40 mq per parlare di transessualità
la commedia che parla di transessualità scritta e diretta da Emiliano De Martino
40 mq è lo spettacolo andato in scena al Teatro Marconi di Roma, il 30 e 31 luglio, nell’ambito della riapertura estiva dei teatri dopo l’emergenza Covid19. Il testo parla di transessualità e lo fa tra risate, sorrisi, qualche spunto di riflessione, seguendo una storia che affronta questi temi sorridendo, a volte prendendoli in giro, esasperandoli, lasciando continuamente il discorso in bilico, a volte con attenzione. Lo spettacolo è scritto e diretto da Emiliano De Martino che pone l’attenzione su un tema molto discusso e attuale, che spesso è causa di divisioni anche familiari.
Quarant’anni, single, Sergio vive in un appartamento di 40 mq (qui 40 e 40 non sembrano un caso), mantenuto da mamma e papà. Al “giovane” calza a pennello il proverbio “voglia di lavorare saltami addosso”, perché di cominciare a darsi da fare per mantenersi da solo, proprio non ha intenzione. Ma inventiva sì. Deve trovare un modo per fare soldi, per cominciare a pagare almeno le bollette, come vorrebbero mamma e papà e così pensa di affittare la stanza del suo appartamento. Ma le buone intenzioni si incontrano anche con il sindaco di Lampedusa che cerca per i migranti dei posti che li accolgano.
Sergio si fa due conti, ma si lascia affascinare da un giovane che cerca di entrare nel mondo dello spettacolo: Luana, una ragazza molto intraprendente che cerca di conquistare la simpatia del giovane tanto da farsi accettare addirittura gratuitamente. Lui vede in lei il suo riscatto d’uomo, lei un amico, un’ancora di salvezza nella sua vita precaria. Il terzo personaggio è mamma Claudia, che è stanca del figlio nullafacente e vorrebbe responsabilizzarlo, metterlo in riga, dargli opportunità e uno scopo nella vita. Ad un tratto infatti, la mamma esclamerà: “tu sei maschio, ma omm’ è nata cosa”, come a fargli comprendere che anche se maschio, ancora non ha raggiunto la maturità di uomo, in ogni sua sfaccettatura.
Fulcro della storia è la transessualità, è la libertà di sentirsi quello che realmente si è, senza compromessi, senza doversi nascondere dal giudizio degli altri, senza paure. Un discorso tanto attuale quanto difficile da gestire in una società che da una parte inneggia alla libertà, dall’altra, invece, è pronta a puntare il dito contro chi non rispecchia i canoni di un “certo pensiero”. L’amore o meglio, chi prova amore, è colui che spesso cade in queste contraddizioni, che si ritrova a gestire delle verità che spesso non lo sono, venendo celate dal vissuto diverso di ogni persona, che rispecchia il modo di vivere di ognuno. La transessualità si ritrova a doversi confrontare con l’io di chi la prova, nel corpo e nella mente e con la società che approva o nasconde o nega o deride.
Tre gli attori in scena, Lorena Scintu Piana, nel ruolo di Luana, ragazza (ma lo sarà davvero?) alla ricerca di un lavoro quello di attrice, dove apparire è importante più dell’essere, ma è anche alla ricerca di un posto dove vivere. Come persona in particolar modo, è alla ricerca d’amore, un amore sincero, vero, che prova a trovare in Sergio. Eduardo Ricciardelli, Sergio, che non riesce a prendersi delle responsabilità, volendo restare un eterno bambino, in una figura che gli permette di crogiolarsi nel suo essere senza pensieri. Maria Lauria nei panni della mamma Claudia, napoletana, che resta legata al passato come mostra portandosi dietro l’urna della mamma. La sua è una mentalità che rinnega la transessualità.
La figura di Lorena Scintu Piana rispecchia bene, per conformazione fisica, la figura di un transessuale, e riesce a mantenere lo spettatore in dubbio. Brava anche la Lauria che veste i panni di una donna del sud all’antica, mamma predominante ma che vorrebbe scrollarsi alcune responsabilità. Entrambe convincenti nei loro ruoli.
Meno convincente, invece, è il protagonista Eduardo Ricciardelli che nel suo ruolo si sente spaesato, spesso si perde e non convince. Quasi a scomparire quando in scena ci sono le sue colleghe.
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