento
Quella che è probabilmente la commedia più popolare partorita dal genio di Carlo Goldoni, è riproposta al Teatro Vascello di Roma. Si tratta naturalmente de “La locandiera”, che viene portata in scena dalla sapiente regia di Andrea Chiodi, il quale appare nella sua forma più smagliante. Questo spettacolo è infatti la prova effettiva che il teatro goldoniano parla ancora a noi, alla nostra sensibilità di uomini moderni dell’era post-illuministica, apparentemente assuefatti da un coacervo di opere teatrali e non (si legga, anche serie TV), che potrebbero rischiare di appiattire la cultura drammatica su di un livello-base. L’altra via, ed è appunto quella seguita da Andrea Chiodi, è quella di non concedere al grande pubblico facili divertimenti, ma quella di scavare quasi archeologicamente nel testo di Goldoni per educare, far commuovere e riflettere.
Beninteso, lo spettacolo in scena al Teatro Vascello non è affatto noioso (ciò sarebbe peraltro in contraddizione con l’ésprit del testo); al contrario è un prodotto di intrattenimento di finissima fattura, un connubio perfetto di divertimento e seria riflessione. L’impronta data all’opera è netta e decisa, e veicola una morale che è esplicitata nel celeberrimo e breve monologo finale di Mirandolina (la protagonista: la locandiera): «…e lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera». Ma l’intuizione più brillante di Andrea Chiodi è indubbiamente quella di fare della locandiera una sorta di dongiovanni al femminile. E questa intuizione non è semplicemente accennata, ma esplicitata nel modo diretta che si possa immaginare: Mirandolina, di tanto in tanto, canta le famose arie del “Don Giovanni” mozartiano. In questo senso, da un lato si aggiunge un elemento originale alla pièce teatrale e, dall’altro, c’è una velata vena malinconica perché – pare – facendo della protagonista un dongiovanni femminile, si comprende come ella sia in realtà una figura non tout cout divertente, ma aggiunge spessore psicologico alla stessa, accentuando dunque il distacco della poetica goldoniana dalla Commedia dell’arte. In questo rovesciamento di ruoli rispetto al Don Giovanni (Mirandolina, una donna, è concettualmente Don Giovanni, un uomo), vanno forse lette le scelte di far impersonare a donne ruoli maschili (Fabrizio è una donna).
Lo spettacolo procede in maniera estremamente fluida, senza esitazione alcuna, frutto di un meccanismo, per così dire, ben oleato, tenuto saldo dalla regia di Andrea Chiodi. Gli attori sono tutti, nessuno escluso, in stato di grazia e in sintonia perfetta tra di loro. Creano così un equilibrio tra comico e drammatico, equilibrio mai impacciato e che mai rischia di rompersi. Felice dunque l’incontro della compagnia Proxima Res di Tindaro Granata con il summenzionato regista Andrea Chiodi. Tindaro Granata interpreta magistralmente il Marchese di Forlipopoli, in un ruolo che pare essergli cucito addosso, così come sono cuciti con altrettanta cura i costumi da Margherita Baldoni, di estrema eleganza e raffinatezza. Mirandolina è interpretata da Mariangela Granelli, la quale riesce a offrire l’idea complessiva di un personaggio approfittatore, furbo, scaltro, ma non per questo superficiale; al contrario, suggerisce, soprattutto nel finale, un certo spessore psicologico in Mirandolina. Gli altri attori sono anche loro superlativi: Caterina Carpio, Caterina Filigrano, Fabio Marchisio.
In conclusione, si tratta di una operazione importante, di uno spettacolo ben diretto, ben interpretato, di un più che ottimo prodotto di intrattenimento ma, più in generale, fornito di notevolissimo valore artistico.
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