Carlotta Proietti racconta La cosa non finisce qui
Al Teatro Trastevere si parla di amicizia tra giovani uomini
Un gruppo di giovani uomini, un nemico che li blocca. Sono quattro soldati che diventano amici tra le loro paure e il loro diverso modo di vedere la vita, di fare scelte. Questo è La cosa non finisce qui, scritto da Giacomo Sette, interpretato da Stefano Annunziato, Cristiano Arsì, Lorenzo Martinelli e Ivano Conte, diretti da Carlotta Proietti e in scena dal 14 al 17 marzo al Teatro Trastevere di Roma.
Uno spettacolo che apre una finestra sul rapporto amicale che nasce e si rafforza, trasformandosi in amicizia, tra coetanei. Di questo ho parlato con la regista Carlotta Proietti alla quale do il benvenuto sulle pagine di CulturSocialArt.
Salve. Al teatro Trastevere dirigerà La cosa non finisce qui, scritto da Giacomo Sette. Come ha conosciuto il testo? Cosa l’ha colpita?
Il testo mi è stato proposto da Cristiano Arsì della compagnia Meraki, uno dei protagonisti dello spettacolo. Mi ha colpito l’originalità e come i dialoghi siano molto dinamici, un ottimo ritmo.
Il testo racconta di quattro amici al fronte. Com’è stato dirigere uno spettacolo dovendo interagire solo con uomini e, in più, in un contesto dove ad unirli è la guerra?
Credo che a prescindere dall’ambientazioni qui siano messi in risalto i rapporti tra loro. L’amicizia tra uomini è interessante perché piena di non detti ma estremamente diretta nella comunicazione. Nel contesto in cui ci troviamo (non è propriamente una guerra, ma posso svelare poco di più) sicuramente la tensione permette di mettere a fuoco delle esigenze forse finora inesplorate, di ognuno dei personaggi.
Come sono stati scelti gli attori?
La compagnia Meraki era già al completo quando mi hanno offerto di dirigere lo spettacolo. Non li conoscevo e devo dire che sono tutti ottimi attori, peraltro amici anche nella vita il che non guasta.
Un gruppo di soli uomini quanto e come differisce da un gruppo di sole donne? Cosa, invece, li potrebbe accomunare?
Come dicevo l’amicizia tra uomini credo differisca molto da quella femminile, il modo e i tempi di comunicarsi qualsiasi informazione sono semplicemente differenti. Sarebbe come accomunare cane e gatto (e io li amo entrambi!). Non c’è giudizio in ciò che dico ovviamente, è solo una constatazione. Sono sempre stata attratta dai gruppi di ragazzi che ridono tra loro, di qualsiasi età; è un’immagine che mi fa pensare a qualcosa di autentico e sincero, di tenero. Tra donne c’è sempre un sostrato di pensiero in più, è come se arrivassimo a delle conclusioni analizzando ogni singolo piccolo passaggio. Delle volte anche esagerando!
Pensieri, espressioni di ragazzi. Qual è lo sguardo che ha voluto esprimere maggiormente con loro?
Mi è piaciuto lavorare sulla verità. Penso sia sempre bello a teatro concedersi dei contrasti netti, la risata anche in un momento drammatico, la riflessione anche in un’atmosfera di divertimento. Penso e spero che questo aspetto si legga, nello spettacolo.
Quali sono stati i consigli e le direttive che ha dato ai protagonisti?
Credo che la cosa più importante sia sempre la chiarezza di ciò che si dice. In termini di concetti ma anche di semplici battute. Ogni parola che si usa è importante, perché tutto fa parte del racconto che dura poco più di un’ora; un tempo breve in cui il pubblico deve riuscire ad entrare in una dimensione di finzione il più possibile credibile. La scena è pressoché vuota, quindi l’attenzione è tutta sull’attore. Penso sia abbastanza impegnativo affrontare questo testo, quindi chiedevo loro di crederci il più possibile e di non affrontare i personaggi in modo scontato ma cercando di andare un pochino più in profondità.
Ci sono stati momenti difficili o complicati da realizzare all’interno dello spettacolo?
Finora no…
Se avesse potuto o voluto interpretare uno dei personaggi, quale avrebbe scelto e perché?
Credo che far parte di una compagnia sia sempre bello quindi avrei scelto uno qualsiasi dei ruoli, sono tutti e quattro ben scritti e rispecchiano pienamente anche le persone che li interpretano.
Stiamo vivendo momenti drammatici di guerra, che ci colpiscono e coinvolgono da vicino. Cosa può fare il teatro per “combattere” le guerre, le ingiustizie?
Il teatro ha sempre un ruolo civile, e spesso lo si dimentica. Non che ci sia qualcosa di male nel divertimento puro e semplice, ma raccontare qualcosa che ci riguardi, che ci metta davanti agli occhi un tema importante può essere importante. Qui però non si parla di guerra. O meglio, non è propriamente il centro della vicenda. Al centro ci sono quattro ragazzi che affrontano le loro paure, che avrebbero in qualsiasi contesto.
Il fronte della guerra da sempre ha caratterizzato maggiormente la parte maschile del genere umano, oggi non è più così. Qual è il messaggio che dal palco volete far arrivare al pubblico?
Come detto, è davvero complesso raccontare questo spettacolo senza svelarlo. Posso dire che il messaggio è sicuramente legato al valore enorme dell’amicizia e la vicinanza tra quattro ragazzi sui trent’anni che affrontano una dura prova. Sembra una banalità, ma io non credo lo sia!
Grazie per essere stata con noi e in bocca al lupo!
Gli articoli pubblicati sul Blog sono scritti dai Soci dell’Associazione in maniera volontaria e non retribuita. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright CulturSocialArt