Il giorno del ricordo: tra storia e memoria

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Genocidio nazifascista e foibe, l’orrore della seconda guerra mondiale

Pochi giorni separano uno dall’altro due eventi memoriali che ricordano fatti avvenuti in tempi ormai lontani, di cui rimane memoria viva in poche persone. Parliamo del 27 gennaio, il “Giorno della memoriadei genocidi nazifascisti, che non è solo la Shoah ebraica ma l’annientamento, scientifico e tecnologico, di chi per la razza superiore ariana non era ritenuto “puro” e il 10 febbraio il “Giorno del ricordo” della tragedia umana avvenuta nel confine orientale d’Italia (meglio conosciuto come Alto Adriatico) che vede nelle foibe un episodio, esecrabile, come è esecrabile la Guerra, fra i tanti di un periodo che dovrebbe essere ricordato per i guasti prodotti dal nazionalismo, dal fascismo, da una guerra da cui l’Italia uscì sconfitta e ne pagò dure conseguenze.

Con il Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 all’Italia fascista, insieme alla Germania nazista e al Giappone, venne attribuita la responsabilità della guerra di aggressione alle nazioni alleate.

Il 10 febbraio venne individuato dalla Legge 30 marzo 2004 n. 92 come il giorno per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

Già da questa formulazione si evince la natura politica della legge, dando la precedenza a quanto accadde nelle foibe, rispetto al più ampio dispiegarsi dei fatti bellici che coinvolsero non solo i territori italiani, ma anche parte dei territori jugoslavi di confine (il riferimento alla complessità della vicenda del confine orientale).

Fin dalla sua istituzione c’è stato il tentativo di trasformare questo giorno da memoriale nazionale a memoriale fascista. Due film stanno simbolicamente a rappresentare questa trasformazione: il primo “Il cuore nel pozzo” del 2005 e il secondo “Rosso Istria” del 2019. Un tentativo di trasformare i carnefici in vittime, vittime dei “rossi” partigiani titini.

Ogni anno la destra, che nel corso degli anni si è appropriata di questo giorno, sfruttando una certa “timidezza” della sinistra (per motivi geopolitici, diplomatici, di alleanze internazionali) nell’affrontare gli avvenimenti accaduti nell’Alto Adriatico, fa passare il messaggio che ciò che accadde in quei territori fu un’operazione di “pulizia etnica” rivolta agli uomini e donne in quanto italiani.

Ma è solo una parte, di parte, del problema. Quegli italiani non furono uccisi perché italiani, ma perché fascisti e spie. Dentro come in tutte le guerre (oggi li chiamiamo “danni collaterali“) ci finirono partigiani italiani e jugoslavi, ma anche uomini e donne qualunque, innocenti che con la guerra, perché di guerra si trattava, non c’entravano nulla. Purtroppo in un clima di violenza, la violenza non sceglie. Se non ci fosse stata la guerra voluta dal fascismo e poi persa non ci sarebbero state le “foibe”, le esecuzioni sommarie, gli stupri e perché no, anche le vendette private. Accade in ogni guerra, anche in quelle contemporanee.

Sentirsi definire “negazionisti’ o di voler diminuire le responsabilità è un falso che ogni anno di questi tempi le destre sia quelle moderate che estreme (da quelle “parlamentari” fino ai gruppi neofascisti e neonazisti) mettono in campo per nascondere i comportamenti criminali dei fascisti italiani e slavi. Chi iniziò parlando di “bonifica etnica”? Furono i fascisti per annientare le minoranze slovene e croate e “italianizzare” i territori.

Un annientamento di cui il nazifascismo fu maestro, adottando, per la prima volta nella storia, metodi scientifici e tecnologici (i lager, l’uso dei forni, il supporto medico).

L’avvio dei massacri fascisti e la risposta degli slavi, prende avvio da un testo, la cosiddetta “Circolare 3C”, emanata il 1o marzo 1942, a firma del generale Mario Roatta, su diretta disposizione di Benito Mussolini, per regolare «i rapporti tra le autorità militari e quelle civili in materia di sicurezza e ordine pubblico» nei territori occupati in Jugoslavia.

