Daniele Marcori ci parla di Improcomics

Un nuovo modo di fare spettacolo, improvvisazione, musica, fumetto per lavorare con bambini e ragazzi

Improcomics spettacolo di disegni viventi è un insieme di arti che coinvolgono attivamente gli spettatori, in questo caso bambini e ragazzi che assistono alla rappresentazione. Un nuovo modo di fare spettacolo che si trasforma in un’esperienza laboratoriale da fare con i ragazzi, sempre più immersi nella vita virtuale ma pronti a mettersi in gioco attraverso il teatro. Improvvisazione, musica, fumetto, tutto gestito dalla cooperazione scenica di attori, musicisti e disegnatori che improvvisano facendosi ispirare dalle idee degli spettatori. Martedì 9 maggio, presso il Teatro Trastevere di Roma, alle ore 17.30, sarà possibile partecipare alla rappresentazione di Improcomics, ad ingresso gratuito. Per conoscere ancora di più questo spettacolo, ho deciso di parlarne con l’ideatore, nonché regista Daniele Marcori che ringrazio per essere qui a rispondere alle tante curiosità che scaturiscono da un lavoro del genere.

Come nasce Improcomics?

Rimasi molto colpito quando nel 1993 vidi per la prima volta uno spettacolo intitolato La forza di Willy, dove degli improvvisatori miei colleghi, diretti da Mila Moretti, mettevano in scena delle piccole storie mentre un disegnatore Al Valenti con il suo pennarello realizzava delle vignette attinenti alle storie. Successivamente altre compagnie provarono a mettere in scena contaminazioni fra disegno e teatro, sempre utilizzando l’improvvisazione.

Lo scorso anno mi è stata affidata la regia di un altro esperimento del genere. E per la prima volta mi sono dovuto cimentare oltre che nel ruolo di regista, anche in quello di autore poiché dovevo partire pressoché da zero. Mi sono messo a studiare e a recuperare quelle esperienze passate ed è uscito Improcomics, un metodo che amplia la ricerca inserendo anche l’improvvisazione musicale. Ho pensato che gli sforzi per creare una didattica, un set di strumenti, un nuovo linguaggio narrativo, non potevano rimanere legati solo a una finalità performativa per adulti.

Scoprivo a mano a mano che si aprivano mondi talmente vasti che solo un bambino può accogliere in modo diretto, senza sovrastrutture, senza preoccuparsi se ciò che si fa sia giudicato bene dagli altri. Allora ho chiesto aiuto a una pedagogista, Raffaella Ceres, per trovare una sinergia efficace che potesse far lavorare insieme piccoli e grandi.

L’idea di unire improvvisazione teatrale, musica, fumetti, come si sposa con la didattica?

Per tutte queste 3 arti esistono da sempre scuole dove si può imparare a diventare improvvisatori/attori, musicisti e disegnatori. Sempre di più sto riscontrando che tutte le materie, anche quelle più lontane fra loro, hanno tanti argomenti che sembrano essere governati dalle stesse regole, dagli stessi principi: Matematica, Teatro, Fisica, Medicina, ecc. alla fine vanno verso un unico centro e osservarne tre contemporaneamente ti fa sentire piccolissimo. Tre universi prendono forma scorrendo davanti ai tuoi occhi e tu riesci solo a coglierne qualche scia, qualche frammento. Hai un retino con grandi buchi e ti affanni ad acchiappare tutte le cose che succedono. Appena le cogli le metti subito su carta per fissarle e farne strumenti, ma, come i sogni, già nel momento in cui li ricordi o li ripeti, perdono tanti piccoli pezzetti e quel che ti rimane non sai più se è come l’originale o la tua mente lo ha già “accomodato”.

All’interno dello spettacolo c’è anche un fondale dove vengono proiettati i disegni dei fumettisti. La tecnologia all’interno del teatro, come vede questo inserimento?

Nei primi spettacoli si usava un cartoncino bianco formato A0 su una lavagna a fogli mobili. Poi si è passati a lavagne luminose che proiettavano sul muro. Da quando sono disponibili le tavolette grafiche, tablet o penne ottiche, la tecnologia ha indubbiamente facilitato il compito, soprattutto per quanto riguarda la fruibilità da parte del pubblico che, grazie al connubio tavoletta/videoproiettore/schermo riesce a vedere i disegni da qualunque distanza e angolazione.

Lo stesso discorso si potrebbe fare con la tecnologia all’interno dei laboratori per i ragazzi, quali sinergia tra virtuale e reale?

