Irene Nemirovsky: Jezabel
Jezabel la donna di Irène Némirovsky, colei che è la carnefice
Giovanni nell’Apocalisse ci parla di Iezabel “che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli”. Iezabel rappresenta il simbolo della lussuria, della superbia e del peccato contro Dio.
Jezabel porta nel nome tutto il peso di questa storia antica che ritroviamo nel romanzo scritto nel 1931, ma pubblicato in Italia da Adelphi solo nel 2007, da Irène Némirovsky, la scrittrice ebrea russa morta ad Auschwitz nel 1942.
Da questo testo l’attrice Lisa Ferlazzo Natoli, accompagnata al sax e clarinetto dal maestro Gabriele Coen, ha tratto il monologo “Jezabel” che domenica sera è stato portato in scena a Poli, piccolo Borgo adagiato sui monti Prenestini, tra Palestrina e Tivoli. Un evento teatrale, fortemente voluto dall’Amministrazione Comunale di Poli per cominciare a “riveder le stelle” dopo questi lunghi mesi di confinamento pandemico. Un pubblico numeroso e attento a seguito la pièce teatrale con vivo interesse.
Lisa, una donna sola sul palco in un abito nero, alla moda esistenzialista dell’epoca, che entra ed esce dai corpi dei vari personaggi attraverso la sua voce, racconta la storia del processo a Gladys Eysenach, una donna bellissima e fatta oggetto delle attenzioni di molti uomini, accusata dell’assassinio del suo giovane amante. Siamo nella Parigi degli anni Trenta, in un’aula di tribunale, in un “giorno d’estate freddo e scialbo“. Diverso dal clima che si respira fuori. La Parigi di Nemirovsky è quella degli anni trenta del novecento, una città in pieno fermento culturale, “les annees folles”. Una città in pieno fervore artistico ma anche di vita notturna e in quei locali, tra Montparnasse e Montmartre vediamo muoversi Gladys attorniata da artisti, avventurieri e studenti, proprio come il suo “giovane amante”. Anni in cui le donne erano l’immagine della libertà: da Tamara de Lempicka a Gertrude Stein a Coco Chanel. E come dimenticare che proprio in quegli anni Simone de Beauvoir incontra Jan Paul Sartre, dando vita ad una coppia “esistenzialista” tra l’impegno culturale e politico. Gladys di quel mondo ne è fedele interprete libera, bella, sensuale, elegante, provocante, per lei gli uomini perdono la testa.
Ma la storia di Gladys è una storia al rovescio. Non un femminicidio ma un maschicidio. Gladys non sarà la vittima, questa volta è il carnefice. Gladys non uccide il suo amante per amore, di amanti ne può avere quanti ne vuole. Gladys è ancora, nonostante l’età che passa, una donna ancora bella e desiderata. Il tempo sembra averla “sfiorata come a malincuore, con mano cauta e gentile”, quasi si fosse limitato ad accarezzarla teneramente, e le donne presenti nell’aula si sussurrano con invidia i nomi dei suoi innumerevoli amanti”. Uccide “il giovane amante” perché vuole uccidere la giovinezza che passa, quella giovinezza cantata dai poeti,
“Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza”.
Per Gladys la giovinezza è la sua ossessione e la sua vanità. Il tempo scorre ma lei vorrebbe fermarlo.
Quando Gladys fa il suo ingresso nell’aula di tribunale viene accolta dai mormorii di un pubblico eccitato, impaziente di conoscere ogni più sordido dettaglio di quello che promette di essere l’affaire più succulento di quanti il bel mondo parigino abbia visto da anni. Pensiamo a cosa sarebbe oggi il “caso Eysenach” con tutta la morbosità mediatica verso un delitto nell’alta società.
“Vi era in Gladys una tragica impossibilità di soccombere. Gli altri vedevano in lei solo una donna senza età, come tutte quelle che a Parigi hanno superato la quarantina… appariva bella di una bellezza fragile, inquieta e patetica, e all’alba, sulla soglia del locale, sembrava una vecchia in maschera, come le altre… di tutti i suoi sforzi, di tutte le sue fatiche, di tante lotte, tante angosce e tanti trionfi non restava che la domanda indifferente posta da un giovanotto a un altro mentre metteva in moto l’automobile: “Gladys Eysenach?… È ancora bella… Dici che ci sta?”.
Gladys cerca l’amore, ma nello stesso tempo lo teme, e allora lo ricerca nei rapporti mercenari.
