Margherita Caravello ci parla della conferenza-spettacolo su Alda Merini
Alda Merini non fu mai una donna addomesticabile. Di questo ed altro racconta Margherita Caravello nel suo spettacolo
Indagine su Alda Merini: non fu mai una donna addomesticabile, scritto da Margherita Caravello sarà in scena al Palazzo Rospigliosi a Zagarolo venerdì 27 agosto. Il progetto a cura di Antonio S. Nobili, partendo dal testo della Caravello vuole parlare di quella che ormai viene considerata una delle maggiori poetesse del Novecento italiano, la Merini. In scena, oltre alla Caravello anche la nota attrice Giorgia Trasselli nei panni dell’artista.
“Più bella della poesia è stata la mia vita” diceva Alda Merini. Eppure la sua vita è stata segnata sì da tanto amore, quanto da tanto dolore e da esperienze drammatiche, come quella che la vide rinchiusa in manicomio per dieci anni. Margherita Caravello ha indagato sulla figura della donna e dell’artista.
Abbiamo posto alcune domande all’autrice del testo che ha dedicato del tempo alla ricerca di informazioni su Alda Merini, Margherita Caravello.
Benvenuta Margherita sulle pagine di CulturSocialArt. Lei ha scritto il libro Indagine su Alda Merini: non fu mai una donna addomesticabile, durante la pandemia. Che cosa l’ha incuriosita, attratta della poetessa italiana?
Grazie a voi per questo spazio! Di Alda Merini soprattutto ho apprezzato la tenacia: una determinazione a perseguire la sua vocazione che ha dell’incredibile, soprattutto se contestualizzata in un tempo in cui la donna era quasi completamente esclusa dalla società. Era impensabile che anteponesse la sua formazione culturale e la sua professione al metter su famiglia, che proseguisse gli studi e facesse carriera. Doveva sposarsi, badare ai figli, tener pulita la casa, cucinare, essere obbediente prima alla volontà del padre poi a quella del marito, essere sobria, morigerata, timorata di Dio. E invece lei ha avuto fame di cultura, ha studiato anche da autodidatta e perfino sotto le bombe, ha frequentato i salotti intellettuali di Milano, non solo ha scritto e pubblicato ma ha scritto di sé, dei suoi tormenti e delle sue più inconfessabili contraddizioni, con una franchezza che ancora oggi turba ed incanta. Si è esposta molto, fin nei salotti televisivi dove si presentava truccatissima, coperta di bigiotteria vistosa, appariscente e intelligente, due caratteristiche che la società ancora stenta a riconoscere, come se dovessero necessariamente escludersi l’una con l’altra. Non si è mai arresa, non si è mai risparmiata, non si è fatta schiacciare dalle maldicenze per i suoi tanti amanti, né si è fatta soffocare dal peso del suo vissuto tremendo: dieci anni di manicomio e quarantasei elettroshock avrebbero steso chiunque, lei invece no. E quando è uscita, finalmente, da quell’inferno, ha ripreso a scrivere come un fiume in piena, semplificando anche il linguaggio: non per un impoverimento della qualità del suo esprimersi come qualche benpensante ha insinuato, ma col preciso scopo di arrivare a tutti, di andare incontro al suo pubblico, fiera e intera. Credo che soprattutto per il femminile, ma non solo, sia un grande esempio di libertà di cui far tesoro.
Come ha svolto le ricerche sulla poetessa essendo tutti rinchiusi in isolamento?
