Utero in affitto: riflessioni sui nuovi mezzi di schiavitù

Immagine da web
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Solo qualche sera fa ho partecipato ad uno spettacolo al teatro Palladium alla Garbatella, dal titolo “Safa e la sposa bambina” di e con Isabel Russinova, sulle spose bambine e sulla condizione della donna in Medio oriente o nei paesi in cui essa viene vista ancora come merce di scambio.

E mi sono chiesta: che differenza passa tra un bambino concepito attraverso un utero in affitto e quello ceduto per un matrimonio? Entrambi i gesti sono organizzati per venire incontro alla volontà della famiglia, una ricezione di denaro, per ripagare dei debiti, per avere soldi per il mantenimento della famiglia. Entrambi sono fatti attraverso una donna che ha concepito il bambino, ma poi lo ha, chi per “obbligo” da parte del marito, chi per “necessità” da parte sua, ceduto a qualcun altro, perché se ne prendesse cura. Certo, “cura” per una sposa bambina, è un parolone davvero enorme, che esce da ogni soggetto che vive quella civiltà, ma di diverso tra i due gesti non vi è molto. In entrambi i casi, ad essere venduti sono bambini ancora incapaci di opporsi al volere dei propri genitori.

Ci troviamo di fronte ad un nuovo metodo di compravendita di esseri umani, qualcosa che ci portiamo dietro da secoli e di cui non riusciamo a liberarci. La libertà è davvero una cosa difficile da ottenere, ma è altrettanto difficile da condividere e comprendere, ma soprattutto amministrare e sì, limitare.

Quando qualcuno afferma che una donna, un uomo, possono essere liberi di fare del proprio corpo quello che vogliono, non riescono ad andare oltre al loro corpo e pensare agli altri, a chi è oggetto di compravendita. Si, perché per le donne, il loro corpo ha una funzione davvero importante ed essenziale, cioè mettere al mondo un’altra vita, custodirla per nove mesi e poi permetterle di nascere.

Questa situazione non avviene sempre nella serenità della mente, dell’animo di una donna, ma è comunque qualcosa che spesso la mette di fronte ad un bivio, alla decisione di essere o non essere madre, di crescere o non crescere un figlio. Certamente che non tutte le donne devono essere per forza madri o desiderano di esserlo, non siamo tutte uguali, basta ricordare che la società dovrebbe aiutare ancora di più la scelta della donna di tenere con sé o meno il bambino che porta in grembo.

L’utero in affitto, sia per favorire coppie omosessuali o coppie eterosessuali, è una propaganda inumana di vendita di esseri umani. È inutile che la vogliamo abbellire con l’amore che possiamo dare al bambino che compriamo, oppure con le possibilità che questo possa ottenere da parte di chi lo compra. Resta, di fondo, l’acquisto di una vita, la voglia desiderosa e inumana, di comprare un essere per il proprio compiacimento.

Quando si parla di amore, si parla di voler crescere qualcuno, nel mondo ci sono tanti altri gesti. Quello più vicino all’amore è sicuramente l’adozione di un bambino orfano, che vive in un istituto e che non conosce l’amore di una madre, di un papà, l’affetto di una famiglia. Adottare non significa comprare, scegliere il sesso, l’etnia, ma prendersi cura di qualcuno che non ha nessuno.

Sarebbe stato molto più chiaro, per la legge Cirinnà, spiegare che la stepchild adoption era un avvio alla compravendita di esseri umani, più che una legge che mette in chiaro una situazione di diritti fondamentali delle famiglie omosessuali in Italia.  Se invece, la stepchild adoption viene utilizzata come dovrebbe, e cioè dando la possibilità ai compagni di adottare un figlio naturale o meno, ma concepito normalmente, allora si che sarebbe tutta un’altra cosa, come avviene, del resto, già per le unioni “normali”.

Diamo a tutte le famiglie, etero o omosessuali, ma anche ai single, la possibilità di adottare un bambino che ha bisogno d’amore, piuttosto che di comprarlo all’estero e portarlo in Italia. Sarebbe come quando ci furono gli scandali dei bambini comprati dagli orfanatrofi per essere adottati. Ebbene, quella pratica, condannata, è uguale alla pratica dell’utero in affitto. È vero che l’utero appartiene alla donna, ma è anche vero che dalla donna nasce un essere vivente, una persona della quale non siamo padroni assoluti e sicuramente non abbiamo il diritto di vendere o acquistare una persona. Questo diritto, sancito dalla Carta dei Diritti dell’uomo, è stato introdotto e reso proprio dopo anni di lotta alla schiavitù e al concetto di schiavitù, ancora fortemente intrinseco in una parte dell’umanità e così erroneamente riproposto dal mondo occidentale che a volte mi spaventa.

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Sissi Corrado

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