Si impara molto da un contest di corti
Abbiamo assistito al terzo girone di Estracorti manifestazione di cui demmo contezza in articolo precedente (clicca qui).
Per i meno attenti, possiamo dire che si tratta di un contest di corti teatrali e monologhi brevi, tipo di manifestazione abbastanza inedita per la città di Bologna in cui appunto il contest si è svolto, come ci è stato spiegato da Alessandra Merico attrice e organizzatrice del contest per l’associazione Estroversi presieduta dalla poetessa Cinzia Demi.
Questo terzo girone ci ha abbastanza sorpresi.
Il primo corto Dialogo di una sera con LA VOCAZIONE DI WILHELM (ovverosia: Paolo Petrosino autore del testo e Paolo Petrosino e Fabio Farné interpreti) si può senz’altro definire metafisico. Due personaggi avanzano lentamente recando due enormi cubi su cui sono incise una Alfa e una Omega.
Sui cubi si siedono, si stendono, dialogano: dialoghi dal sapore metafisico appunto, venati, come si dice, d’ironia (un po’ leopardiani): sulla fine, l’inizio, l’universo, etc…, e se anche è un po’ statica la scena, i protagonisti tentano di uscire da un realismo ormai onnipresente a teatro; anzi, la sensazione che abbiamo provato è stata di una sorta di rilassante percorrimento di una dimensione extra-umana, dove nulla può farci del male.
Ciò che però ci lasciati perplessi è stato il finale, che non s’è capito o che io non ho capito: se cioè i due forse so’ saturniani dunque alieni e quindi la “profondità” dei dialoghi è perché so’ alieni e non umani… Apprezzabili assai le diverse soluzioni sceniche: dai cubi appunto con alfa e omega su incise, all’ombrello il cui interno riproduce la volta celeste.
La seconda opera è stata Morte Blu di e con SILVIA FABBRI SISSI, giovane artista riminese. Molto interessante lo sviluppo drammaturgico, piuttosto si dovrebbe dire molto interessante l’idea di fondo ispirata alla realtà, anzi alla cronaca, un’idea di teatro opposta alla precedente ma non perciò meno suggestiva, in fondo come diceva il compianto Antonio Neiwiller “Teatro è tutto ciò che lo diventa“.
Nel caso della Fabbri Sissi si parte come una sorta di favola: una ragazza con cuffiettoni racconta di… anzi no, meglio: rievoca una notte a Piazza Maggiore a Bologna insieme a un ragazzo cui suggerisce di rubare una bici per tornare a casa, ma il ragazzo si rifiuta: è figlio di un dirigente della polizia municipale e nipote di un dirigente della polizia di stato e il racconto procede, spostandosi a Ferrara, fino a che non si scopre che si tratta di Federico Aldrovandi.
Alla fine dello spettacolo c’è anche una voce registrata, l’intervento in aula di una testimone: irrompe la cronaca, la realtà “mediata dai media” e tutti noi del pubblico pietrificati. Come a dire: dalla finzione verso la realtà dei media che è una vera realtà, con buona pace di Baudrillard e della sua società dei simulacri, come dice (più o meno) anche Abbruzzese sociologo dei mass media: in fondo la realtà virtuale non si sostituisce alla realtà ma è solo un altro punto di vista per guardare alla realtà, alla cronaca, ed ecco l’utilizzo da parte della Silvia Sissi dei media in modalità amplificatore. Bella idea non c’è che dire anche se potrebbe essere migliorata, affinata, si arriva troppo repentinamente al botto finale; alcune cose sono messe un po’ là, tipo l’utilizzo della rima all’inizio che suggerisce quella dimensione favolistica di cui dicevasi poco su, ma non viene approfondita o continuata, sta là un po’ moncherina. Comunque siamo convinti che – in embrione – è un gran bello spettacolo.
Lampedusa è forse il testo che più ci ha colpiti tra quelli che abbiamo visto (e sentito). Scritto e interpretato da ANTONIO TRAMONTANO capovolge la percezione del “problema migranti”: protagonista infatti un siciliano che ama, agogna, desidera, sogna l’Africa. E tutti noi europei ne abbiamo desiderio, anche se non ne siamo consapevoli, ce lo fa sentire zio Tonino, il personaggio principale, siamo noi ad aver bisogno dell’Africa e non il contrario (non a caso Europa era una principessa africana rapita da Zeus.
Bellissimo il testo, si diceva, in un siculo molto italianizzato, ondeggiante come le onde del mare, lirico senza strafare, preciso e sognante, logico e musicalissimo. L’interpretazione è semplice, essenziale, ma anche molto sentita (forse troppo), ma, miracolo della recitazione (e dell’empatia), Tranontano non è siciliano ma salernitano (oltre che essere medico come leggo su facebook che non si fa mai i fatti suoi…).
