Il difficile compito di restare umano ne Il Ritorno

Irene Muscarà porta in scena un testo tratto da Tutto scorre…

Al Teatro Argot di Roma, fuori stagione, è andato in scena Il ritorno, drammaturgia, regia e interpretazione di Irene Muscarà, liberamente tratto da Tutto scorre… di Vasilij Grossman. Il testo, come racconta la stessa autrice, è nato nel periodo della pandemia, mentre, chiusa in casa, leggeva il libro di Grossman.

Il protagonista della storia è Ivan, un uomo che ha trascorso tre decenni nei lager siberiani e viene liberato all’indomani della morte di Stalin, il 5 marzo del 1953. Vissuto per tutti quegli anni in un luogo freddo, inospitale, costretto a lavorare e privato di ogni cosa, solo perché all’università aveva osato parlare di libertà, si ritrova a confrontarsi con un mondo con cui non ha rapporti da decenni.

La sua visione dello stesso è rimasta a quello che aveva vissuto prima di essere costretto a vivere nella lontana Siberia, e, ritrovata la libertà, mentre rincontra il cugino Nicolaj, ormai divenuto figura di spicco dell’Università e sua moglie Maria, si chiede cosa ne è stato del mondo e cosa degli uomini, ma anche delle donne, che sono stati condannati a vivere nei lager.

Mentre attraversa il mondo, le vie, le piazze delle città che lo hanno visto crescere in passato, riflette sulla situazione dell’umanità, sulla capacità di restare umano nonostante gli anni di prigionia, dove i carcerieri hanno provato a togliere ad ogni prigioniero l’umanità, trattandoli come oggetti di loro proprietà. E il racconto della donna, prigioniera nel settore femminile, costretta a subire le violenze del comandante del campo, per poi essere rispedita insieme alle altre che non avevano alcun privilegio, trasmette al pubblico quel senso di abbandono che si prova in situazioni simili.

Irene Muscarà interpreta tutti i personaggi del racconto con determinazione maggiore, quando si ritrova a dover rappresentare quelli maschili. È raro vedere una donna riuscire ad indossare con tale impegno e capacità, i panni di personaggi opposti al proprio sesso. In generale si nota il contrario, ma la Muscarà, restituisce un uomo, Ivan, deciso a continuare la propria vita anche dopo anni di privazioni e ad accompagnarlo a personaggi, maschili e femminili, che a volte quasi lo deridono ed altre lo aiutano.

Ne esce una visione del mondo in cui, ogni persona, arrivata ad un certo punto del proprio vissuto, si ritrova a fare i conti con la propria vita e a scegliere se cambiare o continuare su quella strada, accettando ciò che ha vissuto ed allontanando l’odio. Questo è ciò che fa emergere il testo di Grossman che qui viene riportato con forza nell’interpretazione della Muscarà.

Il suo abbigliamento, del tutto in nero, porta sul palco la povertà del periodo russo in cui vengono raccontati i fatti, ma anche il tormento, la paura, la disperazione che accompagnano Ivan, circondato da un mondo che non riconosce e la sua famiglia che prova ad accoglierlo a modo suo, per poi essere scalfito dal pezzo di stoffa sul braccio, nel momento in cui il protagonista incontra quello che potrebbe essere il suo nuovo amore.

Si apprezza la facilità con cui Irene Muscarà entra ed esce dai suoi personaggi che si scambiano battute continue, o recitano monologhi molto più lunghi. Anche la sua presenza scenica resta attenta alla narrazione, come lo è il cambio di scena, accompagnato da una tenue luce. L’attrice riesce a dominare il palco, riuscendo a gestirlo con facilità, ed utilizzandolo del tutto. Unico oggetto scenico uno sgabello, anch’esso utilizzato, che sembra occasione per far riprendere fiato al pubblico dopo la narrazione animata di Ivan.

Lo spettacolo presenta alcuni punti da migliorare, ma si apprezza l’interpretazione, in particolare per, come detto in precedenza, quella maschile da parte di un’attrice, raramente visibile, in particolare, per personaggi principali di uno spettacolo.

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Sissi Corrado

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