Bargilli e Siravo, le spose più chiacchierate del secolo

Ph Azzurra Primavera

L’amore e la libertà di amare al centro dello spettacolo Spose, le nozze del secolo

Uno spettacolo che parla di coraggio, amore, libertà, questo è Spose le nozze del secolo, scritto da Fabio Bussotti, diretto da Matteo Tarasco ed interpretato da Marianella Bargilli e Silvia Siravo, fino al 17 dicembre al Teatro Cometa Off di Roma. Un testo che racconta una storia vera, un amore e un matrimonio, il primo nella storia, tra due donne, un legame ufficiale che dopo più di un secolo, non è stato sciolto e resta il primo nella storia, a tenere unite in matrimonio due donne.

Un testo che vale la pena di ascoltare sia perché vede protagonisti un gruppo di professionisti, sia perché ci porta a riflettere sul sentimento dell’amore che ogni essere umano ricerca durante tutta la propria vita e che può ritrovare la propria espressione più alta, nell’unione fra un uomo e una donna, fra due donne o due uomini. A raccontarci questa storia, le due attrici protagoniste, Marianella Bargilli e Silvia Siravo.

Salve, siete in scena con uno spettacolo dai toni e temi attualissimi, Spose, le nozze del secolo. Parliamo di donne, di unioni gay. Come nasce lo spettacolo?

Silvia Siravo: Lo spettacolo nasce nel periodo del Covid, quando, in una notte insonne, mi sono imbattuta in un film Elisa e Marcela che mi piacque molto. Da lì ho fatto delle indagini sulla storia e ho scoperto che era una storia vera, che c’era un libro di un professore spagnolo, un saggio, in cui l’uomo aveva documentato tutta la storia di queste due donne che, nei primi anni del Novecento, in Spagna, si sono sposate, una delle due travestendosi da uomo. E, ingannando tutti, questa donna si è fatta battezzare come uomo riuscendo, all’inizio, a ingannato tutti. Quando sono state scoperte, sono state perseguitate, arrestate, quindi sono fuggite dalla Spagna rifugiandosi in Portogallo, sempre con la stampa che documentava ogni loro passo. Sì, perché all’epoca fu una vicenda molto nota. Dopo di che fuggirono in Sud America e di loro si sono perse le tracce.

Quando ho scoperto questa vicenda ho sentito subito che era una storia da raccontare, era necessario farla scoprire a tante persone, affinché si comprendesse come determinate conquiste, che diamo per scontate in questo momento storico, siano il frutto di tante battaglie, sforzi e coraggio di persona che hanno vissuto nel passato. C’è sembrato un modo per mantenere viva la memoria di queste due donne.

Ne ho parlato immediatamente con la mia collega e amica, Marianella Bargilli, con cui ho condiviso tanto lavoro e l’idea è piaciuta tanto anche a lei, così come al regista Matteo Tarasco. Abbiamo poi trovato due produzioni illuminate che hanno voluto investire su questa storia e siamo riuscite a metterla in scena attraverso le parole di Fabio Bussotti che, prendendo proprio le informazioni dal saggio e dai reali documenti, ha scritto questo testo che è prettamente un gioco teatrale dove io e Marianella facciamo tutti i personaggi.

Entrambe raccontiamo anche i personaggi con cui queste donne confliggono, e quindi diventiamo il parroco, il giudice, il caporale. È un gioco teatrale attraverso cui raccontiamo questa storia con provocazione, ironia ma anche profonda verità. Una cosa che ci colpì molto quando abbiamo deciso di portare avanti questo progetto, è il fatto, che queste due donne, nella loro foto storica, quella del matrimonio, che vendettero alla stampa e che girò tanto all’epoca, è che queste due donne ci somigliavano molto, o meglio, noi somigliamo molto a loro.

Quello che viene descritto è un matrimonio fra due ragazze, celebrato all’inizio del secolo e mai annullato. Secondo te cosa ha rappresentato all’epoca? E perché nessuno si è mai interessato all’annullamento dello stesso?