Come accadrà qualche anno dopo con Michelle e Julian in “American Gigolo”. La donna, le donne, cercano nel corpo di giovani uomini non solo lo strumento del piacere, ma la rappresentazione della loro vanità. Cambiano le epoche ma le relazioni uomo-donna sono sempre più spesso vittima dell’individualismo prima ancora del proprio narcisismo. È purtroppo la società dell’effimero non fa altro che aggravare l’importanza dell’apparire sull’essere. E nel processo l’accusa ci restituisce una Gladys per quella che realmente è:
“Non è stata invece questa donna, forte della sua bellezza, della sua ricchezza, del suo prestigio mondano, questa donna che vedete davanti a voi, signori giurati, ad attirare il giovane nella sua rete per corromperlo prima di ucciderlo? Queste cortigiane del gran mondo possono essere più pericolose delle altre perché sono più belle e più raffinate! Smascheriamo l’ipocrisia che consiste nell’esaltare queste etere eleganti e nel riservare tutto il nostro disprezzo alle umili praticanti dell’amore venale! Quelle di cui parlo, le varie Gladys Eysenach, vogliono l’anima dei loro amanti, e la vita!”.
Donne come Gladys “vogliono l’anima dei loro amanti” perché per loro il tempo che passa è l’ossessione per la giovinezza che se ne va. Vorrebbero fermare il tempo nella loro immutabile bellezza. Le donne di oggi fermano il tempo sul corpo attraverso al chirurgia estetica, ma non possono fermare la loro inquietudine e come Gladys vorrebbero vivere quell’eterna giovinezza in un disperato bisogno di sentirsi amate e desiderate. Gladys è una donna sola, dentro quella gabbia in cui altri uomini la stanno giudicando, abbandonata dai falsi amici, la vediamo con il volto “improvvisamente tragico, senza età: i lineamenti erano immobili, la vita tutta rifugiata negli occhi allucinati, belli e profondi“
E noi spettatori, come giudici nel processo, vediamo Gladys, o meglio Lia, trasformarsi davanti ai nostri occhi, e siamo combattuti fra la pietà verso una donna colpevole e il fascino che quel corpo ancora emana.
Nemirovsky, e Lia nella sua interpretazione, soprattutto di Gladys e del suo corpo, ci conducono nel mondo di Gladys e sebbene sia un’assassina, rea confessa, verso di lei non possiamo che provare compassione. Gladys cade in un baratro per sua scelta: dalla Gladys ammirata, corteggiata, donna raffinata ed elegante, ora nel processo la vediamo trasfigurata in una donna che indossa una maschera dal trucco pesante, quel velo che le cinge il capo, i suoi gioielli, quasi indossati come una corazza. Vediamo una Gladys che ci fa pena, cosciente della sua inarrestabile decadenza e che la porterà a chiedere ai giudici di essere condannata perché per lei più che la condanna al carcere quello che per lei rappresenterà una condanna a morte è “una vita in cui nessuno ti ama, nessuno ti desidera, una vita spenta, gelida, una vita da vecchia, insomma, ai miei occhi è peggio della morte!”
Chi è Lisa Ferlazzo Natoli?
Esordisce alla regia con le Tre sorelle di Cechov; è regista e interprete al Roccella Jazz Festival de Il canto d’amore e di morte dell’Alfiere; a RomaPoesia di Gente dal Ponte, dedicato alla Szymborska, su musiche di Gianluca Ruggeri; scrive e dirige La casa d’argilla per Teatro Due di Parma e Il Libro delle Domande per il Festival Garofano Verde. In questi anni nasce la compagnia lacasadargilla, da cui tutti muoveranno tutti i nuovi progetti. Esordisce nella lirica con La Bella Dormente nel Bosco di Ottorino Respighi; con il Teatro Vascello e il Centro Internazionale la Cometa dirige Ascesa e rovina della città di Mahagonny e Foto di Gruppo in un interno per ZTL / RomaEuropa. Progetta e dirige, con la compagnia e con Ruggeri, per il Teatro di Roma, gli spettacoli musicali del Festival Urania. Il Napoli Teatro Festival Italia nel 2010 le commissiona una riscrittura di Ascesa e rovina della città di Mahagonny dedicata alla città di Napoli. Per il Festival Contemporanea di Segni scrive e interpreta, sempre accanto a Ruggeri, Les Adieux parole salvate dalle fiamme, intorno alla poesia russa.
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