Andrea Martella debutta con Food Porn
Food Porn, l’opera originale della Compagnia Hangar Duchamp
Food Porn è il primo spettacolo originale della Compagnia Hangar Duchamp diretta da Andrea Martella. Lo spettacolo scritto da Marco Cecili, è nato da un’idea di Andrea Martella, regista dello stesso. In scena Giorgia Coppi, Vania Lai, Simona Mazzanti, Walter Montevidoni, Vlad Silter e le giovani Aurora Matarazzo ed Eleonora Montevidoni.
La compagnia, che ha portato in scena la Trilogia dell’Avanguardia, basata su dada/surrealismo/metafisica, ha deciso di debuttare con il suo nuovo lavoro al Teatro 7 Off di Roma dal 4 al 7 aprile. Ne ho parlato insieme al regista Andrea Martella, che ringrazio per essere qui, sulle pagine di CulturSocialArt.
La compagnia Hangar Duchamp, porta in scena il suo primo spettacolo originale. Com’è nato lo spettacolo e quali sono state le basi che lo hanno visto crescere?
Food Porn nasce da alcune idee, immagini più che altro, piccoli quadri scenici che avevo in mente da tempo e che sono stati la base per tutto il lavoro preliminare fatto con la compagnia, in improvvisazione. L’autore del testo, Marco Cecili, ha seguito questa fase creativa e ha tradotto questi piccoli spunti in personaggi e successivamente in una narrazione, costruendo a tutti gli effetti la storia che portiamo sulla scena.
Mi piace tantissimo che nello stile sia riuscito a reinterpretare il non-sense dadaista di inizio novecento al quale sono molto legato, restituendoci in qualche modo al percorso che abbiamo fatto come compagnia fino adesso, con rispetto della sua creatività ma anche della nostra identità. Trovo che il suo testo si adatti molto bene al teatro molto fisico e poco psicologico di Hangar Duchamp.
All’interno dello spettacolo attori che fanno parte della compagnia e che sono andati in scena con la Trilogia dell’Avanguardia, penso a Giorgia Coppi, Vania Lai, Simona Mazzanti, Walter Montevidoni, Vlad Silter. Come avete costruito questi personaggi? E come sono stati assegnati i ruoli?
Vlad Silter è l’unico, tra i nomi che hai detto, che non ha partecipato alla Trilogia, anche se ha debuttato con noi qualche mese fa nella messa in scena del capolavoro dada Il Cuore a Gas insieme all’Hangar Lab, la sezione under 30 della compagnia. Per quanto riguarda il lavoro sui ruoli, la fortuna di avere un autore che scrive non solo per te ma con te è proprio quella di veder crescere ogni singolo personaggio insieme all’attore o all’attrice che lo interpreta.
I ruoli, in questo caso, erano già nelle persone, nel lavoro che la compagnia portava in sala prove durante le improvvisazioni iniziali. È stato tutto abbastanza facile da questo punto di vista. Anche per i costumi di Stefania Chiara Cavagni, le scene di Mattia Urso e gli ambienti sonori originali di Attila Mona il discorso è similare, abbiamo lavorato in gruppo e soprattutto in progress con la scrittura e la regia.
Lo spettacolo racconta di tre sorelle che hanno perso i contatti con il padre. Come ha visto l’opposizione tra padre e figlie?
C’è un atteggiamento di opposizione-attrazione col padre da parte delle sorelle, come penso spesso accada in tutte le famiglie, non solo in quelle un po’ conflittuali. Qui, certo, siamo di fronte a una famiglia particolarmente problematica. Il padre, durante l’infanzia molto presente, anzi troppo, esercitando un controllo spesso asfissiante sulle figlie, da un certo punto in poi sparisce completamente, inseguendo la sua carriera lavorativa.
Aggiungiamo anche il fatto che in questo caso il rapporto non risolto non è solo quello tra padre e figlie ma anche quello tra sorelle, con la maggiore in totale ribellione, la secondogenita in continua crisi da compromesso e la più piccola in uno stato di assoluta inazione. Si parla anche di una madre, ma si sa poco, molto poco di lei e anche questo non fa che aumentare le difficoltà.
Il confronto, duro, acido, tra loro prende forma con il cibo, ormai divenuto uno status simbolo della nostra società, basti pensare alle tante trasmissioni o persone che si occupano di cucina, spesso anche persone non professioniste. Lei come vede il cibo?