Con i teatri chiusi ho avuto un sacco di tempo! Ironia a parte, questo libro nasce da quattro anni di indagine sulla storia e sull’opera della poetessa, studi che sono iniziati per la messa in scena dello spettacolo “Dio arriverà all’alba – omaggio ad Alda Merini” di Antonio Nobili, che ha debuttato nel 2018 ed è attualmente al quarto anno di tournée nazionale. Ho voluto proseguire le ricerche, con il supporto di Nobili, proprio perché il pubblico che ha assistito allo spettacolo a teatro e tutti gli utenti che ci seguono sui nostri canali social ci hanno spronato a farlo: durante il lockdown il seguito che avevamo si è moltiplicato, come se l’isolamento imposto avesse fatto saltare oltre alle abitudini quotidiane anche tante scuse, tante procrastinazioni rispetto alle più autentiche ambizioni di ciascuno. Ed ecco che il nostro raccontare la poetessa è diventato faro di nuove consapevolezze, esempio di liberazione da malcelate frustrazioni, desiderio di riaffermarsi per quel che si è ben oltre l’apparire adeguati alle aspettative altrui. Insomma avevo tantissimo materiale e motivazione e in più ho potuto contare sulla disponibilità di chi l’ha vissuta da vicino, come la figlia Barbara Carniti e la nipote Laura Bertassello che hanno scritto la prefazione del libro; il fotografo, autista, e confidente Giuliano Grittini che ha curato la copertina; l’editore di PulcinoElefante e caro amico Alberto Casiraghi, Cosimo Damiano Damato che mi ha generosamente mostrato il suo docu-film “Alda Merini – una donna sul palcoscenico” e perfino il farmacista della Ripa di Porta Ticinese che ancora conserva una foto della poetessa dietro al bancone insieme alle poesie che gli dettava al telefono tutte le sere, e che ancora piange e ride insieme al suo ricordo.
Alla luce di tutto ciò che ha ritrovato, ha letto, chi era realmente Alda Merini?
Un’unicità preziosa e generosa, alla quale qualunque etichetta non renderebbe giustizia. Lei per prima era insofferente quando si sentiva definire la poetessa dell’amore o del dolore o della gioia. Ha detto di sé: “Sono una piccola ape furibonda” ma anche una gazza ladra, un poeta, un operaio del pensiero, un uomo di carattere e ancora: un’anima indocile, una meretrice, una sanguinaria, una santa ed un’ipocrita. Perfino una sedia. E aggiungeva: “Non sono e non sarà mai una donna addomesticabile”. Ho scelto questo titolo per il libro proprio perché mi piaceva l’idea di raccontarla per come, credo, vedesse sé stessa, ed è stata talmente tante cose insieme che la definizione più puntuale è forse proprio puntare l’attenzione su quel che non è stata mai.
Siamo in un periodo di lotta, ancora oggi, per la parità femminile, come e dove si colloca la figura, ma io direi anche gli scritti, della Merini?
A differenza di Sibilla Aleramo, ad Alda Merini le femministe stavano un po’ sulle balle, a dirla tutta. Era figlia del suo tempo, devota al padre, al marito, al suo ruolo di madre. Ma non le è mai bastato. Una delle caratteristiche che più amo di lei è proprio questo desiderio di onnipotenza: come una bambina Alda voleva tutto, essere ad un tempo materna come sua madre, onirica e classica come suo padre, celebrata come i suoi maestri (disse a Quasimodo, a soli 15 anni: tu sei bravo ma io sarò più brava di te!) e anche perdersi nei riflessi del vino con i suoi amici al bar, star sveglia tutta la notte a chiacchierare al telefono senza curarsi delle bollette, amare anche un prete, andare a ballare nelle discoteche. Tutto questo non esclude che, lottando per affermare sé stessa in un quotidiano che le stava stretto, non abbia spianato col suo esempio il sentiero per una nuova consapevolezza, non solo della donna ma di chiunque faccia fatica ad affermare sé stesso, finendo poi a non riconoscersi nello specchio.
Lei dovrebbe conoscere bene la donna e la poetessa. C’è qualcosa che desidererebbe dell’artista Merini e perché? E della donna Alda?
Quel briciolo di follia che augurava a tutti, che è poi responsabile di ogni apertura su nuove strade, in barba alla paura dell’ignoto. Non posso invidiarle la vita, è stata una corsa ad ostacoli senza tregua, ma lo spirito che ha sfoderato per superare ogni difficoltà e rimanere aggrappata alla dimensione della sua meraviglia, la fiducia incrollabile nell’essere umani, il coraggio di farsi carico delle conseguenze di tutte le sue scelte, questo sì, vorrei che mi appartenesse.
Invece, c’è qualcosa che le avrebbe voluto dare per sostenerla, aiutarla, per renderle la vita più felice?