La premessa dà subito il tono della Circolare: il «trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula “dente per dente”, bensì da quella “testa per dente!”».

La Circolare detta le regole “repressive” di comportamento da tenere nei territori occupati:  

viene fatta cadere la distinzione tra partigiano combattente e civile. I civili catturati in zona di operazioni sono automaticamente sospettati, senza un regolare processo, di solidarizzare con la resistenza jugoslava e quindi andavano giustiziati, al pari dei partigiani catturati. La logica è quella del “qui non si fanno prigionieri”.

È stata la stessa politica che i nazisti operavano in Italia: per colpire i partigiani si coinvolgeva nella responsabilità la popolazione civile attraverso il terrore, con rappresaglie, deportazioni, confische, torture, esecuzioni sommarie.

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Fu un periodo attraversato non solo da azioni militari, i partigiani sia italiani che jugoslavi erano a tutti gli effetti riconosciuti come combattenti dagli eserciti alleati, ma anche da vendette private. È stata necessaria l’opera di Claudio Pavone perché accanto alla “guerra di liberazione” si affiancasse anche “una guerra civile” e una “guerra di classe”, dentro la congerie di eventi che vedevano i paesi occidentali contrapporsi ideologicamente a quelli orientali dove si stavano instaurando regimi comunisti, come avvenne in quegli anni in Jugoslavia per opera del maresciallo Tito.

Le vittime da entrambi le parti furono tante: ma, ricordiamolo, queste sono le conseguenze di ogni guerra, una guerra che non dobbiamo mai dimenticare la dichiarò il nazismo, con l’invasione della Polonia il 1 settembre 1939, a cui il fascismo italiano si accodò solo nove mesi dopo, il 10 giugno 1940. Una guerra da cui il nazismo e il fascismo uscirono pesantemente sconfitti e che il trattato di Parigi, firmato il 10 febbraio 1947, il giorno che poi fu dedicato al “ricordo” (?), impose all’Italia dure condizioni tra territori da restituire e risarcimento di danni bellici.

E come in tutte le guerre, anche quelle più tecnologiche ed asettiche (come oggi in Siria, Iraq) ci sono vittime innocenti che oggi chiamiamo “danni collaterali”. E poi ricordiamoci che in tutte le guerre, comprese quelle rivoluzionarie, come ci ricorda Mao Tse Tung “La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia o cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza” (cit. Mao, “Scritti Militari”). A cui io aggiungerei anche la guerra.

Sulle giornate del Ricordo, come in tutte le giornate memoriali, si rischia di fare troppa retorica e poca storia. Trovo che purtroppo fino a quando useremo la storia per difendere posizioni ideologiche (uso pubblico della storia) faremo un torto alla storia e agli uomini e alle donne che di quelle vicende storiche ne sono i protagonisti, finendo per usare la storia da parte dei media e soprattutto dei politici per fini di parte, con una manipolazione inevitabile.

Le vicende storiche delle foibe, come i campi di sterminio, come lo stupro come arma di guerra, appartengono, purtroppo, all’uomo fin dai tempi di Caino e Abele (dov’è mio fratello?).

Fermo restando la nostra solidarietà a chi è stato vittima, dobbiamo andare oltre le ragioni degli uni e degli altri e leggere la storia con gli occhi dello storico (non per definire chi ha ragione e chi ha torto) ma per indagare i fatti sulla base di fonti e documenti, collocando quegli eventi all’interno di una storia che è complessa e non risolvibile solo dentro un evento: prima delle foibe ci fu il periodo nazifascista con la sua politica di espansione e di guerra a cui si contrapponeva un campo comunista ad est e liberal-democratico ad ovest e, come sempre in ogni guerra, a farne le spese è quel “popolo cojone” come lo definisce Trilussa nella sua celebre poesia della “Ninna nanna della guerra”. Un popolo che oggi non può essere più italiano, francese, o altro, ma semplicemente europeo.