Mi piace mangiare! Sono un perfetto italiano in questo senso, perché amo la cucina mediterranea. Devo dire però che sono molto aperto alla scoperta di nuovi sapori, non sono uno di quelli che in qualunque zona del mondo si trovi cerca uno Starbucks per disperazione. Ritengo però che serva fare una riflessione seria su come e cosa mangiamo.
Lo spettacolo in qualche modo tratta anche questo tema. È un discorso complesso, sono un regista teatrale non un economista o un esperto di politiche agroalimentari, ma credo sia giusto iniziare ad essere un po’ più coscienti di cosa consumiamo. La qualità del cibo che scegliamo per noi, non ricade solo sulla nostra salute, perché c’è tutto un gigantesco sistema al quale quasi mai pensiamo, da chi produce a chi assembla, fino a chi vende, con quello sconosciuto chiamato pianeta terra relegato sullo sfondo.
Non so come far sì che questa catena sia la più virtuosa possibile, però magari informarsi un po’ di più e leggere le etichette quando si fa la spesa potrebbe essere un primo passo. In questo spettacolo in effetti Food Porn fa spesso rima con Junk Food e penso che la strada che stiamo prendendo, purtroppo, sia proprio quella del cibo spazzatura elevato a sana abitudine alimentare.
Il rapporto con il cibo, in particolare con i giovani, sfocia in moltissimi casi, in bulimia o anoressia. Quanto si parla di queste problematiche all’interno del teatro?
Credo poco e forse se ne potrebbe parlare di più, mi permetto però di segnalare come queste problematiche siano molto complesse e spesso le si affronti in modo superficiale. Ho sempre pensato che quando non sei sicuro di una cosa faresti meglio a non parlarne o comunque, torniamo sempre lì, a informarti, prima. Perciò se hai nel cassetto uno spettacolo teatrale su questo con argomenti belli solidi, evviva… altrimenti meglio non improvvisare, perché l’arte di certo non risolve i problemi, li segnala, ma in compenso può fare molti danni.
Ho cercato di avere un’attenzione maniacale nella regia di questo spettacolo non tanto per non irritare o disturbare il pubblico, cosa verso la quale tutto sommato non ho particolare ansia, ma per non essere frainteso nel messaggio lanciato che, nella fattispecie, non riguarda in particolare nessuno dei disturbi dei quali hai accennato nella tua domanda.
Il vostro approccio al teatro è sempre legato al dada/surrealismo/metafisica. Il pubblico come si approccia a ciò che portate in scena?
Finora ci sono state due reazioni uguali e contrarie, repulsione o attrazione. Onestamente è ciò che ho sempre voluto, penso che l’arte, passami il termine, non possa essere democristiana, non può stare nel centro. Non è una questione politica, ma concettuale ed emotiva. Mi piace tantissimo, non mi piace per niente. In mezzo a questi due giudizi non so come si possa stare.
Una cosa molto divertente è che, per la seconda volta (era già successo per la locandina di una passata versione dello spettacolo Il Cuore a Gas) Instagram ci ha bloccato alcuni contenuti per il titolo dello spettacolo. Sembra che all’algoritmo la parola Porn non piaccia particolarmente, anche se vicino alla parola Food forma un’espressione di uso comune che nulla ha a che vedere con la pornografia. Tutto questo per l’Hangar, ovviamente, è una medaglia.
In scena con voi due attici che provengono dall’Hangar Lab: Aurora Matarazzo ed Eleonora Montevidoni, cosa apporteranno allo spettacolo?
Aurora ed Eleonora hanno due ruoli fisici per me fondamentali, i soldati del grande imprenditore di successo, di questo padre-chef dalla scarsa anzi inesistente moralità. Penso sia importante questa osmosi tra compagnia e lab, è una visione che ho da tempo, non certo rivoluzionaria, ma alla quale tengo tantissimo. Spero che, oltre a ciò che apportano loro allo spettacolo, possiamo avere anche noi qualcosa da offrire loro, in termini di esperienza e fiducia, attraverso la partecipazione ai nostri progetti.
Che cosa vuole che arrivi al pubblico?
La serietà del nostro lavoro, la verità dei nostri concetti, la volontà di creare uno scambio che vada al di là del singolo spettacolo ma coinvolga un ampio gruppo di persone nella meraviglia di essere una compagnia, che è il contrario di solitudine e che non trova alcun senso senza un pubblico.
Grazie per essere stato con noi e in bocca al lupo!
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