Marianella Brgilli: Sì, è un dato importante. Si parla dei primi del Novecento, della Spagna, in un’epoca completamente diversa rispetto al nostro 2023. Per certi versi diversa e per altri ancora uguale. È un matrimonio celebrato all’inizio del secolo, che ha rappresentato la libertà, quello che rappresenta ancora adesso. Io credo che l’essere umano si ripete nel bene e nel male, si ripete nelle dinamiche. Questa è una dinamica d’amore e di grande coraggio, per fortuna, quindi si ripete nel senso positivo del termine.

Si parla d’amore, un argomento che interessa l’essere umano da sempre. In questo caso si parla di un amore libero, coraggioso e pieno di forza, di verità e di rischio perché, sposarsi a quell’epoca, peraltro in un matrimonio gay e con tutti gli episodi rocamboleschi che queste due donne hanno vissuto per raggiungere il loro scopo, compreso un battesimo e un cambio di “sesso”, almeno apparente, ha significato un atto di grandissimo coraggio. Forse ad oggi non so se qualcuno si permetterebbe di farlo. Probabilmente perché alcune cose ci sembrano più facili, ma in realtà non lo sono ancora, rispetto a questo argomento.

Perché nessuno si sia interessato per annullarlo, non lo sappiamo perché a un certo punto di queste due donne si sono perse le tracce e suppongo che siano state brave anche in questo, perché sono sparite dal radar per poter stare insieme.

Ph Azzurra Primavera

Come sono i vostri personaggi? Quanto vi somigliano o quanto differiscono da voi?

Marianella: I nostri personaggi sono coraggiosi forti, dinamici, ma soprattutto liberi. Mi somiglia la parte della libertà di questo personaggio che sto interpretando. Io sono una paladina di questa parola, in tutti i sensi: libera di amare, libera di sentirmi quella che sono, libera di conquistare il mio spazio, libera di essere, libera di dire la verità, libera di sognare, libera di provare, libera di sbagliare. Libera è la parola che mi ha sempre rappresentata nella vita, quindi in questo personaggio, più che mai, essendo poi una storia vera, riesco ad esprimere una parte di me e che mi appartiene moltissimo.

Da un punto di vista fisico mi diverto perché il travestimento che fa Mario, quindi Elisa per diventare Mario, è curioso. È curioso vedere che una donna si mortifichi per diventare altro o per potersi sposare, anche se per una buona causa, la donna che ama. Anche questo mi appartiene perché fa parte del mio gioco teatrale e quindi in questa storia vera, ritrovo due realtà che sono la mia verità, quella di essere una donna libera, di essere e l’essere libera di poter creare, di essere diversa quindi di essere qualcos’altro. Questo è quello che penso di questo mio personaggio.

Silvia: Io interpreto Marcela che tra le due forse è il personaggio più femminile nei modi. Infatti è quella che non si traveste da maschio e che a un certo punto rimane incinta. Non si sa bene di chi, perché anche storicamente questo è un mistero, che in qualche modo il nostro autore ha risolto, ma dovete venire a teatro per scoprirlo. E comunque, quello che è certo è che queste due donne hanno cresciuto insieme questa figlia.

Il personaggio differisce da me? Diciamo che io vorrei molto assomigliarle perché è una donna piena di coraggio, che pur di rispettare i suoi desideri, le sue aspirazioni, combatte con sfrontatezza, con passione, con amore, che comprende profondamente quello che è il suo sentire e lo persegue in un momento storico dove tutto questo sembrava quasi impossibile.

Come vi siete avvicinate a queste due ragazze?

Silvia: L’autore Fabio Bussotti ha immaginato che queste due donne raccontassero la loro vita ormai più grandi, ritirate in una casa di campagna in mezzo al Sud America, isolate lì, e che raccontassero la loro storia all’ennesimo giornalista che veniva a trovarle. Da lì loro hanno la possibilità di ripercorrere tutta la loro storia. In effetti io e Marianella siamo più grandi dei personaggi nel clou della loro vicenda, quindi questo pretesto per raccontare è assolutamente efficace. Noi ormai, nella serenità ritrovata, ripercorriamo tutta l’avventura picaresca che abbiamo vissuto nella giovane età. Io mi sono avvicinata al personaggio con grande curiosità e grande ammirazione.