Restano poi, e sono importanti, i ricordi personali, una storia orale che purtroppo si sta perdendo, per il venire meno dei testimoni oculari. Ma la storia non si può cancellare. La storia è ovunque c’è puzza di umano come diceva Marc Bloch, e solo se ripartiamo, non dalle ragioni degli uni e degli altri, ma da una lettura con metodo storico su quello che avvenne nel primo novecento (si legga Marc Bloch, Apologia della Storia) solo allora possiamo guardare a un futuro non vissuto su contrapposizioni che oggi non dovrebbero avere più senso.

Ogni anno ormai sulla Shoah e sulle foibe assistiamo a uno scontro ideologico simile a una partita di calcio con le sue “ignobili” tifoserie (a tot morti ti rispondo con tot morti più uno).

Su queste tragedie della storia purtroppo troppi “sciacalli” sono pronti a dilaniare le vesti dell’umana pietà in nome di ideologie alcune superate ormai dagli eventi successivi (il 1989) e altre condannate dalla storia quando non anche dai tribunali (la Costituzione Italiana e il processo di Norimberga).

Fermo restando che la storia non è come le “vacche nere nella notte nera” di Hegel dove tutto è indistinto, i contorni si perdono, tutto sembra uguale (nazifascismo e comunismo, democrazia e dittatura, lager sovietici e campi di sterminio nazifascisti, chi lottava per la libertà e chi quella libertà offendeva) è importante che noi genitori, educatori, politici si guardi a quei tragici eventi del nostro novecento con la distanza “storica” che lo studio di quel periodo oggi consente (libri, filmati, documenti, testimonianze dirette, fonti storiche dirette ed indirette) e che ci permettono da un lato di volgere lo sguardo al futuro e dall’altro di avviare percorsi di Riconciliazione.

Da destra si continua a richiedere una pacificazione che di fatto è avvenuta con la fine della guerra e la caduta del regime fascista, con la promulgazione di una Costituzione democratica e antifascista e con un atto unilaterale quale fu l’amnistia voluta da Togliatti nel 1946 con il governo De Gasperi, che alcuni definiscono “un colpo di spugna”. La pacificazione c’è stata. Gli eredi dei fascisti storici o meglio della loro evoluzione collaborazionista con i tedeschi, i repubblichini, sono tornati, nella veste del MSI, in Parlamento e poi con la svolta di Fiuggi nel 1993, nella veste di Alleanza Nazionale, al Governo e come tutti i buoni italiani trasformisti sono diventati anche antifascisti, antirazzisti e antimperialisti. Ed è bene tenere sempre a mente quello che scriveva Primo Levi:Se comprendere è impossibile,conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.

È ciò che si chiama dimenticare la memoria storica di cosa furono quei venti mesi di guerra partigiana che traghettarono l’Italia dalla dittatura alla libertà, dal fascismo alla democrazia.

Per molti di quella generazione fu un sogno di giustizia e di libertà, per noi che venimmo dopo quegli uomini furono i simboli di ideali alti che ci introdussero alla vita. E non potremo mai accettare che tutto venga ricondotto ad una melassa indistinta in cui vinti e vincitori, portatori di ideali inconciliabili, vengano messi sullo stesso piano in nome di una pietà umana, che se è giusto portare ad ogni uomo, non deve significare che chi combatteva per l’oppressione sia messo sullo stesso piano di chi ha sacrificato la sua vita per quello che allora si poteva definire il bene comune: libertà e democrazia.

Lo studio di quel periodo deve spingerci a camminare come popolo verso la riconciliazione, che non è memoria condivisa, ma memoria collettiva dentro cui tutti debbono riconoscersi.

Ed è importante oggi che viviamo un momento della nostra storia nazionale in cui nuovamente politiche nazionaliste e sovraniste si stanno affermando in tutta Europa. 

Sentiamo spesso richiamare la Repubblica di Weimar, quale preludio all’avvento del nazismo in Germania. Ma oggi a differenza di allora abbiamo sviluppato anticorpi democratici ben radicati nel tessuto sociale, politico e religioso ed è quindi importante che la scuola e le associazioni culturali svolgano una funzione educativa che si muova su un percorso tracciato dalla nostra Costituzione democratica e antifascista.

Il presidente della Repubblica Ciampi nel 2005 sottolineava: “Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono”.

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Roberto Papa

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. (Bertold Brecht)

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