Da fuori tutto bene, lo spettacolo di Giulia Vanni

In scena al Teatro Trastevere un testo autobiografico

Giulia Vanni porta in scena Da fuori tutto bene, che racconta in modo ironico, il suo “scontro” con il cancro al seno. Una riflessione anche ironica e divertente, sul rapporto con la malattia che sconvolge per la sua diffusione ma anche per i tanti tabu che la circondano. Non tutti sono disposti ad aprirsi, ma senza dialogo si resta soli e si sa, la solitudine è difficile da affrontare.

Il testo, scritto insieme a Daniele Fabbri, sarà in scena dal 21 al 23 marzo al Teatro Trastevere di Roma. Ne abbiamo parlato insieme all’autrice, regista e protagonista dello spettacolo.

Salve. Il testo con il quale sarà in scena al Teatro Trastevere, Da fuori tutto bene, parla di una storia vera e personale, il suo rapporto con il cancro al seno, un tema che in pochi riescono a raccontare. Quando lei ha deciso di farlo e di scrivere poi uno spettacolo?

Quando mi sono trovata dall’altra parte. In effetti prima della diagnosi, il cancro e la gestione emotiva di una malattia in generale, l’ho sempre vista da fuori, pur avendo avuto familiari pazienti oncologici e mi sono resa conto di quanto poco parliamo dell’argomento, sia pubblicamente che con le persone più vicine a noi.

Questo non fa altro che alimentare il tabù, anche linguistico, sul cancro e una retorica distaccante che vuole le pazienti e i pazienti come degli esseri soprannaturali che affrontano una battaglia epica. In un mondo in cui una donna su otto è colpita da cancro al seno, e nella stragrande maggioranza dei casi, sopravvive, non possiamo permetterci l’isolamento, ma dobbiamo imparare a parlarne e anche ad ascoltare senza sviare il discorso.

Co-autore dello spettacolo è Daniele Fabbri. Com’è stato scrivere insieme a lui?

Io e Daniele ci conosciamo da una vita ed è stata la prima persona a cui ho pensato quando ho deciso di scrivere della mia esperienza. Abbiamo passato un paio d’anni a fare brainstorming in cui io principalmente parlavo e piangevo e lui prendeva appunti e registrava, che detta così sembra terribile, ma in realtà è stato fondamentale per mettere in fila i miei pensieri… come in una sorta di psicoterapia! E poi ci siamo fatti un sacco di risate: lì ho capito di aver scelto la persona giusta.

Quali sono stati i consigli di Fabbri, che nei suoi testi è molto ironico?

Daniele ha un istinto incredibile per la battuta fulminante, semplice ma complessa allo stesso tempo. Questa capacità è cruciale quando si parla di argomenti delicati in cui facilmente si scivola nella retorica e nella convenzione. Lavorare con lui ha contribuito alla ricerca della leggerezza del testo e della messa in scena che alternano umorismo, ironia, delicatezza, intimità e profondità.

Lo sguardo con il quale ha cominciato questo periodo è lo stesso di adesso? Perché?

Beh, all’inizio di questo percorso ero confusa, spaesata, nel caos come su un ottovolante o in mezzo al palco quando parte il can can (immagine che ha ispirato il sottotitolo dello spettacolo). Poi parlandone, leggendo di altre esperienze e scrivendo lo spettacolo, lo sguardo si è spostato sempre più dalla malattia a me stessa, a crescere come persona consapevole del cambiamento che stavo e sto affrontando e a voler vivere la vita come tutte, ma con un ospite in più.

Affrontare il cancro non è facile, quale parte è più impegnativa, quella con se stessi o quella con gli altri e perché?

Quando scopri di avere una malattia che ti colpisce nel profondo, nella vita intima e sessuale, come un cancro al seno, la cosa più difficile, almeno per la mia esperienza, è la gestione delle relazioni che diventano tese e fragili perché sai di avere qualcosa dentro di te che fa stare male o impaurisce gli altri, non perché sono cattivi, ma perché non sanno come trattare la materia. Per questo servirebbe più consapevolezza pubblica e più comunicazione tra le persone.

In scena porta un racconto che non è solo drammatico, ma innestato con comicità e canzoni. Quale parte del testo è stata particolarmente impegnativa?

Quella più intima e di messa a nudo personale sicuramente. Non me l’aspettavo, ma è stato molto più facile trovare gli spunti comici o ironici in alcune situazioni o episodi. Devo dire però che molti aneddoti vissuti realmente ci hanno messo del loro in quanto ad assurdità e paradosso, come alcuni iter burocratici, alcuni personaggi ospedalieri…diciamo che sono coprotagonisti della vicenda!

Secondo lei quali sono i tabù che circondano il cancro e che mettono in serio pericolo la serenità delle pazienti?

Quello più macroscopico che mi viene in mente è che non c’è ancora una radicata cultura della salute che consideri la paziente a tutto tondo, che prenda consapevolezza che una volta tolte le cellule cancerose il lavoro non è finito.

C’è bisogno di ricostruire la persona fisicamente, mentalmente e spiritualmente, aiutarla ad affrontare il cambiamento con strumenti che ci sono, ma che vivono in maniera timida e non abbastanza foraggiata negli ospedali, nelle asl e in tutti gli ambienti di cura. E poi c’è ancora lo stigma del cancro come se fosse una condanna a morte: dobbiamo capire che grazie alla ricerca, oggi di cancro si vive! E dobbiamo avere il diritto di vivere bene!

Alla luce della sua esperienza cosa consiglierebbe, in particolare alle donne che hanno il cancro al seno?

Di non isolarsi o rintanarsi, siamo tante e non dobbiamo aver paura di scambiarci idee, consigli, ma anche solo parole e capacità d’ascolto. Noi non siamo la nostra la malattia, c’è tutto un mondo intorno che va tirato fuori.

Come si sente oggi, fisicamente e psicologicamente?

Mah, a parte la cosa del cancro, io sto benissimo!!! A parte gli scherzi, sto bene. Fisicamente mi sto riprendendo, sono quasi alla fine del mio percorso di ricostruzione del seno che ho intrapreso due anni fa a Verona grazie al team del Dott. Rigotti, che è all’avanguardia e pure in convenzione col SSN! Psicologicamente c’è ancora qualcosa da mettere a fuoco, ma ci sto lavorando!

Cosa vorrebbe per lo spettacolo? Quali sono gli obiettivi che si è predisposta quando ha scelto di portare in scena la sua storia? Cosa cercherà di regalare ogni volta al pubblico?

Innanzitutto, mi piacerebbe che lo spettacolo arrivasse a quante più persone possibili, collaborare con le associazioni che si occupano di cancro al seno e/o pazienti oncologiche, con gli ospedali, gli ordini dei medici e con le scuole per provare a tradurre la mia esperienza in azioni che possano creare più consapevolezza e più dialogo sul cancro… perché trattarlo come un tabù non ci porta da nessuna parte!

Poi, il progetto più immediato è Da fuori tutto bene il podcast, che si può ascoltare qui. Per ora abbiamo iniziato con 5 puntate, ma vorremmo ampliarlo anche con testimonianze, interviste e contenuti dedicate alle esperienze di altre persone. E poi mi auguro che alla fine dello spettacolo rimangano solo cose belle e magari qualche strumento in più per affrontare la cosa qualora capitasse (se volete grattarvi o fare gli scongiuri fatelo eh!).

Grazie e in bocca al lupo!

Viva il lupo!

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

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