Binari racconta il declino cognitivo
In scena due donne, la fragilità umana e le sfide esistenziali
Sabato 20 alle 21.00 presso il Centro Culturale Artemia, diretto da Maria Paola Canepa, per la rassegna InCorti da Artemia il quarto corto in scena sarà Binari scritto da Matteo Tibiletti, diretto dallo stesso Tibiletti ed Emanuela Legno che sarà sul palco insieme a Silvia Codo. Lo spettacolo della Compagnia Il volto di velluto, narra l’incontro in una stazione ferroviaria tra due donne, Adele e Rebecca.
Salve. Perché vi siete iscritti a InCorti da Artemia?
Buongiorno e grazie per la possibilità di dialogo proposta con questa intervista!
Abbiamo già partecipato ad un’altra edizione del festival qualche anno fa e abbiamo apprezzato le capacità organizzative e la molteplicità di spunti di riflessione dei diversi spettacoli, utili per il nostro lavoro. Inoltre, riteniamo che la forma del corto teatrale, specialmente se prevede un numero esiguo di attori, funzioni molto bene in spazi raccolti, in termini di ascolto e compartecipazione.
Cosa vi aspettate dal festival?
Speriamo, come è già successo, di poter raccogliere osservazioni, critiche costruttive, riscontro; ma, soprattutto, di cogliere occasioni di confronto con gli altri corti in concorso, al fine di migliorare il nostro lavoro per il futuro.
Parliamo del vostro corto. Tema dello stesso è il declino cognitivo che impatta con forza sui ricordi e le relazioni personali, come avete affrontato l’argomento? Chi o cosa vi ha ispirati?
L’argomento è stato affrontato con grande attenzione, data la delicatezza dello stesso. Al fascino della memoria, del ricordo, punti fermi di tutte le nostre vite, si unisce la paura di perderli, di non essere più in grado di trattenere ciò che ci ha attraversato e ci ha, quindi, forgiato.
La memoria è un dono, ci permette di ripercorrere i nostri errori e le nostre scelte e il timore che possa scivolare via ferisce. E incuriosisce. La scelta della stazione come cornice di questo lavoro è legata alla percezione di questo luogo: il tempo è fermo, si attende, si spera, si riflette, si vuole partire o tornare.
Adele e Rebecca, le due protagoniste, chi sono e cosa rappresentano?
Le due protagoniste sono gli opposti di un medesimo volto: la fragilità mentale di Adele impone a Rebecca l’impegno, per quanto faticoso, di trovare la forza per riordinare il caos. Il tentativo di Rebecca è quello di ricomporre frammenti della memoria di Adele.
Avete mai pensato a voi stessi nelle stesse situazioni? Quale soluzione si potrebbe prendere?
È molto difficile immedesimarsi nel personaggio di Adele. Alcuni di noi hanno avuto esperienze familiari affini e l’apporto di questi ricordi ha aiutato molto nella realizzazione del nostro lavoro. Studiare il personaggio di Rebecca ci ha permesso di riflettere sulla possibilità di aiutare una persona in difficoltà, sull’importanza di sentirsi utili, senza invadere troppo la sfera personale, con l’intento di lasciarne intatta la dignità.
Con la pandemia si è tanto parlato di resilienza, cosa potrebbe accomunare questa al declino cognitivo e cosa no?
La resilienza è un tratto umano indiscutibilmente straordinario: la vita, strettamente intesa, è solo sopravvivenza, legata a bisogni primari e, addirittura, involontari, come respirare; l’esperienza, invece, è ciò che la riempie, la caratterizza. Le vicende che ci attraversano, le persone che conosciamo, che amiamo o no, gli eventi che ci mettono in difficoltà ci formano, ci cambiano.
Esperienze drammatiche, come quelle legate alla pandemia, ci hanno costretti a tornare in ascolto, a rivalutare il senso del tempo, dello spazio, a riconsiderare la nostra personale gerarchia di priorità.
Grazie e in bocca al lupo!
Grazie a voi! Siamo emozionati e impazienti di salire sul vostro palco! A presto!
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