Una storia di famiglia

Mirella Pizziconi racconta la sua famiglia in Punto Palestrina

Sarà in scena dal 27 al 29 ottobre al Teatro Porta Portese di Roma lo spettacolo Punto Palestrina di Mariella Pizziconi. In scena Simona Ciammaruconi, Rita Pasqualoni, Serena Canali, Rita Gianini, Marco Guidotti, Catia Cesaroni, diretti da Mirella Pizziconi.

Una storia di famiglia, che racconta degli anni Sessanta, in pieno boom economico, un passato che riporta alla mente ricordi di bambini e ragazzi che si ritrovano a condividere il boom familiare. Ne ho parlato insieme all’autrice e regista Mirella Pizziconi.

Punto Palestrina è uno spettacolo che parla della sua famiglia, delle sue zie. Cosa pensa la sua famiglia della sua scelta, quella di portare una loro vicenda in scena?

La mia famiglia ha paura di me, teme che metta in piazza i “panni sporchi” ma è anche rassegnata poverina. Questa volta parlo del vizietto che aveva una delle mie zie… Per darsi forza, durante il lavoro, beveva il fernet, ma solo di notte, per non addormentarsi. La famiglia per me è fonte di grande ispirazione, la mia poi è davvero variegata, bellissima e piena di storie interessanti e buffe da raccontare. Alcune mie cugine mi sgridano, altre sono contente, io vado avanti così perché i parenti di cui parlo mi sembra di farli rivivere.

Qual è il ricordo che più la unisce alle sue zie?

Il primo fu un viaggio fatto con loro sulle Dolomiti all’età di quattro anni e mezzo, perché era nato mio fratello e non si voleva che io mi ingelosissi. Ho tante foto a riguardo. Non mi fecero mai sentire l’assenza di mamma anche perché la notte avevo l’appuntamento con lei davanti alla luna, infatti mi pregò di guardarla sempre per non sentirci lontane.

Il secondo ricordo fu un altro viaggio, ma questa volta sul Gargano insieme a mio marito e ai miei figli. Erano bravissime a cucinare il pesce. Quella fu una vacanza piena di risate e di mare bellissimo.

Altro ricordo annuale, direi, era l’8 di dicembre: il pranzo dei Pizziconi, si cominciò con alcuni di noi cugini piccolissimi per poi finire con la presenza delle fidanzate dei nostri figli. Morendo le zie, che sembravano immortali, non si fece più nulla, non c’era più nulla da festeggiare.

Parliamo della pièce. Qual è stata la parte più difficile da scrivere e quale, invece, quella che non l’ha preoccupata per nulla?

Quando scrivo ho talmente tante idee che il problema è solo quello di sistemarle. Metto insieme storie conosciute, inventate e mie. Poi ho il vizio di inserire più colpi di scena possibili e questa è la cosa che mi diverte di più.

Cosa ha cercato di mettere in evidenza nel suo racconto?

La famiglia con pregi e difetti e gli anni ‘60 che mi sono rimasti nel cuore e poi i ricami, le stoffe, il profumo del cotone, la magia di un lavoro che è spesso arte pura e sicuramente sacrificio e passione.

Com’è avvenuta la scelta delle attrici? Cosa ha cercato in loro?

Intanto le ho cercate simili tra loro: sia fisicamente che come modo di recitare, poi le ho volute simpatiche e quindi che avessero i giusti tempi comici. Confesso che ho anche sperato che entrassero negli abiti delle mie zie e credo di esserci veramente riuscita. Meglio di così non poteva andare. Mi saprete dire voi alla fine.

Nello spettacolo molta importanza hanno i costumi, abiti delle sue zie. Come li ha scelti e perché?

Molti abiti purtroppo non li ho potuti mostrare perché altrimenti lo spettacolo sarebbe durato come minimo mezz’ora in più: così ho scelto quelli più giusti tra loro come colori e come periodo storico (1959-69). Tranne il vestaglione rosa a fiorellini della zia separata, tutti gli altri li ho visti cucire e questo mi riempie di commozione.

Nel suo racconto rilevanza ha anche la figura del nipote scapestrato. A chi si è ispirata per il suo personaggio?

Diciamo che le mie zie, che amavano alla follia tutti noi nipoti (ricordo però che io sono stata la prima e quindi tra le femmine la più amata) avevano una spiccata passione per i maschi, eppure erano zitelle, vergini e timorate di Dio. Saranno stati i tempi ma per loro il maschio aveva sempre ragione. Tra i tanti nipoti maschi però c’è stato l’ultimo, il più piccolo: Samuele, figlio di mia cugina Maria Rita, che veramente ha strappato loro il cuore. Alto, simpatico e bello le ha fatte tribolare parecchio. La madre era costretta a lasciarglielo spesso e loro ci tenevano molto che diventasse più accorto e con la testa sulle spalle e così è avvenuto: oggi è un meraviglioso padre e marito, sarebbero orgogliose di lui.

Qual è il fine ultimo della rappresentazione?

Amare e dare instancabilmente: prima o poi qualcosa torna indietro, così come nella mia storia. Quando sembra che Rodolfo abbia dimenticato le zie ritorna da loro con tutta la famiglia.

Cosa vorrebbe che il pubblico portasse a casa alla fine dello spettacolo?

Tante risate e la voglia di tornare a vedere i miei spettacoli.

Grazie per essere stata con noi e in bocca al lupo!

Grazie a voi per l’attenzione prestatami.

Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt

Sissi Corrado

Responsabile del Blog Interessi tanti: lettura, scrittura, teatro, cinema, musica, arte, collezionismo, sociale, ecc.

Leggi anche