Forse è fin troppo emotiva, l’interpretazione, manca un po’ di distanza dal personaggio e infatti si sente un po’ d’affanno non voluto. Ora, non per fare il precisino, ma è un difetto orecchiato un po’ a tutti: una difettosa respirazione.
Però è bellissima la parte di Zio Tonino che dal punto più alto di Lampedusa rievoca la colonizzazione, i morti a mare, il profumo delle donne africane… senza pretensioni o allegorismi vari.
In fondo il bello del teatro è proprio questo: che mischia professionisti dilettanti principianti (o forse lo è oggi). Forse la colpa è dei laboratori teatrali, cioè della crisi del teatro per cui molti attori professionisti fanno i laboratori per sbarcare il lunario e molti cittadini comuni (casalinghe insegnanti, avvocati… tipo, benzinai anche) ci vanno, si formano, si sentono bravi so’ pure bravi, vincono pure premi e si ritrovano a gareggiare con i professionisti. Per dire…
Il corto che ci è piaciuto meno è stato, tra l’altro, quello che più recava le stigmate del “professionismo”, almeno così l’abbiamo percepito: Gladiatrici di Lucio Castagneri con Manuela Miscioscia Athena e Alessandra Romano.
Un testo abbastanza “classico”, molto lineare, con un italiano da “traduzione di classici greci”. Il resto, se mi è consentito – (perché non è che sono belli tutti gli spettacoli che uno vede e sennò… addio! E già la critica professionale critica poco, non ci mettiamo anche noi dilettanti, del resto il “crinon” era il setaccio nell’antica Grecia!) – è stato abbastanza schematico. L’idea di base è anche interessante: due schiave, anzi due gladiatrici poco prima del combattimento, tipo la notte prima, si confrontano, si confessano le rispettive violenze subite (qui alcune notizie di approfondimento sulla questione se sono esistite “gladiatrici” nell’antica Roma…).
Diciamo che ci troviamo all’opposto de La memoria di una signora per bene, il corto di Pitré visto nei primi gironi: entrambe le compagnie sono giovani, ma mentre il lavoro di Pitré & company era anarchico confusionario ma scintillante energetico pieno di idee, questo è classico, schematico: la recitazione è da “accademia” per quanto le due interpreti siano molto in palla. Diciamo che poi certi piccoli difettucci scenici non aiutano, ad esempio: se fai buio per introdurre una nuova scena – tecnica sempre più usata a teatro per imitare – sempre che non sia scimmiottare – la dissolvenza cinematografica e introdurre discontinuità spazio-temporali e spezzare l’aristotelica famosa unità etc… (del resto è anche inevitabile e proficuo che i media si influenzino tra loro) – a metà di uno spettacolo anche di soli 20 minuti, il pubblico (per ignoranza sua si sa) sarà portato ad applaudire: ben tre gli applausi per Achillia e Amazon (ma non si poteva trovare un nome meno… caratterizzante di questi tempi?) a interrompere lo spettacolo. Un pensiero cattivo sul perché applaudisse così spesso al buio in realtà ce lo abbiamo avuto ma ce lo teniamo per noi. Lo spettacolo, iuxta l’internet tam-tam, sta girando per festival e teatri. Ora un dubbio ci attraversa la mente… siamo portati a pensare male, sebbene siamo molto gentili generosi e ingenui: ma non è che si sta creando una sorta di iato (ma storicamente c’è sempre stato…) tra quelli che gestiscono teatri-e-alcuni-festival e il pubblico? E che cioè a certi livelli il teatro è ancora quello di cento anni fa per dire e che bisogna poi partecipare a contest di corti per trovare qualcosa di “fresco?”: absint iniura verbis, giusto per stare in tema di “classico”… sia chiaro.
Abbiamo poi assistito alla stand up di Sono mamma e perciò valgodi e con GIULIA LORENZELLI, una stand-up, come dire, più teatrale – come si porta mò, nella segreta convinzione che forse il pubblico – ah questo amante inflessibile – complice anche le menate televisive, sia più propenso più benevolo… lo scriviamo perché a suo tempo anche noi ci provammo e a tal proposito ci interrogammo se l’uso della tecnica della stand-up a scopo teatrale fosse usata per “paraculaggine…”.
