Si parla di femminicidio al liceo Cartesio di Olevano Romano
Si è svolto presso il liceo Cartesio di Olevano Romano, nell’ambito del progetto “basta un libro”, coordinato dalle prof. Lorella de Pisa e Daniela Giordano, l’incontro sul libro curato da Rosa Tiziano Bruno “Chiamarlo amore non si può” (Matilde Editrice, 2013). All’incontro ha partecipato il gip del Tribunale di Tivoli Alfredo Maria Bonagura, che dedica particolare attenzione alla violenza di genere. Un tema quello della violenza alle donne che ha coinvolto ragazze e ragazzi del triennio superiore, vedendoli partecipi e attenti ad un dibattito che oltre a informare sui dati di violenze e femminicidi, e su come leggere i segnali che precedono il dramma finale, li ha visti attori e attrici di azioni sceniche con letture dal libro della Bruno ed interpreti di due canzoni, insieme a tutto il pubblico presente, “La Fata” di Edoardo Bennato e “Lella” di Edoardo de Angelis.
E’ stata proprio la storia di “Lella” il motivo conduttore della mattinata. Quella storia cantata per la prima volta proprio cinquant’anni fa, quando di femminicidio ancora non si parlava, almeno pubblicamente, una storia di un amore sbagliato, una storia che finisce con un rifiuto:
Na matina ch’era l’urtimo dell’anno
Me dice co’ la faccia indifferente:
Me so stufata nun ne famo gnente
E tireme su la lampo der vestito…
E te lo vojo di’ che so’ stato io
E so’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
E te lo vojo di’ ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno tiettelo pe’ te
Non c’è raptus dietro un omicidio di donna
Il rifiuto di Lella come di tante, troppe donne, che portano gli uomini (mariti, compagni, amanti, o meglio ex) a compiere violenza su un corpo nella convinzione che le donne non sono sovrane bensì gli “appartengono”. Omicidi unificati tutti dalla passione e giustificati da un raptus, da una tempesta emotiva. Ma come ha spiegato il giudice Bonagura, non è così! Non c’è raptus dietro un omicidio di donna, ma sempre una storia fatta da tanti segnali spesso sottovalutati e accettati dalla donna per “troppo amore”, per quel senso materno che tutto giustifica e più spesso non vede, perché come hanno ripetuto in coro le giovani e giovani studenti: non è normale che sia normale.
La coppia è stato detto, è sempre una relazione di potere, un potere che sta alla base del femminicidio, parola questa che non si esaurisce nell’atto finale dell’uccisione della donna, ma identifica un fenomeno molto più ampio che si riassume in comportamenti quali: maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa o ancora economica. Situazioni che nella maggioranza dei casi avvengono in ambito famigliare. La stessa Assemblea Generale dell’Onu identifica la violenza contro le donne come “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.
Spesso le stesse donne sottovalutano i segnali all’interno della loro relazione problematica e nonostante in questi ultimi quarant’anni, con l’avvento dei movimenti femministi, molte cose nei rapporti uomini-donne siano cambiati, l’ultima indagine Istat sugli stereotipi di genere continua ancora ad affermare una mentalità del maschio nei confronti della donna che vede il 7,4% delle persone ritenere accettabile la violenza nella coppia o in alcune circostanze che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo”, il 6,2% che in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto. Rispetto al controllo, invece, sono più del doppio le persone (17,7%) che ritengono accettabile sempre o in alcune circostanze che un uomo controlli abitualmente il cellulare e/o l’attività sui social network della propria moglie/compagna.
Che fare allora? La risposta è venuta da ambedue gli ospiti che hanno sottolineato da un lato l’importanza dell’educazione e della scuola, suggerendo un semplice esercizio: contare quanti sono gli autori di sesso maschile e femminile che vengono studiati in letteratura italiana. Ma anche quello di cominciare a rifiutare la rappresentazione che la società fa della donna (dalla pubblicità fino ad arrivare ai giocattoli dove più marcata è la differenza di genere). Occorre, come ci dice Rosa Tiziana Bruno, costruire “la nostra casa emotiva” perché ciascuno di noi sia consapevole delle emozioni che prova, perché canalizzando le nostre energie emotive (quelle positive come la gioia, la fiducia, la gratitudine, ma anche quelle negative come la paura, l’invidia, la gelosia) ne beneficeranno le nostre relazioni di coppia, amicali, ma anche ci porremo con atteggiamento positivo nei confronti dell’ambiente scolastico e lavorativo. E a proposito di “gelosia” scrive ancora la Bruno: “Possiamo riciclarla arrivando a capire che nessuno è di nostra proprietà, imparando a rispettare i propri spazi e quelle degli altri e dedicare del tempo a migliorare noi stessi perché questo ci darà più fiducia. Così trasformiamo la gelosia in auto-miglioramento. Questo passaggio è molto importante per prevenire la violenza di genere”
Gli studenti hanno stimolato gli ospiti con domande che denotavano una preparazione all’incontro sia sul tema del femmicidio sia sui contenuti del libro “Chiamarlo amore non si può” dove ventitre scrittrici raccontano ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne ma soprattutto l’importanza di saper educare ad amare. E qui di nuovo ritorna la centralità della scuola che non deve essere rivolta tutta alle discipline scolastiche e al profitto o alle competenze da mettere al servizio del lavoro. La scuola soprattutto nell’area umanistica deve dare spazio all’educazione delle emozioni attraverso la lettura di autori del passato e contemporanei, perché solo, ma certamente non solo, la cultura, acquisita attraverso una poesia, un romanzo può creare dei rapporti fra un uomo e una donna che insegnino che cosa è amore, come si costruisce un rapporto d’amore, che non sia relazione di potere. Ma soprattutto come si deve esprimere rispetto e libertà fra i due componenti della coppia e nella coppia.
Il percorso che i docenti del Liceo Cartesio hanno intrapreso con il progetto “basta un libro”, va in questa direzione, perché oltre a stimolare il piacere della lettura del libro, l’incontro con l’autore ed eventuali esperti, offre oltre allo stimolo a riflettere sulla vita sia nei suoi aspetti positivi, l’amore, il sogno, il desiderio, anche quelli negativi e la violenza alle donne è certamente uno di questi, da cui nessuno può dirsi immune, offre anche strumenti critici per saperli affrontare.
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