Il bambino prima di passare al virtuale vive esperienze con materiali reali, concreti. Ne percepisce le sensazioni e ne trae insegnamenti, emozioni, riflessioni. Dopo di che applica quanto imparato all’interno di un sistema digitale. Questa sequenza garantisce a tutti i partecipanti di partire da un’esperienza reale. Quando tu conosci cosa capita quando fai un’esperienza reale, poi quando passi al virtuale, tutto, per quanto giocoso e sbalorditivo, suona comunque “meno vero” e quindi meno coinvolgente.

Da qualche anno l’improvvisazione ha preso piede anche in Italia e spopola perché, per improvvisare, oltre ad aver studiato tanto, ad essersi esercitati tanto, bisogna avere anche una vena ironica, divertente e creativa. I fumetti non sono più visti come il libricino o giornalino per i più piccoli, ma sono seguiti con piacere da adulti e non. La musica, beh, quella è un retaggio ormai intrinseco con la nostra crescita. Sono tre arti importanti, ma che vengono tenute ancora fuori dal mondo scolastico. Cosa e come cambiare ciò?

Questa anomalia è, come in tante altre dimostrazioni di arretratezza, un fenomeno tutto italiano. L’improvvisazione in senso ampio fa parte in modo organico di qualsiasi scuola di qualsiasi livello in Europa, in nord America e in tanti altri paesi. Qui da noi ancora si guarda all’arte come un hobby, un giochino, una perdita di tempo. In Italia o sei famoso e allora diventi un mito, un essere divino oppure sei uno scansafatiche, uno che non ha voglia di lavorare. In altri paesi fare l’attore, il musicista, il fumettista è un lavoro come tanti altri. Come fare l’impiegato. A nessun impiegato si chiede di diventare famoso per essere riconosciuto come persona dabbene. I bancari sono stimati anche senza diventare Mario Draghi.

A un elettricista, a un geometra, a un architetto non si chiederebbe mai di lavorare gratis. Un attore, un organizzatore di eventi teatrali, un operatore nel mondo dello spettacolo si trova spesso a ricevere offerte da parte di comuni, enti, aziende, per lavorare a costo zero, in cambio della fatidica “vetrina”. Il punto è che tutti possono fare l’attore, il regista, il musicista e la categoria è talmente sovraffollata di pseudo artisti che si offrono a costo zero, tanto per loro è un hobby e quindi il compenso non è vitale.

A volte ho pensato seriamente di fare l’avvocato o l’architetto per hobby per vedere se qualcuno mi farebbe lavorare a costo zero.

C’è sinergia tra le arti, ma anche tanta collaborazione con gli spettatori che diventano artefici di una creazione collettiva. Come vivono i bambini, i ragazzi, questi momenti particolari di condivisione?

Per loro, ma anche per gli adulti, riconoscere i propri disegni sullo schermo è un momento di gratificazione incredibile. Essere scelti già significa vincere e poi c’è l’aspetto che quella storia deve la sua originalità proprio a chi ha fatto quel disegno; in un certo senso è sua.

Dall’altra parte ci sono attori, musicisti, disegnatori, intrattenitori; come vivete voi questi momenti?

Con enorme divertimento e soddisfazione. Siamo tutti insegnanti oltre che artisti e l’interazione con il pubblico è parte fondamentale dello scambio energetico fra chi è sul palco e chi in platea. Un meccanismo virtuoso che avvicina, ci fa sentire una cosa sola, un gruppo di persone che si trovano a fare la stessa cosa.

Un pubblico fatto di giovani e giovanissimi, che difficilmente si avvicinano al teatro, luogo di dialogo e conoscenza. Ma in realtà, com’è questo pubblico? Si lascia coinvolgere?

È una costante in tutti gli spettacoli di improvvisazione, quella di lasciarsi coinvolgere. Il pubblico non vede l’ora di essere tirato dentro, chi più chi meno, per essere ago della bilancia, elemento significativo della serata, per verificare quanto e come gli improvvisatori siano realmente degli improvvisatori. Come a uno spettacolo di magia, anche il più scettico degli spettatori si attiva per accendere l’evento.

Alla fine della performance, cosa recepite dal pubblico e cosa il pubblico porta a casa con sé?

Gli applausi e le dimostrazioni di gratitudine che riceviamo alla fine e nel dopo spettacolo sono sempre la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che il teatro di improvvisazione tiene viva l’attenzione e stimola lo spettatore a partecipare. Niente è “recitato”, niente è ripetizione di uno schema già visto e rivisto. L’elemento imprevedibile accompagna lo spettacolo e lo rende unico e irripetibile. Il pubblico si porta a casa un pezzo originale che nessun altro potrà avere.

Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

Leggi anche