I say I: identità femminili
Remember the first time you saw your name la luminaria realizzata per la maison Dior
Inaugurata la scorsa settimana, la mostra I say I alla Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma, raggruppa le opere di oltre 40 artiste che in modo multiforme e personale hanno raccontato e raccontano la loro identità e il loro immaginario, ridiscutendo i propri ruoli.
La cifra comune alle ricerche è naturalmente la partenza da sé stesse, incipit e misura per comprendere il mondo e l’altro: simbolica e teatrale, la prima opera che accoglie maestosamente è l’installazione luminosa di Marinella Senatore Remember the first time you saw your name, emblema di chiaro rimando identitario, una luminaria realizzata in occasione della collaborazione con la maison Dior nell’estate 2020.
Il percorso prosegue tra dipinti, sculture, video arte, spaziando da Carol Rama, Paola Pivi, Anna Raimondo, Daniela Comani, arrivando al materiale dell’archivio Carla Lonzi, dai cui scritti è liberamente tratto il titolo della mostra stessa. Storica dell’arte lungimirante, sostenitrice dei giovani talenti che segnarono il corso della storia dell’arte italiana e internazionale, Carla Lonzi si occupò di arte in modo nuovo: erano gli anni 60 e il suo sguardo critico si discostava dall’interpretazione strumentale allora in atto, per farsi portavoce di un modo più diretto di rapportarsi con il fatto artistico, attingendo anche alla conoscenza del vissuto personale dell’artista per meglio comprenderne il processo creativo ed eliminare il filtro di una discutibile azione interpretativa.
Il riassunto di questo nuovo atteggiamento trova il suo culmine nella pubblicazione nel 1969 di Autoritratto, una raccolta di conversazioni con diversi artisti, molto più personale ed umana, a cui fa seguito l’abbandono del mondo dell’arte da parte della Lonzi, ambiente a predominanza maschile, per un’attiva partecipazione alla lotta femminista.
Una mostra che parla dei passi avanti fatti nell’arte, nell’espressività femminile e infine nella critica d’arte, di quel modo di porre il discorso artistico e critico fatto dalle donne, diverso ed incisivo al pari di quello maschile, senza il favoritismo da secoli accordato allo stesso.
Possiamo definirla una mostra storica intendendo che quel di cui si parla è cosa superata? O forse è una generosa quota rosa nella programmazione espositiva del museo? In questo caso, è allora segno che il problema è vivo e sentito? Scavare alla radice può portare a diverse interpretazioni significative, ma sulla scia dello spirito di Carla Lonzi dunque senza dare un’interpretazione che potrebbe sviare, vale la pena visitare la mostra se non altro per godere delle tante opere presentate, molte delle quali attualissime e generose concessioni di gallerie internazionali e collezioni private.
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