Mi sarebbe piaciuto offrirle un caffè e qualche sigaretta, e ascoltarla parlare a ruota libera: della vita, della musica pop, delle calze di nylon, della nebbia che a Milano non c’è più, di quella volta che ha visto il mare “di striscio” e si è sentita a casa, di tutte le volte che è annegata in qualche paura. L’avrei solo guardata e ascoltata. Non le avrei chiesto niente. Magari avrebbe finito col raccontarmi una delle sue barzellette in milanese, o forse si sarebbe messa al pianoforte e avremmo intonato insieme una di quelle canzoni strappacuore fine anni ’60. Siamo infondo entrambe inguaribilmente romantiche.
Dal libro allo spettacolo, com’è avvenuto questo passaggio?
Compresa la portata del suo esempio, è stato naturale darle voce ripercorrendo i passi che l’hanno portata ad esser conosciuta ed amata dal grande pubblico. Scriverne, parlarne a cuore aperto, e poi lasciare che mi si leggesse anche in viso l’entusiasmo, che è contagioso. Ed infine, dare al pubblico un appuntamento dal vivo, creare sempre nuove occasioni di incontro, restituire alla poetessa nuova voce attraverso l’interpretazione di una straordinaria attrice.
Con lei, a parlare di Alda Merini, l’attrice Giorgia Trasselli, com’è nato il vostro sodalizio artistico? Che tipo di Alda Merini impersona la Trasselli?
Giorgia Trasselli e Antonio Nobili si conoscono da tanti anni, hanno lavorato assieme, si stimano molto a vicenda. Quando lui mi ha proposto di coinvolgerla, non ci credevo. E invece, quando l’ho chiamata e le ho presentato il progetto ha accettato subito, riempiendomi di gioia. Fin dal primo incontro si è creata una sintonia meravigliosa: e mentre io mi sentivo la più minuscola delle sue fan, lei arrivava in anticipo al bar per tenermi il posto migliore, mi chiedeva di darle del tu, si entusiasmava a leggere il testo, rideva di gusto per ore con tutta la produzione, chiacchierava fitto e faceva battute memorabili. Questo era esattamente lo spirito che volevo restituire nel racconto della poetessa ed è stato naturale lavorarci con Giorgia che è un vulcano di spontaneità e di ironia oltre ad essere, naturalmente, una bravissima attrice.
Parliamo sempre più spesso di donne e sempre più spesso di problematiche legate alla loro figura, alla loro vita. La comunità internazionale sembra aver più a cuore il fattore economico di quello sociale. Penso alle donne afgane di questi giorni, alla loro disperazione e alla disperazione di tantissime altre donne, anche quelle italiane. Personaggi come la Merini, come possono interagire in situazioni del genere?
Alda Merini è stata una grande osservatrice del suo tempo, e anche sulle più bieche contraddizioni della società non le mandava certo a dire. E poi, in manicomio aveva imparato a soffrire, a riconoscere e farsi carico anche del dolore altrui, ad essere solidale con ogni vittima, a puntare il dito franco contro ogni ingiustizia: ha scritto della guerra, del fascismo, del suo internamento e delle ragazze che ha schiaffeggiato quando non reggevano la situazione e si tagliavano le vene, ma anche del rapimento del piccolo Tommy, dell’attentato alle torri gemelle, della questione dei migranti da salvare dal mare, dei vizi e delle virtù della chiesa, ha dedicato versi altissimi a Pippa Bacca, la performer stuprata e uccisa durante il suo viaggio concettuale per mostrare che invece il mondo fosse un posto sicuro, accogliente, solidale, comprensivo, in pace. Anche sulla situazione attuale, di certo, non avrebbe taciuto. E il merito di chi alza la voce per primo è poi quello di dare a chiunque altro l’opportunità di vedere che esiste un’alternativa e coltivare per sé il proprio pensiero critico.
Qual è il pensiero della Merini che potrebbe accompagnare questo momento storico?
A mio avviso, questo:
“Non mettetemi accanto a chi si lamenta senza mai alzare lo sguardo, a chi non sa dire grazie, a chi non sa più accorgersi di un tramonto. Chiudo gli occhi. Mi scosto di un passo. Sono altro, sono altrove.”
Grazie per essere stata con noi e in bocca al lupo per il debutto!
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