Quei due nel mio orecchio il libro di Francesca Nunzi

Francesca Nunzi

tutti abbiamo avuto paura

Il secondo appuntamento al Teatro Caesar di San Vito Romano per la serie “Un libro a teatro” vede la presentazione del racconto di Francesca NunziQuei due nel mio orecchio”, edito da Ventura Edizioni di Senigallia.

Il libro di Francesca nasce da una perdita, quella del padre. Poi nel corso della storia ci racconta che il papà e la mamma non dormivano insieme nella stessa stanza:”Io non la capivo tanto questa cosa qui ed ero un po’ triste perché i genitori degli altri bambini dormivano vicini”. Francesca dorme con la mamma, ne sente il ritmo del respiro e ripensa al suo libro verde e  a quelle “due ranocchie alte con le gambe lunghe, vestite allo stesso modo (con una giacca blu e il cravattino rosso… por­tavano una carrozza fatta a forma di zucca. Una era avanti e l’altra dietro ed erano brutte davvero)

Ed è da quei vuoti che potrebbe nascere quella paura del buio che fa della notte di Francesca bambina, un mondo animato da figure che si materializzano attraverso il “rumore” in “passi di due persone” che Francesca identifica nel suono dei passi che risuonano nel suo orecchio: “Clasch, clasch, clasch”.

Tutti siamo stati bambini e tutti abbiamo avuto paura: paura del buio, paura di restare soli, paura di perdere i genitori, paura del vento, dei temporali, dell’acqua. Spesso abbiamo identificato le nostre paure nei rumori che nel silenzio della notte si impossessano della nostra fantasia ed è quello che accade a Francesca che nel pieno della notte ascolta  il rumore di passi che entrano attraverso il suo orecchio

Francesca Nunzi

Il racconto diviene quindi un vagabondare per le strade di Roma alla ricerca di chi siano quei due che ogni notte vanno a disturbare il sonno con  dei rumori di passi nell’orecchio di Francesca, colpevoli quindi di spaventarla e di non farla dormire. Il silenzio della notte crea una linea immaginaria tra il pensiero e la realtà. E capita che prestandogli attenzione si scoprano inquietanti rumori, come il cadere di una goccia di acqua che nel silenzio assume un che di inquietante e rumoroso. E’ quello che accade a Francesca con quel clasch, clasch clasch, passi nella notte che entrano nella sua fantasia attraverso il suo orecchio. E allora cerca di capire a chi appartengano ed inizia una indagine che trasforma in appunti investigativi. La storia di Francesca è la storia dei rumori che si trasformano in paura e di rumori benevoli, come le suggerisce il papà, come il rumore di una sveglia “tic, tac”, la sveglia di Peter Pan. Il racconto ci mostra una bambina che dialoga con il silenzio della notte e con le sue paure, ma è anche il rapporto di una bambina con i suoi genitori, che la rassicurano affrontando insieme quelle paure, perché non si trasformino in ansie che poi potranno minare la sua sicurezza e autostima da grande.

E come in un eterno ritorno anche la Francesca adulta affronterà la paura della notte di suo figlio con il rumore benevolo e allora si alza e corre  “a prendere la vecchia sveglia tutta d’oro e, con le lacrime agli occhi, la misi piano nelle manine di mio figlio”. E come ogni mamma ci piace pensare che Francesca, seduta accanto al lettino del figlio, gli racconti un filastrocca come quella che la scrittrice Maria Ruggi (www.maestramary.altervista.org) ha dedicato alla paura.

Filastrocca della paura
Nel bel mezzo della notte scura scura
ecco senti arrivare la paura.
Nel cielo della tua camera ora il silenzio è sceso
e il più piccolo rumore ti giunge inatteso.
Le ombre sulle pareti si trasformano in mostri terribili
e sotto le coperte quelle figure diventano orribili.
Alla porta del tuo cuore lei comincia a bussare
forza, concentrati, chiudi gli occhi e lasciala andare.
Con calma fai un respiro profondo
gonfia la tua pancia come un pallone intorno al mondo.
Lasciati guidare dai pensieri vellutati
fatti cullare dai sogni zuccherati.
Inclina poi la testa di qua e di là
Vedrai che la paura presto svanirà.

 

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Roberto Papa

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. (Bertold Brecht)

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