Il crimine si giustifica

Alessandro Canale racconta Razza Canara

Razza Canara è lo spettacolo che andrà in scena al Teatro Trastevere di Roma dal 16 al 19 marzo 2023. Scritto da Alessandro Canale, diretto da Emanuele Cecconi e Valerio Palozza, vedrà in scena Silvia Augusti, Alessandro Capone, Emanuele Cecconi, Federico Mastroianni, Valerio Palozza. Lo spettacolo ambientato a Roma, città che ha visto, ma vede ancora oggi molti delitti, racconta cinque storie efferate. Il crimine che cerca di giustificare i propri delitti cercando di trovare delle scusanti e portando la pubblica opinione, in questo caso il pubblico in sala, dalla propria parte. Sono queste le premesse che fanno da sfondo a Razza Canara, di cui abbiamo incontrato l’autore e a cui diamo il benvenuto sulle nostre pagine.

Razza Canara è uno spettacolo che prende ispirazione da un fatto di cronaca, cosa la colpì in particolare?

Più che l’omicidio efferato al centro del fattaccio, che ha impressionato chiunque, quello che mi colpì in modo particolare fu la mia stessa reazione ai racconti, riportati dalla stampa, fatti dal Canaro riguardo al contesto e alle ragioni di quel crimine. La sua affabulazione sottomessa e compassionevole fu così coinvolgente da farmene non solo comprendere le motivazioni, ma lo confesso, a farmele persino condividere. E ritrovarsi in sintonia con un assassino del genere, è stata una sensazione così poco gratificante da spingermi ad entrare più a fondo nell’argomento e metterlo alla prova con i lettori del libro prima, e ora con gli spettatori.

Dalla cronaca alla realizzazione di uno spettacolo teatrale, questo progetto per crescere di cosa ha avuto bisogno?

Di alzare lo sguardo da quel singolo fatto criminale, che avrebbe rassicurato il pubblico facendolo considerare come un semplice episodio di cronaca nera, per puntare il dito su un male oscuro molto più esteso e diffuso. E descrivere una genìa vera e propria, latente nella nostra società e meno episodica di quanto ci si possa augurare. Menti deviate che se ne fregano dell’etica socialmente condivisa e seguono con cieca dedizione una morale personale, all’altra magari opposta. È l’attitudine di una razza umana appunto, la razza canara come l’ho identificata, che esiste e vive a fianco a noi. E forse, ahimè, anche dentro.

La sua è una sfida al pubblico, cinque storie crudeli che raccontate dagli attori, dovrebbero creare empatia con il pubblico stesso: accade ciò? E in che percentuale?

Non avendo mai incaricato un istituto di ricerche di valutare l’effetto sulla psiche dei lettori del libro e degli spettatori del lavoro teatrale, non sono in grado di presentare risultati scientifici inoppugnabili, ma da recensioni o reazioni colte qua e là, ho riscontrato un’amara empatia. Del resto, i personaggi nella loro esagerazione popolare assumono quasi i tratti di maschere della commedia dell’arte. E seppur negativi, grazie alla loro logorrea risultano simpatici e coinvolgenti.

Nello spettacolo i personaggi mostrano disinteresse per le regole della collettività, un po’ una caratteristica di questo periodo: come ha delineato i personaggi?

Non ho voluto fare una distinzione sociale. La Razza Canara non è definita da questioni di censo o di cultura. Per questo andiamo dal sottoproletariato all’alta borghesia. Il disinteresse di cui lei parla giustamente, è trasversale.

La scelta degli attori, invece, com’è avvenuta?

La scelta degli attori non è stata effettuata da me. Se lo spettacolo vive è solo ed esclusivamente per merito della compagnia. Che, pur allestendo spettacoli di ben altro livello drammaturgico, tipo Harold Pinter, ha voluto cimentarsi in un tipo di teatro completamente diverso. Volgare, popolaresco, sguaiato. Ma mantenendo sempre il rigore filologico per loro imprescindibile. Gli attori quindi si sono immersi totalmente in questi panni sanguinolenti e parossistici, dando corpo e anima a personaggi che per me erano solo figure. Io ho dato due dimensioni, gli attori, la terza, più profonda.

Per portare le persone dalla propria parte, bisogna essere bravi comunicatori: i “cattivi” del suo spettacolo lo sono?

Ritengo che lo siano, come a suo tempo è stato il Canaro. Non sono dei semplici informatori, ma cercano sempre nel loro racconto accenti, chiavi, trucchetti emozionali, in grado di colpire i recettori di chi hanno di fronte. Prevedendone le reazioni inconsce per portarli al loro volere. E questo tener conto delle capacità elaborative e attive del pensiero altrui, non considerandolo un succube recettore passivo, è ciò che distingue il comunicatore dall’informatore dei propri voleri su un balcone a Piazza Venezia.

In un’analisi della personalità umana, analizzando le persone, si nota che non ci sono persone cattive o buone, ma persone che fanno azioni cattive o buone, cosa pensa di questa affermazione?

Al netto della mia incompetenza a parlare con cognizione di causa di questo tema, da uomo della strada mi vedo d’accordo. Non penso che esistano forme dell’elica del Dna propedeutiche alla bontà o alla cattiveria. Credo invece che l’uomo reagisca a quello che gli accade. E la sua reazione, buona o cattiva che sia, nasce dalle esperienze che ha vissuto, dall’educazione che ha ricevuto, dal contesto sociale in cui è cresciuto, dagli esempi che lo hanno colpito. Un meccanicismo comportamentale da bancarella, lo so e me ne scuso.

E lei, invece, cosa si aspetta dallo spettacolo e dagli spettatori?

Dagli spettatori non mi permetto di aspettare niente, ma per loro spero invece una cosa. Che all’uscita dallo spettacolo, non pensino di aver sprecato il loro prezioso tempo in qualcosa di inutile, o peggio, sgradevole. Se sentiranno di aver trascorso un’ora in modo piacevole e interessante, avrò raggiunto l’obiettivo per cui scrivo teatro.

Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

Leggi anche