A dirigervi Matteo Tarasco. Quali sono state le sue direttive, i suoi suggerimenti?

Marianella: Io, Matteo Tarasco e Silvia abbiamo già lavorato insieme. Abbiamo fatto La Signora delle Camelie. Lui è un regista che stimo moltissimo perché, come me, vive la libertà del lavoro nel senso creativo e quindi è una persona molto presente, sensibile, attenta, che ama profondamente questo mestiere, per cui ci si dedica. Matteo ci conosce perché abbiamo fatto un bellissimo lavoro insieme, per cui sapeva in qualche modo già dove mettere le mani, e quando hai un regista davanti che ha già delle coordinate, di te come attrice è ancora più bello lavorarci perché possono uscire ulteriori cose rispetto, appunto, alla conoscenza e al sapere dove l’attrice può arrivare e cosa può dare e cos’altro può inventarsi. Quindi lo abbiamo creato insieme.

È stato un mese di lavoro molto molto intenso durante le prove, di confronto, perché quando c’è una storia vera dove si maneggia, in questo caso, tutti i fatti accaduti, è ancora tutto molto più delicato e più attento perché bisogna proprio rispettare la tempistica, le date del testo. Noi raccontiamo cose che veramente loro hanno detto, per esempio nelle parti del tribunale, quando le hanno arrestate. Per cui Matteo ha grande sensibilità, è un regista di prim’ordine.

Cosa pensi dell’amore e come lo vivi?

Silvia: Che domanda difficilissima! Credo che per me l’amore sia accogliere l’altro, accettarlo, anche con tutte le sue fragilità. Credo che l’amore sia vivere la relazione con gli angoli della bocca all’insu, sorridendo. Credo che nell’amore non ci sia spazio per l’aggressività, non debba esserci la manipolazione, il tentativo incessante di modificare l’altro. Diciamo che aspiro a questo e credo che non sempre nella vita sia facile trovare un rapporto così equilibrato, ma credo che a un certo punto si può anche maturare e trovarsi con questa complicità con qualcuno.

Ph Azzurra Primavera

Alla luce della politica, della società odierna, cosa rappresenta secondo te questo spettacolo oggi?

Marianella: Rappresenta un manifesto, quello che dovrebbe essere la normalità in realtà. Un manifesto di vita da seguire. Sono molto orgogliosa di portarlo in scena. Da un po’ di tempo mi occupo, parallelamente alla prosa, di un teatro più d’accusa o civile o sociale, come lo vogliamo definire, insomma, che riguarda molto spesso i diritti delle donne.

In questo caso è necessario fare anche questo. Il teatro ha tante funzioni. Lo spettacolo dal vivo è capace di emozionare, farci conoscere cose, di farci apprendere e farci ragionare. In questo caso spero che sia un messaggio di ragionamento ulteriore rispetto a quella che è la situazione. Io sono a favore di tutto questo, non c’è bisogno neanche che lo dica perché è chiaro, quindi spero che possa essere utilizzato anche in questo senso.

Cosa manca oggi, per comprendere che l’amore non fa differenza di sesso, di religione, di stato sociale?

Silvia: Manca l’amore. Sembra una provocazione, ma è vero, manca l’empatia, la capacità di mettersi nei panni dell’altro, perché si possa avere una vera parità.

Qual è l’augurio che fai allo spettacolo e alle persone che vivono un amore come quello di Elisa e Marcela?

Marianella: L’augurio che faccio è quello di poter mettere in atto quella che è una piccola rivoluzione nel rispetto della propria natura. Quindi essere liberi di amare la persona che vogliamo, amare, crearci una famiglia piuttosto che una vita insieme. Quindi mi auguro fortemente che tutti quelli che non sono liberi di amare, perché ci sono disagi rispetto a questo argomento, riescano ad amare. Spero veramente che piano piano, nell’epoca di oggi, possa essere tutto più facile da raggiungere.

Grazie per essere state con noi!

Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

Leggi anche