Il monologo della Lorenzelli sfotte le manie delle mamme oggidì postmoderne (o post-umane, secondo qualcuno, il “postumano” verrebbe dopo il postmoderno) o hipster (ce li ho con gli hispster: è così evidente?) borghesi e borghesi-patacche. Il monologo è divertente, fresco, l’attrice ha un bell’uso del corpo, tra l’altro è anche bella atletica di suo, e l’idea è interessante ma non va in profondità: cioè perché gli italiani (e soprattutto le italiane, ma anche tra maschietti la tendenza è notabile) fanno pochi figli ma poi invidiano chi ha figli? Non tutti, sia chiaro: per orgoglio, per narcisismo (tu hai il bambino e io no, come fosse un’auto?). E se poi si fanno pochi figli e nel 2000 e qualcosa i pensionati supereranno i lavoratori e cacciamo i migranti e… insomma, perché poi proibiamo alle donne di usare tecniche di riproduzione alternative? Vedi legge 40? C’è qualcosa che non va in Italia… è evidente. Ecco, sarebbe stato interessante se la proposta della Lorenzelli fosse andata in profondità nelle contraddizioni di un Paese che fa pochi figli ed è cattolicissimo, non per sposare una tesi o l’altra (anche se uno è sempre “partigiano”), ma per mostrare la ferita sanguinante. Qui, si fa, piuttosto, ironia di colore diciamo. E qui mi sorge un pensiero dei miei, un pensiero diciamo “metafisicometampsicotico” e cioè: se l’ironia davvero aiuti a far arrivare un messaggio… si dice che una risata fissi di più un concetto rispetto a una declamazione brechtiana del problema. Ma sarà davvero così? Vedi anche le perplessità di Foster Wallace sull’ironia (e se cercate riferimenti biblio-internettici stavolta trovateveli da soli!)… il problema con l’ironia è che bisogna averlo un messaggio da criticare o che critichi per veicolare meglio una critica del/al sistema, una messa in discussione delle certezze (anche progressiste, sinistroidi): a ridatece Lenny Bruce! Ai suoi tempi odiato dai fascisti, oggi sarebbe odiato dagli… hipster… di sinistra pacifisti vegani ecologisti etc, etc… E poi la stand-up teatrale funziona meglio se c’è pure un po’ di autofiction, lo diciamo per esperienza personale, se ciò fosse venuto fuori la persona Lorenzelli con i suoi problemi con la maternità sarebbe stato più interessante. Il monologo si conclude con la eiaculatio praecox del marito del personaggio…
Infine, ultimo ma non l’ultimo di quelli visti, Seduci e distruggi di e con FRANCESCO DE CARLO. Il monologo è tratto dal film Magnolia come confermato dallo stesso De Carlo: in particolare, egli ha espunto dal film il personaggio interpretato (magnificamente) da Tom Cruise, il misogino motivatore che insegna come conquistare le donne in modo priapico e maschilista…
Ci ha molto sorpreso questa interpretazione di De Carlo (che infatti ha vinto come miglior attore ad Estrocorti) e cioè lui non scimmiotta Cruise, ma recita davvero, diciamo che è l’opposto di Tramontano in Lampedusa, ma senza impostazioni artefatte, recita in senso “buono” e cioè non è se stesso ma non è neanche accademico; non si immedesima mantiene una distanza ironica ma non perciò meno empatica (e dunque diversa anche da quella delle Gladiatrici): forse avrebbe potuto giocare ancora di più sull’ironia e autoironia… rischiare di più a livello testuale. Però mi ha fatto riflettere sul rapporto attore-personaggio che può avere tante declinazioni diverse: l’importante è anche sia efficace e cioè sia empatico…
Dunque, concludendo: manifestazioni così ci fanno annusare un po’ dell’humus da cui sorge la bella grande sempre verde pianta del teatro checché ne dicano prefiche e apocalittici e integrati vari… Abbiamo, penso imparato alcune, cose. Andate a teatro: qualunque teatro. Qualunque forma esso assuma.
Teatro è tutto quello che lo diventa. Neiwiller (et alii) insegna.
Tratto dalla pagina facebook estrocorti.
L’officina teatrale de’ Maicontenti ha deciso di attribuire il premio produzione al monologo: “La doppia G” di Shara Guandalini!
Menzione di merito premio della giuria: miglior attore e miglior attrice: Francesco De Carlo e Beatrice Campo!
Vincitore sezione corti: Memorie di una signora perbene!
Menzione di merito premio della giuria miglior drammaturgia: “Lampedusa” di e con Antonio Tramontano!
Premio Estroversi al miglior testo poetico: “Rosaspina” di e con Alessandra Baldoni!
Premio del pubblico: “Loro tra noi” di e con Laura Scaini e Felix Bellanti!
Menzione di merito premio della giuria Miglior Regia va a: Vocazione di Wilhelm!
Premio produzione del teatro de’ Maicontenti va a Maurizio Tonelli con “A domani”!
Beh un po’ ci avevamo preso…
Il vostro Ambivio Turpione
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