Marco Belocchi dirige Poliphonia
Poliphonia parla della violenza delle donne sugli uomini
Riprende la stagione del Teatrosophia con un testo dai toni forti, Poliphonia, due atti unici scritti da Maria Letizia Avato con in scena Valentina Maselli, Tania Lettieri, Simone Destrero, per la regia di Marco Belocchi. In scena anche Fabio Bianchini autore ed esecutore delle musiche originali, mentre costumi ed elementi scenici sono di Maria Letizia Avato.
Lo spettacolo sarà in scena dal 18 al 21 gennaio. Per approfondirne le tematiche, ho incontrato il regista Marco Belocchi a cui do il benvenuto sulle pagine di CulturSocialArt.
Lo spettacolo Poliphonia racchiude due atti unici di Maria Letizia Avato, cosa la colpisce di questi testi?
Sono due testi che parlano di violenza psicologica, di profondità della psiche, di donne che uccidono degli uomini. Per vendetta, per violenza subita e rimossa, ma in fondo le motivazioni per arrivare a gesti estremi come l’omicidio sono sempre tanti e stratificati. Inoltre questi 2 atti unici sono stati scritti da una donna per due protagoniste femminili e io, come uomo e come artista, mi sono sentito attratto da questo punto di vista e cercare di entrarvi dentro era una sfida, una dimostrazione che i confini non ci sono, che un uomo può comprendere l’universo femminile e viceversa. Basta affrontare le cose con intelligenza, sensibilità e disponibilità.
Questi testi parlano di angoscia, come portarli in scena cercando di essere il più convincente possibile?
Lavorando sodo, cercando di approfondire con le attrici il rapporto con il loro lato oscuro, con i loro strati più profondi, cercando appunto credibilità nelle interpretazioni. Un lavoro difficile e delicato, dato che va a toccare corde che talvolta non si immagina nemmeno di possedere e che quando affiorano possono spiazzare, se non addirittura spaventare.
Dicevamo due atti unici, il primo Poliphonia e il secondo La goccia. Qual è il filo conduttore che unisce i due testi?
Come dicevo, sono gli aspetti del femminile, la loro esplosione contro una figura maschile vessatoria, dispotica che infine non può che richiamare violenza. È anche un monito verso la nostra società, sempre più in ebollizione, violenta e distruttiva, dove la sopraffazione dilaga a tutti i livelli: politico, economico, sessuale. Qualcosa sta per esplodere, non so esattamente cosa, e questo spettacolo in fondo dice: attenzione, siamo al limite, tra poco potremmo essere travolti.
In scena Valentina Maselli, Tania Lettieri e Simone Destrero. Come ha preparato i personaggi? Cosa ha chiesto agli attori per le loro interpretazioni?
Ho chiesto disponibilità a mettersi in gioco, a non nascondersi dietro paure, inibizioni, a frugare dentro se stessi senza rifugiarsi in un facile mestiere. Si trattava di tentare di andare un po’ oltre il consueto. Il teatro richiede sempre di andare un po’ oltre, del resto è il suo fascino, altrimenti si farebbe altro.
Quale di questi personaggi ha richiesto maggior lavoro e perché?
Forse il personaggio di Nora (un nome così ibseniano!) in Poliphonia, interpretato da Valentina Maselli. Si è trovata davanti ad un personaggio effettivamente impervio: una donna dalla personalità multipla che ha appena ucciso il marito. Ci siamo documentati su questo tipo di patologie e di comportamenti e devo dire che portarlo in scena è davvero difficile e Valentina ha fatto e sta facendo un lavoro su se stessa molto profondo. Il risultato, qualunque esso sia, sarà già una vittoria.
Protagonisti sono i personaggi femminili. Come vede lei la figura femminile nel mondo del teatro?
Da quando esiste il teatro ci sono sempre stati personaggi femminili di una intensità e di una forza che ancora oggi ci affascinano, penso a Medea, a Lady Macbeth a Cleopatra, fino alla sopracitata Nora di Ibsen, personaggi scaturiti dalle penne di scrittori uomini, perché così semplicemente accadeva. Ora questa tavolozza dei personaggi femminili si arricchisce delle penne di scrittrici e questo non può che essere un bene. Si allargano i punti di vista, si approfondiscono tematiche e questi due testi ne sono un esempio concreto.
Quali sono gli accorgimenti registici che ha messo in evidenza in questo spettacolo?
Non ho voluto fare una regia che fosse troppo preponderante rispetto al testo e alle tematiche, non serviva. Il lavoro è soprattutto consistito nella direzione degli attori e non su effetti. La scenografia e i costumi sono essenziali, le luci sottolineano le atmosfere, un breve video dà qualche suggestione in più. Direi che l’intervento più forte, oltre che il lavoro sugli attori, è stato con la musica che, eseguita dal vivo, accompagna e scandisce tutti i momenti dello spettacolo, facendo da vero contrappunto al testo.
Come diceva, un lavoro che vede anche la presenza di un musicista, il maestro Fabio Bianchini, in scena. Cosa rappresenta per il teatro, l’accompagnamento dal vivo dei musicisti?
Io lavoro molto con la musica e con i musicisti e quando c’è la possibilità di averli dal vivo l’apporto è davvero molto più coinvolgente. Prima di tutto nella costruzione del lavoro, dove il musicista compone seguendo le prove molto più da vicino e piega la sua musica a servizio totale dello spettacolo. Certo bisogno avere molta sintonia e questa per fortuna esiste: con Bianchini collaboriamo da oltre 25 anni e ormai siamo un team inseparabile.
Come vede lei, il teatro del futuro?
Meglio del cinema, che è moribondo. Il teatro è un bisogno dell’uomo, non credo morirà mai. Certo vive un periodo di difficoltà. Ma la storia del teatro ci insegna che il teatro vive sempre nella difficoltà e gli attori lo sanno e lo sentono. Se le istituzioni fossero più lungimiranti capirebbero quale ricchezza offre il teatro, a tutti i livelli. Ma ormai ci siamo quasi stancati di ripeterlo.
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